In un momento di particolare fervore e circolazione di idee in città, relative soprattutto ai suoi aspetti urbanistici e culturali, si rischia, tra proposte e controproposte, progetti e pseudo-progetti, di perdere l’orientamento rispetto alle priorità della città. La candidatura di Taranto a Capitale Italiana della Cultura 2016/2017, come abbiamo visto, non risponde ai quesiti fondamentali relativi soprattutto alla riqualificazione del territorio. Mentre a Taranto si lavora alla redazione di un Piano Urbanistico Generale (P.U.G.), la cittadinanza attiva promuove idee e propugna interventi sulla città. Per capire di più su quanto sta avvenendo, abbiamo intervistato il Presidente dell’Ordine degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori della Provincia di Taranto Massimo Prontera, da sempre attento alle dinamiche che interessano a vari livelli il territorio.
Presidente, si sente così tanto parlare di P.U.G., vuol spiegarci esattamente di cosa si tratta?
Il Piano Urbanistico Generale è l’ultima generazione dei vecchi Piani Regolatori Generali. È lo strumento principe di pianificazione con il quale ogni Comunità organizza il proprio territorio comunale. Rappresenta l’occasione preziosa per ragionare, confrontarsi e condividere visioni e strategie comuni sulle dinamiche urbanistiche e sociali che caratterizzeranno un territorio per almeno vent’anni. Come tutti gli strumenti urbanistici contiene proiezioni politiche e documenti tecnici. Le “proiezioni” sono il risultato tra l’indirizzo politico dell’Ente civico che propone una propria visione di città e il confronto continuo e costruttivo con tutte le realtà sociali ed economiche che vivono il territorio, semplici cittadini attivi, associazioni, organizzazioni professionali, sindacati. Il confronto e la condivisione di visioni e strategie diventa quindi l’elemento essenziale e la chiave di un più probabile successo per uno strumento che misura i propri risultati nell’arco di molti anni.
Quali dovrebbero essere le priorità del nuovo Piano urbanistico?
Dopo 40 anni di applicazione del vecchio Piano regolatore la situazione urbanistica della città è tragicamente complessa e di difficilissima gestione. Il Piano Regolatore del 1974 aveva immaginato una città fortemente estensiva, pianificata per insediamento di oltre 300mila abitanti (dimensione che la città non ha mai raggiunto neanche nei periodi di maggiore crescita demografica ed economica), che abbracciasse ampie porzioni di territorio urbano da ovest a est della città cosiddetta consolidata, interessando finanche le aree a ridosso del Mar Piccolo. Gli anni dell’abusivismo edilizio poi hanno fatto il resto e miriadi di costruzioni pressoché unifamiliari hanno invaso terreni agricoli e fascia costiera, allargando a dismisura una città che ancora oggi, ridotta a poco più di 190mila individui, fatica a gestire i propri servizi e a mantenere decorosa la manutenzione delle sue aree pubbliche e delle proprie infrastrutture. Una città senza servizi, dove gli standard previsti nelle norme del PRG sono spesso rimasti sulla carta o sono stati considerati più un numero da raggiungere che un valore da ricercare e ottenere. A questo si aggiunga che per paradosso mentre il PRG tracciava una città in espansione continua, un’altra città, quella storica, veniva ridisegnata attraverso la tutela del Piano di Recupero che ne preservava memoria e consistenza architettonica ed urbanistica. Facile capire oggi, tra le due spinte centrifuga e centripeta chi ne ha avuto la meglio. Per questo motivo, in una città in contrazione progressiva di abitanti, con un parco edilizio che ha saturato le aree a disposizione, una città storica in abbandono e un Borgo in agonia, con una serie di periferie sterminate e disumanizzanti, è necessario come l’acqua dotarsi di un nuovo strumento che sappia rispondere alle esigenze della città dei prossimi anni e che sappia cogliere le occasioni che potranno aprirsi per un territorio che cerca riscatto e riconversione economica.
A che punto è la stesura del nuovo P.U.G.?
