Improvvisamente tutti i protagonisti del panorama politico italiano sono contro l’austerità: Vendola è contro l’Europa della finanza rapace; Renzi ha ultimamente paventato l’ipotesi di sforare il tetto del deficit al 3% del PIL (in modo molto sfumato, a dire il vero); Berlusconi e le destre sono anti- Euro, quindi contro il Patto di Stabilità e Crescita Europeo; ultimo, ma non da meno, il Presidente Napolitano, che si è reso garante della nostra cessione di sovranità a favore di un’entità sovranazionale – l’Unione Europea – molto economica (e molto poco politica), ha sorprendentemente criticato il «circolo vizioso tra politiche restrittive nel campo della finanza pubblica ed arretramento delle politiche europee» e lo ha fatto di fronte al Parlamento Europeo; da notare che, nel suo secondo discorso di insediamento, ricordava invece come si imponessero necessariamente «politiche di rigore e sacrifici» agli italiani.
Le recenti esternazioni degli uomini di buona volontà andrebbero sempre valutate alla luce delle azioni concrete e delle novità del momento: secondo noi le azioni concrete da parte di chi governa sono, al momento, tutte pro-austerità, e la novità è costituita dalla forte avanzata delle destre xenofobe e nazionaliste che, cavalcando l’ovvio malessere dei cittadini europei, costringe la socialdemocrazia italiana (quindi il PD e parte di Sel) a criticare in qualche modo gli effetti collaterali del Patto di Stabilità – cioè i morti, la disoccupazione, la povertà e la mancanza di istruzione – per non perdere troppo terreno in vista delle elezioni europee di Maggio.
Quando applicate, le leggi economiche – vere o presunte tali – si traducono in azioni di politica economica che incidono sulle condizioni materiali delle persone e, di conseguenza, sulla loro salute fisica e psicologica. Bisogna allora decidere con giudizio quali strade seguire e le decisioni, in democrazia, andrebbero attuate dal Governo attraverso il normale iter parlamentare. Sappiamo che l’Italia ha aderito al Patto di Stabilità e Crescita Europeo con decreti legge e leggi votate da tutta la maggioranza e parte delle opposizioni: il tutto senza aver chiarito con l’opinione pubblica le conseguenze di tali deliberazioni; e sappiamo che queste leggi hanno introdotto anche nel nostro paese quel pacchetto di prescrizioni contabili europee chiamato six pack. In queste prescrizioni, che ci stanno massacrando, sono incluse: il rispetto del vincolo di bilancio (il deficit pubblico non può superare il 3% del PIL) e la riduzione del rapporto debito pubblico/PIL ad un valore non superiore al 60%. In pratica l’Italia, come gli altri paesi dell’Area Euro, ha demandato le decisioni di politica economica – possiamo dire che ha consegnato la propria “cassa” – alla Commissione Europea (coadiuvata dal FMI)- e le decisioni di politica monetaria alla BCE. Questo governo ha istituzionalizzato l’austerità rendendola principio costituzionale: la realtà resta questa, nonostante dichiarazioni d’intenti di diversa natura.
Nella Teoria Generale del 1936, l’economista – e sagace uomo politico – John Maynard Keynes dimostrò che le politiche restrittive di spesa pubblica, applicate in contesti fortemente recessivi, non hanno altro effetto che far sprofondare ulteriormente l’economia di un paese in una situazione di povertà e privazioni sempre più grave (spirale depressiva): il PIL scende e, per rispettare i vincoli del Patto, il governo taglia ancora di più la spesa pubblica, aumentando a dismisura il rapporto debito/PIL perché la ricchezza scende più che proporzionalmente rispetto alla spesa tagliata. La spiegazione è intuitiva: in momenti di recessione così grave chi ha la fortuna di mantenere un lavoro preferisce risparmiare in attesa di tempi migliori; gli imprenditori non investono neanche se potessero prendere soldi a prestito a costo zero (e in Italia non è così) perché sanno che, a causa della crisi (quindi della scarsità di domanda), non venderanno i propri prodotti. In questa situazione tagliare la spesa pubblica è una follia perché lo Stato è l’unico imprenditore che può assumere o spendere quando gli imprenditori privati non lo fanno, anche se messi nelle migliori condizioni per operare. Solo nuove assunzioni con salari decenti stimolano nuovi consumi che aumentano il reddito del sistema il quale, attraverso l’aumento della base imponibile, quindi delle entrate fiscali, aumenta a sua volta le possibilità di spesa dello Stato, reiterando così il circolo virtuoso. Fin quando chi è nelle stanze dei bottoni non decide di azionare la leva del consumo la sperequazione tra più ricchi, poveri e nuovi poveri (la classe media) continuerà ad aumentare, e sarà destinato ad allargarsi il bacino di persone disoccupate che, evidentemente, saranno disposte a rientrare nel mondo del lavoro a salari ridotti: così, in un secondo momento, sistemeremo le statistiche sull’occupazione, anche se i lavoratori saranno poveri (come succede in tutto l’Est Europa, per esempio).
Sebbene a parole tutti i pezzi da novanta della maggioranza siano d’accordo sull’evidenza che, effettivamente, si è praticata un po’ troppa austerità, in realtà tutte le decisioni di politica economica continuano a concedere incentivi alle aziende (gli imprenditori che non investono) che servono a poco se non attivati dalla domanda aggregata. Ciò succede in tutti i paesi europei, buon ultima la Francia, ed è contraddittorio sperare di azionare politiche di stimolo economico se non si mettono in discussione i vincoli di bilancio siglati con il sangue. Se la socialdemocrazia europea – quella che, per intenderci, voterà il PSE di Schultz – si è fatta non solo portavoce, ma addirittura riesumatrice e promotrice di fallaci ricette economiche, morte e sepolte dagli anni trenta agli anni ottanta, e non ha alcuna intenzione di chiedere la modifica dei Patti di Stabilità, per i cittadini d’Europa che non contemplino l’opzione fascista, l’unica alternativa è votare Tsipras alla Presidenza della Commissione Europea (http://web.rifondazione.it/home/index.php/12-home-page/7794-programma-di-syriza), dal momento che il tedesco Schultz ha già dichiarato di «essere contro l’austerità, ma di non voler contestare le politiche della Merkel» che si sostanziano, appunto, nel trionfo dell’austerità: viva la coerenza!
Anche solo citando due dei 40 punti del programma di Syriza in Grecia, dove il cartello di partiti e movimenti è considerato ormai dai sondaggi il primo partito, si intuisce immediatamente la volontà di mettere in discussione i Trattati Europei: “esigere dalla Ue un cambiamento nel ruolo della Bce perché finanzi direttamente gli Stati e i programmi di investimento pubblico” vuol dire recuperare la sovranità della moneta a livello europeo e vuol dire finanziare programmi di investimento che indirizzino le politica economica dei paesi e creino domanda attraverso l’erogazione di stipendi; “sottoporre a referendum vincolanti i trattati e altri accordi rilevanti europei” rappresenta il sacrosanto anelito al recupero di un percorso realmente democratico relativo a decisioni che influiscono drammaticamente sulle sorti del popolo europeo, decisioni che devono essere sottratte a tecnocrazie che sono in realtà oligarchie politiche.
E’ triste dirlo ma di tutto ciò non c’è traccia negli eredi del “centro-sinistra” democratico europeo e non esiste un percorso intermedio da esplorare tra Tsipras e Schultz: una scelta esclude l’altra.