Caro Michele,
il tuo appello per la sopravvivenza del “Primo Maggio” a Taranto spinge a riflettere. Il tuo sfogo è comprensibile: la refrattarietà che spesso i nostri concittadini mostrano nei confronti di iniziative di qualsiasi portata è odiosa, e spinge anche la volontà più ferma a mandare tutto all’aria. C’è chi dice che si tratti di un’abitudine atavica, quasi genetica, della nostra gente; personalmente preferisco pensare che sia la conseguenza della nostra storia recente: è una città la nostra che nell’ultimo secolo ha conosciuto diverse fasi di rapida (ed effimera) crescita economica, a cui tuttavia non ha corrisposto un adeguato sviluppo civile e culturale.
Vanno però considerate alcune circostanze non proprio secondarie alla base dell’atteggiamento che tu denunci. Taranto sta attraversando una fase di devastante crisi economica: un tunnel del quale non si intravede la fine. Il numero dei disoccupati, compresi gli inattivi, è in continuo aumento; le professioni e il commercio versano in uno stato di prostrazione senza precedenti; gli stessi lavoratori dipendenti (i “privilegiati”, secondo qualcuno) vedono i propri redditi decurtati a causa del dilagare delle procedure di cassa integrazione, mobilità ecc. Ha senso quindi rivolgersi ai “piccoli contribuenti” per finanziare il Primo Maggio? Se si individua quelle categorie come fonti di finanziamento, inevitabilmente la manifestazione avrà vita breve.
Oltre alle ragioni economiche ve ne sono tuttavia anche altre, che non possiamo trascurare. Il Primo Maggio di Taranto nasce sulla scorta di un’altra data, a suo modo “fatidica” per la storia recentissima di questa città: il 2 agosto 2012. Un momento che ha suscitato reazioni contrastanti, ma che comunque ha messo in moto una dinamica: molti nostri concittadini, di diversa estrazione sociale e di credo politico talvolta opposto, sono stati spinti a impegnarsi nelle attività del comitato “Cittadini e Lavoratori Liberi e Pensanti”. Collante di questa ampia e variegata mobilitazione è stata l’esplosione della crisi Ilva, in un momento in cui sembrava che tutto stesse per crollare. In quel clima da fine del mondo – i varchi dello stabilimento, privi di vigilanza, sembravano i check point di Berlino Est nei giorni della caduta del Muro -, chi fino ad allora aveva accumulato rabbia e frustrazione (penso a molti lavoratori) trovava l’occasione per urlare pubblicamente, in strada, il suo risentimento.
Va preso atto che oggi quella fase è superata, e la sua evocazione non ha più presa in buona parte della cittadinanza. Emilio Riva è morto, la sua famiglia è stata definitivamente estromessa dal controllo dell’azienda, il governo ha preso in mano Ilva e ancora non si capisce bene cosa voglia farne. Alla confusa frenesia della “lunga estate calda” del 2012, è subentrato tutt’altro clima. Taranto vive in attesa, come un condannato nel braccio della morte: sa quello che l’aspetta, ma cerca di non pensarci e passa le sue giornate in uno stato di apparente (surreale) normalità.
Ora, la domanda è: può il Primo Maggio sopravvivere al mutamento di fase e adattarsi ai nuovi tempi? Sì, se saprà rispondere alle sfide del momento. Oggi Taranto ha bisogno soprattutto di una visione di futuro che getti le basi per un’alternativa concreta al degrado crescente. In questa prospettiva, il contributo del Primo Maggio può essere fondamentale.
Il Primo Maggio ha insegnato ai Tarantini soprattutto una cosa: che, volendo, si può pensare (e, soprattutto, fare!) in grande. In una città in cui la debolezza strutturale di gran parte delle forze economiche e sociali impone i piccoli passi e le corte prospettive, e in cui troppi (e troppo spesso) esaltano questa condizione disgraziata coltivando la nefasta ideologia del “piccolo è bello”, voi organizzatori del Primo Maggio avete dimostrato che programmando, tessendo rapporti con il resto del Paese, sfidando i propri mezzi e mettendo da parte qualsiasi complesso di inferiorità si può costruire qualcosa di importante anche a Taranto.
Questo qualcosa può crescere ancora: può diventare il fulcro di un più ampio progetto culturale, che coinvolga anche le iniziative “minori” presenti nel territorio. Dando forza a queste ultime, aiutandole a crescere, si può immaginare una sorta di “Primo Maggio tutto l’anno”: un insieme di attività in grado di realizzare quella produzione culturale di qualità di cui l’area jonica è al momento sprovvista – e di cui ha disperato bisogno. Un progetto che potrebbe diventare il nerbo concreto dell’alternativa al degrado.
Tutto questo però ha bisogno di fonti di finanziamento stabili. Non potete più rifiutarvi di interloquire con le istituzioni e con le principali forze economiche locali. Queste vanno poste davanti alle loro responsabilità in relazione al futuro della nostra comunità. Se davvero, come dichiarano, vogliono scongiurare il degrado di Taranto, proponete loro un progetto di “impresa culturale” a 360 gradi e chiedetegli di finanziarlo adeguatamente. Voi potete farlo: i risultati (in termini di numeri e di qualità dell’offerta) che avete realizzato con le precedenti edizioni del Primo Maggio, e che senz’altro replicherete con questa, attestano la vostra assoluta credibilità nell’ambito in cui operate. E ciò vi dà anche la forza di imporre l’indipendenza della direzione artistica e organizzativa. Se il tentativo andasse in porto, potrebbe emergere una formula interessante e del tutto inedita per Taranto: si metterebbe una parte delle risorse della comunità nelle mani di gente che sa farne buon uso, e la città nel suo complesso ne guadagnerebbe non solo in prestigio: sarebbe un vero e proprio investimento per il suo futuro. Io dico che vale la pena tentare. Intanto, buon Primo Maggio.