Nell’intervista che la direttrice del MArTa ha concesso a Taranto Buonasera sono emersi degli spunti interessanti; si è parlato di progettualità seria, di rigore scientifico che deve accompagnare l’allestimento di un museo (cosa che non viene fatta in altri musei della città) e di un rilancio culturale della città.
Eva Degl’Innocenti, insediatasi da un anno, ha cercato di leggere la crisi identitaria di una città che ha perso il suo legame con il mare, che vorrebbe affrancarsi dall’industria, alla ricerca di quel turismo forzato che ancora stenta ad emergere in quanto stagionale, rapsodico e senza una rete nel territorio.
Il museo archeologico, eccellenza del territorio, potrebbe essere il volano per costruire un legame identitario con la città, senza dimenticare altre risorse culturali quali il Castello Aragonese, la Cattedrale, il Museo Diocesano, Palazzo Pantaleo e etc., e i palazzi umbertini che vanno maggiormente promozionati e che invece passano in secondo piano rispetto ad alcune strutture fatiscenti della Città Vecchia.
La direttrice mi fornisce un assist quando si parla di attivismo associativo a Taranto. Nella storia recentissima della città si assiste ad un’affannosa corsa per promuovere il territorio e dare uno sviluppo turistico con iniziative spesso estemporanee che non vengono accompagnate da progettualità di spessore e non hanno criteri di scientificità, ma sembrano inserirsi in quel carrozzone del “facciamo turismo a Taranto a tutti i costi”.
L’attivismo associativo è un motore per Taranto, ma sarebbe bello se ognuno rispettasse i propri ruoli.
Chi ha le competenze (laureati, ricercatori, persone formate e dalle competenze comprovate da esperienza e certificate) deve essere messo in grado di lavorare per apportare il proprio contributo di saperi appreso sui banchi delle Università. E il mio pensiero va agli amici archeologi che faticano a trovare spazio e magari sono costretti a lavorare fuori cedendo il passo a chi si scopre da un giorno all’altro critico d’arte, “scavatore” o architetto, o ad alcune realtà culturali di rilievo che vengono gestite da “volontari” senza nessuna competenza in materia, perché dei professionisti, oltre ad essere un valore aggiunto, rivendicano serietà, rigore e responsabilità nel rapporto con i propri interlocutori.
A questo poi bisogna aggiungere le guide turistiche abusive, sprovviste di tesserino, che organizzano visite promozionandole sui social network. Spesso si tratta di persone sprovviste di titoli e competenze, che battono il ferro finché è caldo in nome della tanto sognata vocazione turistica di Taranto. Ma davvero si pensa che un’offerta turistica di qualità possa comporsi di elementi come questi? Davvero si pensa che studi accademici possano avere meno valore di studi, peraltro apprezzabilissimi, condotti sulla base di una passione personale? È vero anche che tra i professionisti può annidarsi incompetenza e superficialità, ma questo non vuol dire ignorare sacche di irregolarità che sono sotto gli occhi di tutti.
Che dire poi di un brand a cui si vorrebbe legare la città? Un brand fatto di slogan, di mascherate, di pataccate in polistirolo (fortunatamente accantonate) che si regge sull’argilla e che avrebbe voluto la distruzione della fontana di Carrino, fedele al famoso asserto nistriano della Taranto che si rinnova autodistruggendosi. Che il progetto non è supportato da una base culturale è, a mio avviso, palese.
Nella promozione del territorio da parte delle diverse associazioni “spartane”, a parte elmi, lambde e corse ad ostacoli, non ho mai sentito parlare delle preziose Kylikes laconiche con raffigurazioni di tonni e delfini rinvenute a Taranto nel 1929 o della Kylix con le due colombe affrontate rinvenuta nel 1933. Un progetto culturale strutturato avrebbe dovuto legarsi indissolubilmente con un’eccellenza tarantina quale il MArTa e con i professionisti del settore, per discutere sull’opportunità di un brand univoco e identitario di una città.
Invece, tra cori da stadio e finti misteri esoterici, si continua a solleticare quel turismo mordi e fuggi che non si lega con la città ma che va a vantaggio di quelle poche associazioni che portano l’acqua al proprio mulino in nome di un presunto rilancio del turismo tarantino.