Si parla parecchio, negli ultimi tempi, delle possibilità culturali di una città come Taranto e dei fermenti “nascosti” che aspettano solo di essere valorizzati o scoperti. Uno dei meno evidenti riguarda i fumetti: da alcuni anni Taranto ha tre negozi specializzati nel settore (nel 2015 è prevista l’apertura di un quarto), ospita raduni di cosplay e appassionati, i talenti del disegno si consolidano a livello nazionale e si affacciano sulla ribalta internazionale (vedi Enzo Rizzi e il suo Heavy Bone), mentre altri ancora collaborano con storiche realtà (Alessandro Vitti e la Marvel, Emanuele Boccanfuso e la Bonelli, solo per citarne due fra i più noti).
Quello che parte oggi è dunque un percorso che, attraverso alcune interviste a personalità particolarmente rappresentative della scena locale, mira a fare luce sui vari aspetti del rinnovato rapporto fra Taranto e il mondo del fumetto, evidentemente ravvivato da una passione tanto “sotterranea” quanto fertile.
Il primo incontro è con chi i comics li crea, qui rappresentati dall’associazione culturale LABO, una realtà emergente che si occupa di cultura del fumetto e dell’illustrazione, attraverso alcuni laboratori utili a favorire il confronto di idee e la nascita di progetti su carta o sul web. Fra questi, è particolarmente rappresentativo il caso de Le indagini di Andé Dupin, singolare esperimento giallo-rosa con un detective francese attivo nella Taranto degli anni Cinquanta: il primo numero, Delitto d’autunno, ha infatti vinto nel 2012 il Lucca Project Contest, presso la principale fiera nazionale, ed è stato perciò pubblicato dalle Edizioni BD in un volume di grande successo, andato ormai esaurito. Il secondo, Un torrido inganno, è attualmente reperibile nelle principali fumetterie e librerie cittadine. La più recente creazione di LABO è #Sfilatinozen, un gradevole tentativo di unire ricette della tradizione locale con l’arte disegnata.
Di tutto questo abbiamo parlato con lo sceneggiatore e fondatore di LABO, Fabrizio Luizzi, con il disegnatore e creatore grafico di Andé Dupin, Gianfranco Vitti, con il disegnatore e docente Nicola Sammarco (ora attivo anche alla Walt Disney Company Italia) e con la scrittrice e addetto stampa Mara Venuto.
Partiamo dall’inizio: com’è nato il gruppo di LABO Fumetto e quali sono stati i passaggi che l’hanno portato alla realtà odierna?
Fabrizio Liuzzi: Ufficialmente l’associazione LABO è stata costituita da poco, intorno a marzo/aprile di quest’anno. Nasce però in seno a una precedente associazione, il Regno delle Arti, fondata ormai sette anni fa, esattamente il 28 gennaio 2008. Siamo partiti con dei laboratori alla libreria Gilgamesh, dove l’attività continua ancora oggi. I fondatori possiamo definirci io e Gabriele Benefico (copertinista e colorista per Le indagini di André Dupin, nonché co-autore del soggetto di Un torrido inganno ndr), cui si sono aggiunti pian piano altri collaboratori: alcuni, come Nicola, sono entrati come allievi nel secondo corso del 2008 – il primo fu da Gennaio a Giugno e il secondo partì a Settembre, che è il mese in cui ogni anno iniziamo i corsi. Nicola è uno degli esempi di quei ragazzi che hanno iniziato come allievi, che si sono rivelati di grande talento e che, continuando il percorso con noi, hanno finito per diventare insegnanti – chiaramente passando per altri step formativi, come la scuola Nemo nel suo caso. Anche Luigi Simonetti, che adesso è uno degli autori dello #Sfilatinozen, è arrivato come allievo e pian piano l’abbiamo “costretto” a fare qualcosa. In questi anni abbiamo messo in piedi molti progetti, tanto che la mostra allestita alla fiera di Taranto Comix racconta i nostri sette anni di attività. Ci piace in questo modo trasmettere anche un messaggio a livello territoriale, ovvero che “si può fare”, come è capitato a noi, che pian piano abbiamo conquistato una ribalta nazionale. Alla fine che cosa è il LABO, nel ristretto “fumetto-mondo” lo sanno tutti e non abbiamo nulla da invidiare ad altri collettivi che fanno auto produzione, siamo anzi tra i più noti a livello nazionale.
