E la storia si ripete: dopo la candidatura a Capitale Europea della Cultura 2019 ecco che, a inizio marzo, è stata proposta, questa volta dal Presidente del Consiglio Comunale Piero Bitetti (candidato consigliere alle prossime elezioni regionali nelle liste del PD), quella a Capitale Italiana della Cultura 2016/2017. Insomma, questa cultura, a Taranto, si conferma il jolly da tirar fuori dal mazzo a ogni occasione!
La deadline per la presentazione delle candidature era il 31 marzo; a Taranto il tavolo di discussione per la presentazione della candidatura si è riunito il 30 marzo. Niente di più comodo, da parte dei promotori, che lanciare qualcosa di già preconfezionato (le poche proposte pervenute): il brand “Tarʌnto (o “TarLnto”, se si usa l’alfabeto latino) Città Spartana”, la solita enogastronomia – chianchiaredde e cozze per tutti giusto per essere internazionali – e digitalizzazione (?). C’è, tuttavia, una grande assente in questo ennesimo tentativo di farsi venire un’idea brillante: la cultura. Sì, perché si è caduti, come di consueto quando si parla della tematica a Taranto – ma non solo, oramai! –, nell’imbarazzante identificazione della cultura con il turismo senza ricordare che la prima è strettamente collegata alla diffusione della conoscenza (tutela del patrimonio, sviluppo della ricerca e tutto ciò che nasce e gravita attorno all’art. 9 della Costituzione), mentre il secondo è una voce del bilancio economico statale; e, soprattutto, che il turismo è semmai derivato della cultura, dunque non la genera. Insomma, poche idee e anche confuse! Certo, il Ministero per i Beni, le Attività Culturali e chi più ne ha più ne metta, a furia di arricchire il proprio acronimo di letterine sempre nuove, ha finito con l’inglobare anche il turismo, gettando le basi per questa confusione; ma della mancanza di una capacità critica che porti a capire cosa sia la cultura e cosa sia il turismo non può essere incolpato certo il Ministero.
Eppure basterebbe guardare bene dentro la città per scoprire che, a livello culturale, qualcosa ferve davvero: sono le iniziative di quelle associazioni e figure professionali che valorizzano quotidianamente il territorio, dalle tradizioni fatte rivivere in maniera documentata e, comunque, originale, alla comunicazione del patrimonio innanzitutto per i cittadini (ne abbiamo parlato qui): iniziative che si perdono di vista nella costante ricerca de sensazionalismo a tutti i costi. C’è un problema chiamato Città Vecchia – relativo soprattutto al suo consolidamento architettonico e alla sicurezza del cittadino – che a prima vista pare non aver posto tra spartani, enogastronomia e digitalizzazione: eppure, tra gli obbiettivi previsti dal bando, si parla chiaramente di “processi di rigenerazione e riqualificazione urbana”; così come non sembra di scorgere alcun punto di apertura nei confronti delle devastate periferie cittadine, completamente scollate dal centro e prive di qualsivoglia servizio, anche culturale. A meno che non si intenda per riqualificazione urbana la costruzione di uno Stargate sul Ponte Punta Penna o statue che costituiscano un “richiamo a un tipo di opera classica” (sic! qui, min 1:41:20) seminate qua e là (magari in sostituzione di opere d’arte!).
Le iniziative come gli “eventi” legati all’enogastronomia – si suppone che questo sia il modo ingegnato per promuovere i prodotti locali – non possono garantire, inoltre, il turismo che si cerca di sollecitare. Una città senza prospettive culturali non può sperare di attrarre visitatori o, comunque, turismo di qualità. Non è con monumenti posticci o iniziative stralocalistiche che si incuriosisce il visitatore che, in genere, la città vorrebbe conoscerla tutta, anche nei suoi aspetti sociali. Purtroppo la concezione ricorrente è quella di intendere il turista come un portafogli ambulante, uno che deve venire e lasciare a Taranto la tredicesima. A Taranto, dove il forestiero che esce dalla stazione non ha idea di dove sia arrivato! Operazioni che, al limite, spingono il visitatore a non tornare mai più (e come dargli torto!). D’altra parte, si parla di una città che, candidata Capitale della Cultura, alla vigilia dei riti della Settimana Santa – il principale evento di folklore popolare tarantino legato a una solida tradizione, nonché alla devozione – getta cemento (dopo averci provato col catrame) per tappare i buchi sui marciapiedi di Città Vecchia (ma si sa, il cemento è la soluzione a tutti i guai da queste parti…) senza alcuna attenzione al decoro del luogo, con interventi frettolosi e dozzinali, come frettolosa e dozzinale appare questa partecipazione al fotofinish alla competizione culturale nazionale.
Ci si sarebbe aspettato, all’indomani dell’elezione di Matera a Capitale Europea della Cultura, tutt’altro atteggiamento: magari iniziare con il fare rete sia con la città dei Sassi che con Lecce, possibilmente facendo qualcosa di più concreto e funzionale dell’aumento del limite della velocità richiesto da Stefàno al Presidente dell’ANAS; attendere, studiare per bene i passi di chi partecipa e vince per comprendere i processi, senza andarsi a bruciare immediatamente con proposte che hanno poco a che vedere con la diffusione del sapere e con quella che viene chiamata “industria culturale”. Ma, soprattutto, dare il via a una politica culturale degna di questo nome!
Agli esempi virtuosi delle vicine Matera – che intitola, intanto, un museo della fotografia a Pino Settanni, grottagliese di nascita – e Lecce – dove la ricerca storico artistica ha recentemente portato alla riscoperta di un dipinto di Paolo Veronese eseguito per il capoluogo salentino – fa da contraltare a Taranto la costituzione, da parte di un privato, di un “Museo spartano” (sic!), già definito “nuovo polo culturale”, che promuove l’esposizione di materiale fatto ier l’altro. Matera e Lecce, così vicine, così lontane: città che hanno impiegato decenni per diventare quel che sono oggi, facendo leva su ciò che hanno – per Matera i Sassi (e non, come si sente dire, “quattro pietre”), per Lecce il Barocco, aspetti che poco hanno a che vedere con la loro fondazione – e lavorando sodo, facendo scommesse importanti, rinascendo dalle loro stesse macerie.
A Taranto si preferisce proporre il Luna Park di un passato che, materialmente, non c’è! Una vera capitale del tarocco!
Per questo Taranto non è pronta a un’impresa del genere e, se si continua in questa maniera, non lo sarà mai. Magari, nel fervore che il Governo sta cercando di dimostrare nei confronti della città vista l’impossibilità di arrivare a una soluzione reale sulla questione dell’ILVA, non ci si meraviglierebbe di vedersi dare l’ennesimo contentino, sprecando, da par nostro, una possibilità che si sarebbe potuta giocare un po’ meglio se solo si fosse avuta l’umiltà di studiare e imparare dai vicini di casa. Forse sarebbe il caso, visto l’art. 8 del decreto 1/2015, di intavolare una trattativa seria con la Marina Militare per la valorizzazione in chiave culturale dell’Arsenale: un momento propedeutico se si vuole recuperare alla cittadinanza un’area di grandissima importanza storica; o, ancora, di avviare azioni sul territorio che mettano in parallelo la riqualificazione urbanistica, la diffusione della cultura e il benessere sociale.
Ma questo significherebbe poter contare su una propensione reale – quanto necessaria – alla progettualità, a lungo termine ma con prospettive concrete, nel campo della cultura; una propensione per la quale, tuttavia, pare essersi smarrita la bussola.
Il guaio è che nessuno si cura di cercarla…
StecaS