Non è la prima volta che un gruppo parlamentare di opposizione approva una proposta del governo. E la cosa in sé non ha niente di scandaloso. Perché dunque tanto clamore per il voto favorevole di SEL sugli “80 Euro”? Le ragioni sono chiaramente tutte nel contesto in cui esso è maturato. Da una parte, resta il fatto che il provvedimento in questione non è un decreto come gli altri, bensì lo strumento su cui Renzi ha basato la sua strategia del consenso negli ultimi mesi (fruttata il 40,8% delle europee) – strategia che ora sembra aver piegato anche la maggioranza dei parlamentari di SEL. Dall’altra, è chiaro che si è trattato dell’ultimo atto di un braccio di ferro in corso ormai da diversi mesi fra le componenti di quel partito. In qualche modo Gennaro Migliore, leader dell’ala moderata (minoranza nel partito), ha dimostrato di avere il controllo del gruppo parlamentare, e quindi di potere di fatto decapitare SEL in caso di scissione.
La lacerazione, sempre più profonda, segnala che la formula che ha ispirato la nascita di Sinistra Ecologia e Libertà – il tentativo (per altro malriuscito) di aggregare le forze “a sinistra del PD” per provare a incidere sul baricentro moderato del centrosinistra – si è esaurita. Non c’è più metafora o paradosso che possa tenere insieme un dilemma sempre più stridente: in questo momento o si sta con (e, in prospettiva, dentro) il PD o si è contro di esso. Sull’esaurimento del progetto originario di SEL il suo gruppo dirigente ha indubbie responsabilità, ma negli ultimi mesi un elemento ben più dirompente è intervenuto sul quadro politico, ridimensionando drasticamente i margini di quel partito. L’effetto Renzi.
L’operazione di costruzione di una nuova leadership intorno all’ex sindaco di Firenze ha i tratti di un enorme processo di concentrazione degli interessi dominanti del paese. Per trovare un precedente analogo non è tanto alla DC che bisogna guardare, ma forse alla “Sinistra storica” di Depretris, che riuscì a scompaginare gli schieramenti parlamentari consolidando, con le politiche protezioniste, quell’alleanza fra grandi agrari del Sud e industriali emergenti del Nord che avrebbe rappresentato il blocco sociale egemone nei decenni successivi. Analogamente, il PD si sta ponendo nel quadro politico non come partito “centrista”, ma come forza centrale. Da questa posizione può compiere anche incursioni nei campi avversari, come è accaduto nel caso degli 80 Euro con i soggetti alla sua sinistra. A questo partito non interessano alleanze organiche con forze minori – che al più conta di fagocitare anche attraverso una legge elettorale iper-maggioritaria –: è la linea politica della nuova leadership (ovviamente non riducibile al solo Renzi) che costruisce di volta in volta la maggioranza in Parlamento, non il contrario. Realista come tutti i conservatori, Migliore è ben consapevole di questa china e intende percorrerla fino in fondo.
Dunque non ci sono alternative? Un’analisi più attenta mostra che in realtà la base di consenso che Renzi ha conquistato di recente è quanto mai fragile. Già si sono levati da Bruxelles moniti severi nei confronti della situazione del bilancio pubblico italiano; quasi certamente le performance del Pil si riveleranno nei prossimi mesi meno brillanti di quanto prospettato dal Def a firma Padoan. Tutto questo potrebbe tradursi a breve in nuove manovre restrittive o in importanti privatizzazioni. In un caso o nell’altro, le tensioni ancora presenti nel corpo del paese – appena e solo in parte anestetizzate dagli 80 Euro – potrebbero riacutizzarsi e investire Renzi e il PD.
Ciò però potrebbe non bastare a indebolire la centralità di quel partito e il progetto di cui è portatore, offrendo piuttosto il pretesto per una più intensa torsione autoritaria. La condizione indispensabile per provare a contrastare efficacemente quell’operazione è la costruzione di una soggettività politica in grado di organizzare il dissenso diffuso nella società. Impresa che impone non tanto l’accordo fra sigle (di partito o di movimento) quanto l’elaborazione di un punto di vista autonomo, che individui priorità precise e da cui discendano una chiara analisi di fase e un programma in grado di fronteggiarla. Questa è la sfida che attende non solo la parte di SEL che non ha condiviso il voto di ieri o gli altri soggetti che hanno animato l’esperienza de L’Altra Europa con Tsipras, ma chiunque non voglia rassegnarsi a uno stato duraturo di disoccupazione di massa, precarietà radicata e spazi democratici sempre più stretti. “Hic Rhodus, hic salta”, avrebbe detto qualcuno.