Questo aspetto è ancora più marcato se consideriamo che io personalmente non ho avuto una formazione strettamente legata al fumetto, mi sono diplomato in quello che adesso si chiama Liceo Pedagogico (ex Istituto Magistrale) e poi ho una laurea in Sociologia. Però ho sempre avuto una grande passione per i fumetti e mi è venuta pian piano l’idea di scriverli (dopo essermi reso conto di non essere portato per il disegno). Da lì è venuta l’idea di radunare intorno a me altre persone con questa passione. Quindi anche per me è stato un “imparare facendo”, sostanzialmente sono un autodidatta. Gabriele invece ha una formazione più specifica, ha fatto il Liceo Artistico e l’Accademia d’Arte.
Parlando de Le indagini di André Dupin, ricordo che, ancora fino a poco tempo fa, si sosteneva come i racconti di genere in Italia non funzionassero (motivo per cui, ad esempio, molti eroi del fumetto popolare agiscono all’estero). Nel vostro caso, invece, non solo avete ignorato questa idea, ma addirittura avete esaltato la natura “locale” dell’opera ambientandola a Taranto.
Gianfranco Vitti: L’idea di ambientare una storia a fumetti nella mia città la coltivavo da sempre, non tanto per l’omaggio al luogo – che poi comunque viene da sé – quanto perché volevo sovvertire i classici stilemi di ambientare queste vicende nelle solite città come Parigi o New York o altre grandi metropoli. C’era anche il particolare non secondario di ambientare il fumetto in una città che conoscevo bene e che quindi mi permetteva di reperire materiali e informazioni più specifiche e dettagliate in modo più facile. La scelta di inserire a Taranto un protagonista francese è un omaggio al fumetto della scuola franco-belga, che riprendo anche nello stile, e che amo particolarmente. L’arco temporale degli anni Cinquanta, invece, mi ha sempre affascinato molto, sia a livello stilistico (per la moda, le atmosfere), sia perché più legato al genere noir, come codificato dai francesi. Questo, sebbene André Dupin non sia il classico noir, perché di drammatico ha poco e l’atmosfera è alleggerita da un taglio più da commedia, che rientra pure nella voglia di sovvertire le strade più semplici per arrivare al pubblico.
Come vi siete documentati nello specifico?
Gianfranco Vitti: La documentazione è stata la più classica: grazie ad amici e conoscenti più grandi sono riuscito a reperire libri sulla Taranto del passato. Altri aiuti sono stati forniti dalle foto di mio padre da ragazzo, e il resto è arrivato tramite le fonti più consolidate fornite da internet e dai social network. In questo modo ho potuto costituire un corposo archivio fotografico che mi è servito da modello per la realizzazione. Tutto questo, fermo restando che, alla bisogna, ci siamo anche presi qualche licenza artistica.
Fabrizio Liuzzi: Diciamo che la Taranto di Dupin all’occorrenza diventa un po’ come la Springfield dei Simpson. Quindi magari è possibile trovare anche qualche location che non c’è mai stata a Taranto: la chiesa abbandonata di Un torrido inganno, ad esempio, ha dei riferimenti reali, ma nella campagna di Leporano non esiste e abbiamo deciso di metterla perché ci serviva.
Ho notato che poi, a parte, avete realizzato anche delle tavole sul solo soggetto della Taranto antica, quindi è evidentemente un tema nel quale avete trovato una forte ispirazione.
Gianfranco Vitti: Sicuramente. Poi io ho sempre vissuto qui a Taranto, a parte una breve parentesi a Lecce per frequentare l’Accademia di Belle Arti, quindi, anche a livello inconscio, è sempre rimasto forte il legame con la mia terra.
