Cronaca a caldo della manifestazione
15/12/12 – 19/12/14. Taranto, due anni dopo. Non eravamo trentamila, forse solo un decimo, ma è come se avessi l’impressione che questa manifestazione rispetto a quella scorsa ha molteplici e diversificati aspetti positivi che dobbiamo considerare nella giusta ottica, sul cui solco conviene continuare perché le prospettive sono piuttosto interessanti.
Ma andiamo con ordine.
In tutta onestà, la voglia di partecipare all’ennesima sfilata nel giro di 6 anni non mi ispirava neanche un po’, e alla fine ha ispirato pochi. Lontani i numeri delle adunate da concerto o dei cortei degli anni scorsi.
Una sconfitta senza discussione, verrebbe da pensare. Ma le cose, se poste e proiettate in un’altra ottica, possono assumere diversi significati.
LA MORTE DEL FONDAMENTALISMO AMBIENTALISTA
Se la cittadinanza non ha risposto non lo si deve a una mollezza, a una retorica “mancanza di voglia di lottare”. Chi dice questo è o ingenuo, o in malafede e non ha intenzione di compiere passi in avanti.
Le motivazioni, credo, possono essere ricondotte a due fattori fondamentali:
– le rivendicazioni e le argomentazioni sono rimaste ancorate alla grande e insperata adunata di Alta Marea del 2008. Nel frattempo un’intera generazione di ragazzi è cresciuta, ha studiato, ha iniziato a fare i conti con la propria realtà mentre si alternavano sfilate nel borgo a decreti del governo per salvare la patria con l’Ilva. Come biasimare quindi chi è rimasto a casa?
– c’è chi , negli anni, ha sempre cercato di narcotizzare le contraddizioni e le diversità di esigenze di una buona parte della cittadinanza che – Ilva o non Ilva, tumore o non tumore – vive una vita all’insegna della precarietà, che non potrebbe essere risolta neanche dalla chiusura del mostro.
Due anni dopo l’imponente manifestazione del 15 dicembre 2012, emergono però due lati della protesta, per certi versi simili ma per molti altri contrapposti.
Da una parte, c’è chi è rimasto ancorato all’idea che l’unica pratica perseguibile siano grandi manifestazioni “neutre” ogni tot (dove ad emergere sono soprattutto sempre le stesse facce), e dove, in nome di una non meglio precisata unità contro un nemico esterno (Riva, la diossina o chi per lui), si narcotizzano tutte le altre contraddizioni che attanagliano il territorio, perché nessun tema regge il confronto con la questione ambientale.
Ma, dal magma di un’analisi banalizzante e mediocre, ieri è emersa un’altra visione, ben distinguibile e differente al proprio interno, partecipata da chi queste altre contraddizioni – tipiche del capitalismo – non solo le vive ogni giorno, ma si è anche interrogato nel corso degli anni sulle pratiche da adottare per cambiare le proprie vite ora e subito, senza delegare o rinviare a un futuro lontano vane speranze di cambiamento.
Due anni dopo, l’Ilva è sempre lì, ma la città è stata attraversata da trasformazioni continue: si sono avviati processi variegati, che hanno il minimo comune denominatore di contrapporsi al modello neoliberista, e che inseriscono le problematiche locali in un contesto globale. Aspetti che sono emersi con forza durante il corteo da parte di questo spezzone precario, grazie anche all’apporto di attivisti che combattono altre realtà in altri territori.
Uno spezzone straordinario: ragazze e ragazzi che operano quotidianamente per il diritto alla casa, per l’accessibilità ai saperi, per una mobilità sostenibile, per uno sport popolare antirazzista e antifascista, per una controinformazione disinteressata.
Una moltitudine eterogenea, colorata, rumorosa, determinata, caratterizzante. I fumogeni lanciati al di là del muro; i cori di sostegno per le Officine Tarantine; la spontanea – e memorabile – indignazione duratura e rabbiosa sotto la gioielleria dell’ex sindaco impunito del dissesto, difeso dalle forze dell’ordine, perché la memoria è una cosa importante.
Quindi che dire dell’altra parte del corteo, che dà dimostrazione delle sue argomentazioni quando inizia la sfilata sul palco? Decido di andar via quando un oratore non meglio definito dice che “la colpa di questa situazione è tua, tua, tua, che tornerete a casa senza che sia cambiato nulla” indicando chi è assiepato sotto il palco. Ho le gonadi gonfie di questa retorica fascio-clericale della colpa originale e naturale da espiare. Che colpa abbiamo, noi ultimi, ad essere appunto gli ultimi?
Tornando a casa ci penso: sono sicuro, invece, che in tante e tanti che oggi abbiamo caratterizzato il corteo ci addormenteremo con qualche consapevolezza in più.
Che ci siamo, siamo tanti e siamo diversi.
Che l’alternativa esiste, la stiamo già praticando: l’alternativa siamo noi, e abbiamo tanto da fare, iniziando dall’innalzare il livello di un’analisi collettiva che per troppi anni è rimasta ferma.
E l’ultima consapevolezza: siamo sulla strada giusta.
C’era un cartello due anni fa che forse è l’unica cosa per cui provo nostalgia e che sembra quasi una promessa: “siamo pazzi, arrendetevi”.