Il dado è tratto. Martino Tamburrano (Forza Italia) è il nuovo presidente della Provincia di Taranto, eletto grazie alle larghe intese “di fatto” fra la parte egemone del PD e il centrodestra. Esito ampiamente atteso, e persino annunciato dal dominus dei democratici tarantini, Michele Pelillo, che a pochi giorni dal voto aveva dichiarato candidamente che lo sfidante di centrosinistra, il sindaco di Laterza Gianfranco Lopane, non aveva sufficiente esperienza amministrativa per sedere sullo scranno più alto di via Anfiteatro. Una vera e propria scomunica. A niente è valso il “richiamo all’ordine” del segretario regionale del partito, nonché candidato governatore in pectore, Michele Emiliano. I pelilliani prima hanno disertato l’incontro a Palazzo di città con l’ex sindaco di Bari, presenti tutti i sindaci di centrosinistra di terra jonica; quindi hanno imbucato la loro pesantissima scheda (secondo il sistema di ponderazione introdotto dalla riforma Del Rio, il voto di un consigliere di Taranto vale 27 volte quello di un rappresentante del comune più piccolo) con la croce sul nome “Tamburrano” nell’urna di Palazzo del governo.
Verrebbe da dire, “frittata è fatta!” E strapazzato nella padella delle larghe intese è finito l’intero centrosinistra jonico. Che, di fatto, non esiste più. O almeno non esiste più nel modo in cui lo si è conosciuto fino ad oggi, come alleanza fra partiti che condividevano quanto meno l’ostilità nei confronti di un altro campo di alleanze (e di interessi) ben delimitato. I paletti ormai sono saltati – o meglio, evaporati. D’altronde non si tratta di un caso isolato. Gli stessi “movimenti” registrati nelle ultime settimane a livello regionale e nella stessa città dei due mari dimostrano che siamo di fronte a una trasformazione complessiva. E infatti Emiliano, a Taranto ertosi a paladino dell’integrità del centrosinistra, si è attribuito pubblicamente lo “svuotamento” del centrodestra pugliese dopo aver imbarcato a sostegno della sua candidatura alle primarie (del centrosinistra) pezzi rilevanti di quel campo. D’altra parte, il “Nuovo Centro Destra” (guidato in Puglia dal presidente della provincia di Brindisi, Massimo Ferrarese, un uomo che negli ultimi anni è transitato da una parte all’altra in maniera quasi impercettibile, con agilità gattopardesca) è ormai entrato di fatto nella maggioranza che regge la giunta del sindaco Stefàno, in seguito al “reclutamento” dei consiglieri (già di maggioranza) Guttagliere e Perelli.
Insomma, come insegna la fisica, movimenti di segno opposto tendono a neutralizzarsi… e nel nostro caso finiscono per definire un nuovo inquietante campo di forze, che non ha più niente a che vedere con la condivisione di certi valori o con la mediazione fra rappresentanti di diversi gruppi sociali. La dimensione della politica ai tempi del “renzismo” è un magma in cui convergono i principali portatori di interesse, ciascuno con il proprio “particulare” da porre sul piatto della bilancia per ricavarne una rendita. In queste circostanze, lo stesso concetto di “coalizione” non è più in grado di rappresentare la realtà; appare più efficace quello della “camera di compensazione” fra poteri (forti) di diverso tipo. A restare esclusi da tutto questo sono chiaramente i soggetti deboli (disoccupati, precari, lavoratori dipendenti), ormai di fatto privati di qualsiasi protagonismo politico e sempre più subalterni alle reti clientelari tessute dai nuovi feudatari.
Nella situazione specifica di Taranto, questo quadro si arricchisce della presenza di dinamiche di tipo padronale. Sfidando (con successo) i sindaci del suo schieramento e lo stesso vertice regionale del partito, Pelillo ha fatto intendere a chi ancora non lo avesse afferrato che, in terra jonica, il PD e il centrosinistra sono “cose sue”. Lui disfa alleanze e ne dispone altre in base alla convenienza del momento, con buona pace degli oppositori interni.
A questo punto è lecito chiedere a quelli che non accettano tale stato delle cose, ma ancora si illudono di poter resuscitare un improbabile centrosinistra: si può continuare a far finta di nulla? Si può andare avanti pensando che con Renzi in fondo niente sia cambiato? Se il “nuovo centrosinistra” è quella cosa mostruosa che si è detta prima le opzioni sono due, secche e ineluttabili . O ci si adegua o si crea un’alternativa che riparta proprio dai soggetti esclusi dal sistema di potere che soggiace alle “larghe intese”.
Fra poco più di due anni si andrà al voto anche nel comune capoluogo: il tempo per realizzare l’alternativa (almeno sulla carta) c’è, e le donne e gli uomini di buona volontà in grado di darle corpo non mancano. Forse sarebbe il caso di iniziare a mettersi al lavoro.