Un aspetto che mi ha colpito è la sintesi di classico e moderno: stile visivo da scuola franco-belga, ambientazione d’epoca, ma grande modernità nei dialoghi e nei rapporti fra i personaggi, con un protagonista, Dupin, che spesso si vede scavalcare dalla sua assistente Agata. E’ stata un’idea chiara fin dall’inizio o si è sviluppata in corso d’opera?
Fabrizio Liuzzi: A quello ci si è arrivati anche per la diversità degli autori, che ha favorito un confronto fra diversi modi di pensare. Ognuno di noi ha portato il proprio background di lettore, che ha fornito differenti ispirazioni a cui attingere. Da qui sono venuti i contrasti, che poi sono diventati segni distintivi, come quello fra il giallo e la commedia. Il personaggio di Agata poi è stato chiaramente studiato per suscitare determinate reazioni e credo che con lei abbiamo colpito nel segno, prova ne sia il fatto che piace moltissimo al pubblico femminile: è una donna emancipata negli anni Cinquanta e peraltro non abbiamo ancora rivelato il suo passato… quindi non è la solita spalla, relegata al semplice ruolo di ascoltatore del detective, ma, al contrario, aiuta e contribuisce in modo attivo. E’ una vera co-protagonista.
I vostri riferimenti sono stati esclusivamente letterari e fumettistici, o c’è anche qualcosa di cinematografico? Penso a certi esperimenti come Caccia al ladro di Hitchcock o La ragazza che sapeva troppo di Mario Bava, nell’unione di giallo e commedia.
Gianfranco Vitti: Inconsciamente penso sia normale che subentrino tante influenze e personalmente ritengo che ogni artista che si rispetti debba avere una cultura di tutte le arti visive, dal fumetto, al cinema alla lettura – io sono un grande appassionato di letteratura gialla e noir. Un lettore di Delitto d’autunno ci ha detto che il fumetto gli ricordava molto Il Commissario Montalbano e questo mi ha fatto molto piacere. E’ infatti un personaggio che adoro e non perdo un’uscita di Andrea Camilleri. Sicuramente qualcosa ritorna, e anche se non si sono letti i romanzi, magari si è visto lo sceneggiato televisivo: lì c’è un’ottima trama gialla di fondo, ma c’è poi anche una bellissima caratterizzazione dei personaggi “da commedia”, che gravitano attorno a Montalbano.
Fabrizio Liuzzi: Forse nelle atmosfere c’è tanto dei film noir, ed è un aspetto riconducibile più a Gianfranco, che ha una cultura specifica, mentre io sull’argomento sono meno competente. Nei toni e nel tipo di narrazione, invece, c’è forse più la fiction italiana, come il citato Montalbano o Don Matteo, con le indagini arricchite da personaggi che alleggeriscono la vicenda gialla. Comunque non mancano anche episodi cruenti, in Delitto d’autunno c’è un morto ammazzato, anche nel secondo numero non manca il crimine. Ma, anche attraverso il tratto, lo abbiamo reso meno drammatico di quanto poteva essere e assolutamente non splatter.
Infatti i personaggi sono così riusciti che, almeno per quanto mi riguarda, a un certo punto ho smesso di “preoccuparmi” della trama gialla e mi sono lasciato avvolgere dall’insieme della vicenda.
Gianfranco Vitti: L’obiettivo che ci eravamo prefissi all’inizio era quello di stimolare il lettore a risolvere l’enigma giallo, indovinando magari l’assassino, ma anche di strappargli un sorriso tra un indizio e l’altro. Fra l’altro possiamo anticipare che nei prossimi numeri verrà dato più spazio al passato dei personaggi principali e scopriremo cose ancora non dette.
Il primo numero è stato distribuito dalle Edizioni BD, che ogni anno pubblica i vincitori del Lucca Project Contest ed è un importante editore nazionale. Il secondo esce invece in forma autoprodotta. Da un certo punto di vista può apparire quasi un passo indietro. Com’è andata?
