«Con una punta di civetteria Antonio Cederna si vantava di scrivere sempre lo stesso articolo: io sono stato allievo di Cederna […] e da lui ho imparato non solo che non ci si deve vergognare di ripetere (ma non è mai una ripetizione pedissequa) fatti e concetti in cui crediamo, ma che anzi abbiamo il dovere di farlo.» (Vezio de Lucia)
Credo che questa citazione sia quanto mai appropriata nel momento in cui si torna a parlare di patrimonio storico-artistico, tutela, valorizzazione e diritti dei lavoratori. Se ne torna a parlare per l’ennesima volta in questa sede, sollecitati da nuovi spunti e giungendo sempre alle stesse, drammatiche, conclusioni.
Dopo la riforma del MiBACT e lo Sblocca Italia – convertito in legge dello Stato (n. 164 dell’11 novembre 2014) – ci pare quanto mai scientifico, in un’ottica di depotenziamento delle Soprintendenze e svilimento delle professionalità, l’appello al volontariato nelle attività culturali. Ne discutemmo già quando parlammo del decreto “Valore Cultura”, in seno al quale uscì il bando per la selezione di 500 giovani eccellenze nel campo dei beni culturali che avrebbero svolto attività – chiaramente a tempo determinato – con una retribuzione pari a quella del Servizio Civile Nazionale, che è di fatto un volontariato.
In quel caso, però, nonostante la paga da fame, la richiesta era per lo meno di addetti ai lavori. Ora pare che il criterio principale per scegliere a chi affidare la valorizzazione di siti di interesse storico, artistico e archeologico sia la gratuità della prestazione.
Il primo di dicembre scade, infatti, un avviso pubblico emesso dalla Soprintendenza Capitolina e rivolto ad associazioni culturali e di volontariato per lo “svolgimento di attività gratuite” in alcuni musei e aree archeologiche di pertinenza comunale; è previsto un rimborso spese sino a un massimo di 12 euro per quattro ore di lavoro giornaliere (un’analisi qui). E, si capisce bene, che gli addetti ai lavori potrebbero tranquillamente stracciare il proprio titolo di laurea o dottorato se la concorrenza diventa così sleale. Ma non ce la si può neanche prendere con la Soprintendenza che cerca di portare avanti l’interesse pubblico alla fruizione con le poche risorse che ha.
È evidente come tutto ciò derivi da un problema di budget destinato al patrimonio culturale, talmente risicato da non consentire l’assunzione di personale specializzato che possa offrire un servizio di qualità al visitatore e dover ricorrere al volontariato. Ma, d’altra parte, pare essere la moda del momento.
Infatti, in vista dell’EXPO 2015, l’associazione no-profit “Beata Vergine Addolorata” si è aggiudicata un bando promosso dal consiglio di zona 1 per un corso di formazione per accompagnatori turistici: un corso aperto a 32 persone delle quali solo 12 percepiranno un reddito part time. A quanto ammonta questo reddito? All’astronomica cifra di 300 euro al mese. A Milano. E va detto che uno dei cavalli di battaglia della manifestazione è il reclutamento di personale volontario (circa il 96% di quello necessario) da adoperare in varie mansioni per collaborare alla buona riuscita dell’evento, con tanto di slogan legati a possibilità di stringere rapporti e condividere esperienze “PER DAVVERO”. Beh, sì… Mi regali il tuo tempo perché io ti faccio stringere amicizia, poi si vede. Però, come te lo compri il pane? Pare non essere un problema degli organizzatori dell’EXPO.
Tornando al mondo della cultura, resta aperta la grave questione dello svilimento della professionalità e il passaggio in secondo piano delle competenze specifiche nel settore, acquisite con anni di studio, sacrifici – anche dei genitori che ci hanno investito – e tirocini. Si veda, ad esempio quanto sta accadendo, ancora una volta, a Roma: il Sindaco Ignazio Marino (PD) ha annunciato l’invio di una non meglio precisata quantità di reperti archeologici nelle Università americane, per poter essere studiati. Insomma, in America i laureati italiani finiscono dietro le cattedre; in Italia mandano agli americani il materiale da studiare (e chissà che non tocchi farlo all’ennesimo “cervello in fuga” dall’Italia accolto e valorizzato nel Nuovo Continente): pare proprio che la delocalizzazione del lavoro sia arrivata anche nel settore dei beni culturali, con tutti gli annessi e connessi.
Ricordo un Vittorio Sgarbi in grande spolvero che nel 2013, presentando la mostra di un dipinto di Tiziano a Baldissero d’Alba, sottolineava l’importanza dell’impegno dei volontari nell’allestimento dell’esposizione e – incredibile ma vero – nella “sistemazione” della cornice. D’altra parte, i restauratori professionisti che ci stanno a fare? E gli architetti? Gli storici dell’arte? Se ne può fare a meno…
È sempre più inquietante rilevare come un principio fondamentale della nostra Costituzione – l’articolo 9 – venga progressivamente, ma inesorabilmente, ridotto a una “missione umanitaria” nella quale chi ha spirito di sacrificio regala il proprio tempo, anche se privo di una competenza adeguata. E se ci si ribella a questo stato di cose si rischia anche di sentirsi dire: “Se hai passione, lo fai gratis!”. Diciamo che se hai passione, lo fai bene; ma per un servizio pubblico va garantito un reddito, proprio in virtù del fatto che si lavora con il bene comune e per il bene comune.
Perchè il rischio che si corre è quello che tali attività finiscano ad essere condotte e gestite dall’unica fascia che può permettersi di offrire prestazioni gratuite, sia perché ha coperture economiche sufficienti a garantirsi una vita dignitosa, sia per il fatto di avere molto tempo a disposizione: i pensionati.
A quel punto i giovani finiranno sempre più con l’interrogarsi sull’utilità di iscriversi a una facoltà umanistica che non permette loro di avere una collocazione nel mondo del lavoro se possono essere soppiantati, dopo anni di studi, da gente con tanto tempo libero che si improvvisa guida o accompagnatore turistico magari dopo aver fatto un breve corso. Probabilmente lasceranno perdere la via umanistica e ne sceglieranno altre.
Io credo che esista una sostenibilità anche culturale e che se i nostri giovani non trovano stimoli nel proseguire la formazione umanistica il rischio serio che corre questo Paese è quello di ritrovarsi, domani, senza una classe intellettuale. E, in questa maniera, restare senza guida, piombare nell’ignoranza più nera, senza la capacità di discernere la via giusta da quella sbagliata anche, e soprattutto, in relazione al patrimonio culturale.
La cecità della classe politica attuale sembra aver incanalato il destino del nostro patrimonio storico artistico nell’inquietante binario del consumo. Forse lo scopo primario – sebbene non dichiarato – è proprio quello a che si perda interesse per la disciplina umanistica, per la propria storia, in modo da essere più liberi di gestire, alienare, incassare dal bene comune. Di legiferare secondo la propria miopia.
Lo Sblocca Italia è incarnazione di questo cambio di marcia.
Come dire: formatevi pure, tanto il mondo non ha bisogno di voi!
Ed è per questo che noi continueremo, se necessario, a scrivere il solito articolo…
StecaS