I redattori del Documento programmatico preliminare, documento di indirizzo politico importantissimo e indispensabile per dare avvio alle fasi progettuali del P.U.G. hanno iniziato il proprio lavoro da oltre un anno ma devo dire con rammarico che, finora, pochissimi sono stati i momenti pubblici di confronto con la cittadinanza o con le parti sociali preliminari alla sua stesura. La fase di partecipazione e di confronto è indispensabile ma, sinora, nonostante la nostra disponibilità al confronto, formulata ufficialmente a più riprese, con il nostro Ordine professionale non è mai stato avviato alcun dialogo e alcun incontro. Mi pare di capire invece che così non è stato per altre categorie, con le quali, anche attraverso le notizie di stampa e TV apprendo che i contatti ci sono e sono frequenti. Non vorrei che questa “dimenticanza” fosse il sintomo di qualcosa di cui non siamo a conoscenza o che ci sia una precisa volontà di non avere con noi un confronto. Noi siamo sempre a disposizione ma ad un certo punto ognuno è libero di scegliere i propri partner.
Che ruolo ha la Città Vecchia in questa pianificazione?
La Città Vecchia, in questo ambito di pianificazione, ha un ruolo prioritario. Tutto deve partire dalla Città Vecchia, tutto deve concludersi nella Città Vecchia. La Città Vecchia e il suo recupero funzionale ed architettonico, oltre che infrastrutturale, deve essere il metro di ogni azione sull’intero territorio urbano per i prossimi anni. La rigenerazione urbana ed edilizia di questa parte di città da mero slogan deve trovare la propria declinazione pratica in interventi qualificanti e mirati, che tendano a creare “reazioni a catena” positive. In parte c’è riuscita la scelta di qualche anno fa di allocare nell’ex convento di San Francesco le facoltà umanistiche della sede ionica dell’Università, creando le basi per un indotto legato alla presenza di studenti e docenti – allungando i tempi di vita e fruizione di quella parte del quartiere e coinvolgendo gestori di nuovi bar e ristoranti, piccole e medie strutture ricettive, piccolissimi negozi di vicinato, insomma tutto ciò che contribuisce solitamente alla vita quotidiana di un quartiere normale. Una novità assoluta per la Città Vecchia, che è stata una vera boccata di ossigeno per un’isola in agonia.
E per il futuro cosa sarebbe necessario fare?
Ora il processo deve indirizzarsi a politiche che tendano a incrementare il numero di residenti con azioni di incentivazione alla riqualificazione, al riuso di immobili storici, al restauro degli innumerevoli edifici di pregio di cui la città vecchia è ricchissima. Una azione che deve vedere impegnati, con un unico obiettivo comune tutti i soggetti titolati ad intervenire. Comune, Curia, privati. Il processo, come ho detto in tante occasioni, sarà lungo e difficile. Le risorse a disposizione sono sempre scarse ma non abbiamo alternative, non dobbiamo avere alternative. Soprattutto non dobbiamo essere nuovamente “distratti” da spinte centrifughe che oltre che inutili sarebbero certamente dannose. Il centro storico è in una condizione strutturale molto critica. Chi ha avuto modo di frequentarlo durante questi giorni di festività pasquali avrà certamente notato che gli stabili puntellati sono sempre di più e che il senso generale di incuria e abbandono svilisce gli importanti interventi di riqualificazione, piccoli o grandi, che comunque in questi anni si sono eseguiti con lo sforzo economico e imprenditoriale di soggetti privati che nella rinascita del centro storico ci hanno creduto e ci credono ancora. A costoro va fornito un supporto concreto da parte delle istituzioni abilitate a farlo. Supporto di natura incentivante ma anche semplicemente e banalmente un contesto ambientale più pulito e ordinato nel quale poter operare.
Qualche tempo fa, in un incontro indetto dall’Ordine che presiede, si è parlato molto di prospettive legate all’art. 8 del decreto 1/2015, che prevede disposizioni tanto per l’Arsenale quanto per la Città Vecchia. E’ stato affermato che non si parte da zero. Lei è d’accordo?
Non si parte mai da zero e nessuno inventa nulla. E’ sempre doveroso prendere in considerazione ciò che è stato prodotto in passato e verificarne però sempre la rispondenza con le esigenze e necessità della contemporaneità. Ma ciò non deve significare rispolverare vecchie progettazioni dai cassetti. Lo abbiamo detto fermamente in ogni momento in cui si è parlato di nuove occasioni per riprogettare la nostra città. Negli ultimi 30 anni purtroppo si è progettato tanto, spesso male, ma soprattutto senza avere una precisa visione di futuro. Le sfide che questa città ha perso nella sua storia recente sono lo specchio di una comunità che non ha saputo analizzarsi adeguatamente e non ha saputo dare risposte altrettanto adeguate e di alto profilo ai problemi che ha incontrato nel suo percorso. Durante il nostro incontro pubblico per presentare la nostra posizione su quanto previsto dall’art. 8 del Decreto 1/2015, abbiamo da subito precisato che avremmo dato credito all’azione governativa a patto che quell’articolo, oltre che di slogan e di principi, si fosse riempito anche di numeri.
E questo è avvenuto?
Nella conversione in legge del decreto i numeri da noi auspicati non sono stati inseriti. Per cui, oltre ad un annuncio che lascia ancora intravedere uno spiraglio di novità e speranza, non vi sono cifre che possano supportare qualunque idea si voglia proporre. Si brancola ancora nell’assoluta incertezza circa i reali intendimenti del governo su Taranto, se questa concessione di nuovi finanziamenti per Città Vecchia e Arsenale Militare sia effettivamente reale o solo virtuale, sia parte di un progetto organico in cui il governo crede o sia l’ennesimo contentino per una città in ginocchio, capace ormai di accettare qualunque cosa pur di sfamare i propri concittadini. Noi abbiamo garantito la disponibilità del nostro Ordine per tracciare insieme a Comune e Autorità militare un percorso di idee che ci possa portare a proporre solo progettualità coerenti con queste idee, evitando la solita “lista della spesa” inutile e di basso profilo. Per ora, a parte qualche timido accenno di interessamento iniziale, non abbiamo ricevuto alcuna risposta concreta. Nei prossimi giorni di questo chiederemo conto nuovamente ai due interlocutori e non faremo sconti a nessuno qualora le proposte che saranno presentate non dovessero rivelarsi coerenti, a nostro avviso, con il processo che abbiamo individuato.
Recentemente Taranto è attraversata da un’ondata di progettualità legata a una riconversione del territorio in chiave culturale. Come valuta queste proposte?
Taranto è una città tutt’altro che sopita. Mai come in questi ultimi anni si registra una vivacità culturale ritrovata, spesso allo stato embrionale, molto più spesso episodica ma sicuramente evidente. Solo chi non si interessa di iniziative culturali può non accorgersene. Il problema reale è che le tante iniziative che vari soggetti propongono e realizzano non riescono ad avere un interlocutore istituzionale che sappia metterle a “sistema”, che sappia valorizzarle adeguatamente, che sappia identificare e premiare le iniziative di qualità, tante, da quelle, purtroppo altrettante, di basso profilo. In un sistema culturale così puntiforme, dove il ruolo primario lo rivestono soprattutto le nuove generazioni, capaci di portare idee originali ed innovative e di inventarsi contenitori culturali in una città che non ne ha, ci sono sempre le strutture culturali di eccellenza che invece faticano a trovare lo spazio e la visibilità che meriterebbero.
A quali strutture si riferisce?
Mi riferisco ad esempio al Museo Archeologico Nazionale, da oltre un secolo tra i più importanti contenitori culturali non solo italiani ma europei ma che strappa così pochi biglietti al giorno da non giustificarne quasi neppure l’esistenza. O, all’opposto, il Castello Aragonese nella sua nuova veste di museo di sé stesso, capace di accogliere migliaia di visitatori in un solo giorno. Museo e Castello quali strumenti culturali per accrescere le conoscenze in un territorio e nei suoi abitanti. Non solo strumenti per fare cassa. Cultura, quindi, come elemento prioritario di riscatto di un popolo e di consapevolezza della propria identità. Poli di attrazione di questo genere, Museo e Castello, da soli potrebbero diventare elementi su cui costruire, con forza, una idea di riconversione in chiave culturale del nostro territorio ed iniziare ad immaginare anche una alternativa economica credibile. Senza costruire ad arte miti, leggende, identità farlocche o altro che vedo proliferare negli ultimi tempi che pretenderebbero di ridurre all’essenziale una storia plurimillenaria complessa e per questo interessantissima ed unica come quella di Taranto.
Nel frattempo è sorto un “Museo spartano”…
Per esporre cosa? Per aggiungere cosa?
Cosa ne pensa della candidatura a “Capitale italiana della Cultura 2016/2017” che fa perno sul brand “Taranto città spartana”, enogastronomia e digitalizzazione?
Guardi, qui il parere che esprimo è assolutamente personale. Più che una proposta coordinata mi sembra la mera sommatoria delle proposte pervenute al comitato proponente, come emerge chiaramente dalla lettura di quanto riportato sul sito internet. Per quanto il tempo a disposizione fosse poco, mi sembra che un incontro convocato solo il giorno prima della scadenza del bando con tutte le realtà potenzialmente interessate la dica tutta su come sia stata partorita la candidatura. Non critico nessuno ma mi pongo qualche domanda. A chi giova presentare un progetto che non ha alcun elemento di sintesi tra i tre macro argomenti proposti? E soprattutto, dove è il forte elemento culturale che giustificherebbe il successo della candidatura? Onestamente non vedo nulla di minimamente rilevante e siamo lontanissimi anche dai ragionamenti e dallo sforzo di elaborazione che ha caratterizzato la pur zoppicante candidatura di Taranto a Capitale europea della Cultura 2019.
Cosa bisognerebbe fare?
Bisogna avere il coraggio e anche l’umiltà di guardare all’esterno di casa nostra per capire cosa accade. Cosa accade, ad esempio, in città come Lecce o Matera, solo per restare tra quelle a noi geograficamente più vicine. Cosa viene pensato, elaborato, condiviso e realizzato in ambito culturale. Il livello qualitativo delle proposte e degli eventi. L’alto profilo delle risorse messe in campo. Bisogna leggere e studiare le altre realtà, avendo la capacità anche di copiare le esperienze migliori quando ritenute funzionali e riprodurle in salsa locale. Basta che non si voglia pretendere, ancora una volta, una qualsivoglia forma di risarcimento alle nostre disgrazie, attraverso qualche contentino e qualche spicciolo elemosinato qua e là. O, peggio, basta che non si riveli invece la solita trovata pre-elettorale per illudere qualche centinaia di potenziali votanti. Il mondo, fortunatamente, funziona diversamente.
Tra assetto urbano di una città e vivacità culturale sembra esserci una linea rossa che le rende l’uno necessario e funzionale all’altra. C’è qualcosa che si muove effettivamente in direzione “culturale” a Taranto?
Penso che la linea rossa che congiunge vivacità culturale e assetto urbano sia la volontà, comunque, di tutti i soggetti in campo di partire dalla città quale elemento di valorizzazione culturale. Come sempre, le visioni e le strategie divergono e diventa difficile fare sintesi tra le varie proposte in campo. Ma è la città, la sua multiforme storia passata e la sua originalissima storia recente che può divenire realmente l’elemento per costruire una identità culturale che sappia promuovere la complessità. Il Castello Aragonese, come la Città Vecchia nella sua totalità, sono l’esempio vivente di questa complessità. Dalla lettura stratigrafica delle sue pietre si scorgono con chiarezza storie e popolazioni diverse che hanno vissuto il nostro territorio e che hanno caratterizzato una città che della complessità ha saputo fare la la propria ricchezza.
Ringraziamo il Presidente Prontera che, con la consueta chiarezza, ci ha fornito ulteriori spunti di riflessione e dibattito su tematiche di grande attualità. Con l’auspicio che si dia inizio a un dibattito che tenga in conto di tutti gli aspetti che gravitano attorno alla città, senza barcamenarsi nella ricerca di improbabili soluzioni definitive, ma tenendo conto che la rinascita di un territorio, soprattutto dal punto di vista culturale, è un processo e, come tale, ha una durata nel tempo e al tempo deve saper resistere; è, inoltre, imprescindibile da uno stato in salute della città nel suo assetto urbano, contesto nel quale Taranto Vecchia resta la priorità assoluta.
StecaS