Gianfranco Vitti: A livello di prestigio, una distribuzione nazionale con un editore importante fa piacere a chiunque, aiuta anche la diffusione dell’opera stessa. Autoprodursi significa avere una vetrina limitata, con quelli che possono essere i mezzi di un’associazione come la nostra. Le Edizioni BD, da questo punto di vista, sono una grossa casa editrice, con mezzi decisamente molto potenti e in grado di fornire un’ottima vetrina. Questo, fermo restando che ci hanno fatto capire in maniera abbastanza chiara che non hanno come obiettivo la produzione di materiale italiano. Le edizioni BD, più che altro, acquistano diritti di prodotti già pronti dall’estero – dalla Francia soprattutto – e poi distribuiscono in Italia.
Nicola Sammarco: Va comunque aggiunto come Delitto d’autunno abbia fatto il tutto esaurito, ed era la prima volta in almeno dieci anni che il Project Contest di Lucca non raggiungeva un simile risultato. Tutte le copie sono state vendute, anche al di là della distribuzione su Taranto, e magari si poteva anche rischiare una ristampa. BD comunque, come tutte le case editrici del settore, lavora su tirature molto più ampie di quelle che possono essere le mille copie su cui operiamo attualmente. Fatto questo che spiega anche perché sarebbe stato più difficile proporre allo stesso editore la stampa del secondo volume.
Quindi il riscontro è andato ben al di là della scena locale?
Gianfranco Vitti: Assolutamente sì. Oltre al successo di vendite, siamo stati contattati da tutta Italia per sapere come reperire il primo volume e lo stesso è accaduto con il secondo. Indubbiamente, uno dei vantaggi dell’autoproduzione è la libertà artistica, non si ha a che fare con un editor che ti pone tante limitazioni.
Mara Venuto: Questa può comunque essere anche una terribile arma a doppio taglio, se non si è capaci di fare da soli un lavoro del genere.
Gianfranco Vitti: E’ vero, ma in tutta onestà ci sentiamo di poter dire che siamo riusciti a mantenere costante il livello qualitativo. Una cosa che mi preme sottolineare è che Fabrizio è stato molto bravo nell’esprimere una trama gialla nelle poche tavole del formato, perché questo genere è molto difficile da gestire, non si possono fare errori che rischiano di banalizzare tutto.
Dopo un periodo di silenzio, Taranto sembra essere diventata un interessante laboratorio fumettistico: emergono nomi interessanti, alcuni autori approdano alle maggiori case del mondo… voi avete iniziato quando la scena locale era quasi inesistente: come avete visto il mondo “cambiare intorno a voi”?
Gianfranco Vitti: Più che altro non c’era un canale attraverso cui i giovani potessero dare sfogo alla propria creatività. Nicola è uno degli esempi più lampanti: probabilmente il suo talento sarebbe rimasto inespresso, se non avesse trovato un riferimento ideale. Lui per fortuna ha già tutte le competenze tecniche per poter lavorare a qualsiasi livello, nonostante la giovane età, e ha trovato in LABO un riferimento che lo stimolasse. Il confronto con gli altri, in fondo, serve anche a questo. Io, ad esempio, avevo inizialmente abbandonato il progetto di Dupin, si restava a livello di impressioni dei parenti (che, si sa, sono sempre positive). Poi, però, l’incontro con Fabrizio e Gabriele mi ha aperto le strade di un confronto a livello professionale che è stato di forte stimolo. Inoltre, la gente può pensare che disegnare sia facile e divertente, ma è invece molto impegnativo, sono circa otto ore di lavoro per ogni tavola. La possibilità di avere vicino delle persone che ti spronano ad andare avanti e a migliorare diventa così determinante.
Nicola Sammarco: Io posso portare anche l’esperienza della scuola Nemo, a Firenze – che è una scuola d’animazione, non di fumetto. Il confronto è sempre utile, lì poi ci hanno fatto conoscere personalità che hanno lavorato nel settore per decenni e tutto questo è stato molto stimolante. I professionisti ti invogliano a migliorare e lavorare. Naturalmente il raggiungimento di un livello professionale implica tante ore di lavoro al giorno, altrimenti è impossibile anche soltanto reggere i ritmi di 40 o 50 tavole alla volta. Possono sembrare poche, ma in realtà comportano un grande impegno. Ora a Gennaio dovrei iniziare un progetto per la Francia, di circa 50 tavole, ed è sempre una grande sfida. Questo anche perché – personalmente – sento pure il peso della routine, ho sempre voglia di fare qualcosa di diverso. Quindi i fattori che entrano in gioco sono tanti, ma il lavoro è lavoro e bisogna abituarsi.
Progetti per il futuro?
Gianfranco Vitti: C’è sempre Dupin nel progetto che vede uniti me, Gabriele e Fabrizio. Il primo ciclo sarà composto da quattro episodi, che rappresentano le quattro stagioni: il primo, come da titolo, è ambientato in autunno, Un torrido inganno in estate e i prossimi due completeranno il tutto. La speranza, poi, è quella di trovare un editore per dare vita a una serie vera e propria.
In questi casi come si procede, quali strade offre il mercato attuale?
Gianfranco Vitti: Per il progetto di Dupin vogliamo proporre una miniserie di circa 6 numeri.
Fabrizio Liuzzi: Lo standard è di 6-8 o anche 12 numeri, ma inizialmente vogliamo tenerci bassi. Proveremo perciò con 6 numeri, se poi un eventuale editore ci proponesse di ampliarla ben venga. L’idea è quella di andare sul modello bonelliano, con Dupin come personaggio-simbolo. Naturalmente non sarà proposto subito alla Sergio Bonelli Editore, che è un punto d’arrivo successivo, nel senso che difficilmente accetta idee da qualcuno che non è già interno all’azienda e che non ha fatto esperienza sulle loro serie. Al momento non siamo insomma all’altezza dei loro standard. Quindi punteremo a case bonelliane nell’impostazione, anche con storie più lunghe. Lo standard della Bonelli è infatti di 94 tavole, contro le circa 50 del formato attuale. La miniserie dovrebbe poi avere anche una trama di fondo di più ampio respiro: non una vera e propria continuity – i volumi sarebbero sempre autoconclusivi – ma con spunti che si articolano su più numeri, svelando il passato dei personaggi. Scopriremo cosa ci fa Dupin a Taranto e tutto quello che non abbiamo ancora svelato e che affronteremo solo in parte nel ciclo delle quattro stagioni.
Parlatemi anche del nuovo progetto #Sfilatinozen.
Mara Venuto: E’ un progetto agli inizi, al momento esiste uno speciale natalizio, una sorta di “antipasto” (per rimanere in tema culinario) scritto da me e Luigi Simonetti e disegnato da Andrea Buongiorno “Buong”. Sono una ventina di pagine con due storie autoconclusive e questa sarà la formula che porteremo avanti: storie autoconclusive intervallate da ricette, quasi tutte della tradizione pugliese. Più in là proporremo anche altri tipi di cucina, da quella etnica a quella vegetariana. L’idea di questo albetto è dare un’anticipazione che spieghi cosa vogliamo fare. I singoli episodi andranno poi sul web, per proporre infine a Lucca un albo che raccolga tutti gli appuntamenti mensili del blog, di storie e ricette. Ci saranno naturalmente anche altri brevi speciali tematici simili a questo, legati ad altre festività come il Carnevale o la Pasqua. Le ricette sono precise e spiegano ogni passaggio, trucchi inclusi, per far sì che anche chi non ha nessuna esperienza in cucina possa essere guidato punto per punto. Nell’albo, non a caso, io faccio la parte di quella che non sa cuocere nemmeno un uovo al tegamino. Grazie all’esperienza di Luigi, che ha un panificio, possiamo garantire anche delle ricette autentiche. Inoltre, proprio il lavoro nel panificio fornisce materiale per alcune delle gag presenti nelle storie. C’è una componente biografica, in mezzo a tanta ironia. L’idea non a caso nasce dalle nostre conversazioni: anche se nella realtà so cucinare, in una circostanza avevo davvero bisogno di un aiuto e ho chiesto a Luigi di svelarmi qualche trucco. Da lì è nata l’idea di un ricettario umoristico a fumetti.
(Si ringrazia Miriam Putignano e la libreria Gilgamesh per la collaborazione).
Foto e immagini provengono dalla Pagina Facebook e dal blog di LABO Fumetto: