In tema di politiche migratorie non è usuale avere la possibilità di conoscere, in maniera piuttosto chiara e dettagliata, quali siano le intenzioni dei governi, al fine di valutare, in maniera sufficientemente attendibile, come e quanto tali intenzioni possano incidere, nella forma e nella sostanza, nell’effettivo esercizio del diritto d’asilo. Infatti, in genere si registra un ampio utilizzo del lessico umanitario e della retorica dei diritti umani, anche nei provvedimenti e nelle prassi che restringono l’accesso ai diritti per le migranti e i migranti. Da questo punto di vista, la Roadmap italiana, documento redatto dal Governo italiano e inviato alla Commissione europea il 15 settembre, rappresenta un parziale spartiacque: il testo è, allo stesso tempo, esplicito e inquietante.
Il motivo dominante del documento in questione, perfettamente in linea tanto con la retorica utilizzata dalle destre populiste e xenofobe europee quanto con gli orientamenti consolidati della Commissione, è rappresentato dall’arbitraria differenziazione tra cosiddetti migranti economici e richiedenti asilo, perno fondamentale delle politiche e delle tecniche di governo dei flussi migratori. Chiunque abbia ascoltato testimonianze dirette di un’esperienza migratoria sa bene come, in realtà, ogni differenziazione schematica è arbitraria e infondata, e che alla base delle esperienze di migrazione (anche) lungo le attuali rotte ci siano motivazioni soggettive complesse, molteplici, incompatibili con ogni classificazione riduttiva e schematica. Il Governo, per contro, pone questa irreale distinzione al centro delle sue politiche: il risultato si preannuncia, già da ora, allarmante e tragico.
Approccio hotspot
Il Governo, archiviata ogni sottigliezza e ogni retorica umanitaria, entra, nella prima parte della Roadmap, direttamente nel vivo delle questioni cruciali. Al centro del progetto di riforma della gestione degli arrivi via mare c’è la volontà di dotarsi di hotspot. A pagina 4 del citato documento si legge che in linea con l’Agenda europea sulle migrazioni, l’Italia ha messo in atto il nuovo approccio “hotspot”. In seguito, dopo aver elencato i porti individuati come hotspots (Pozzallo, Porto Empedocle, Trapani, Lampedusa e, in una fase successiva, Augusta e Taranto), il testo redatto dal Governo informa che gli hotspot sono aree chiuse (quindi, luoghi di trattenimento per migranti e richiedenti asilo) finalizzate alla pre-identificazione, registrazione, foto-segnalamento e rilievi dattiloscopici. Successivamente si legge, in una delle parti più significative del testo, che, dopo lo screening medico, tutte le persone sbarcate (…) saranno intervistate da funzionari degli uffici immigrazione, i quali compileranno il cd. foglio-notizie contente le generalità, la foto e le informazioni di base della persona, nonché l’indicazione circa la sua volontà o meno di richiedere protezione internazionale (…) pertanto, avrà luogo una prima differenziazione tra le persone richiedenti asilo/potenziali ricollocabili e quelle in posizione irregolare. La violazione dei diritti di informazione e di orientamento legale, con riferimento alle specifiche posizioni giuridiche, alla possibilità di richiedere protezione internazionale, e alle conseguenze giuridiche alle quali si va incontro qualora si scelga di avvalersi, o di non avvalersi, della possibilità di richiedere protezione, e la sommarietà del meccanismo di intervista sopra descritto, aprono la strada alla formalizzazione di prassi ingiuste, inadeguate, arbitrarie.
Le testimonianze degli operatori di Medici senza frontiere, con riguardo al CPSA di Pozzallo (area che sembra già funzionare secondo la logica di quello che il Governo chiama approccio hotspot), raccontano di procedure di identificazione e screening di vulnerabilità che avvengono in tempi rapidissimi e immediatamente dopo lo sbarco, quando i migranti appena arrivati, spesso reduci da violenze e abusi occorsi in Libia, si trovano ancora in una fase in cui la risposta medico-umanitaria svolge un ruolo primario al fine di garantire il benessere psico-fisico della persona assistita. In tale fase, l’intero processo si svolge in maniera accelerata e spesso confusa dal punto di vista di colui/colei che al momento dello sbarco è sottoposto/a ad una serie di procedure di cui non è ancora a conoscenza e di cui non comprende la portata. Spesso le persone che ci avvicinano, si lamentano di non aver capito (a causa della mancanza di elementi di identificazione) chi e a quale istituzione appartiene l’intervistatore (polizia, interprete ecc) o capire che cosa c’è scritto nei fogli firmati al termine di tale fase.
Il rapporto redatto da MSF sulle condizioni di accoglienza del Cpsa di Pozzallo è datato 17 novembre: l’approccio hotspot descritto dal Governo nella Roadmap italiana (inviata alla Commissione europea il 15 settembre) appare, nei fatti, già applicato a Pozzallo, e rappresenta un’attendibile anticipazione delle prassi di funzionamento di tutti gli hotspot previsti.
Siamo, quindi, difronte alla dichiarata volontà, chiaramente descritta nella Roadmap, di differenziazione tra le persone richiedenti asilo e quelle in posizione irregolare sulla base della compilazione di un cd foglio notizia a conclusione di un’intervista di funzionari dell’ufficio immigrazione, senza la previsione di adeguate forme di orientamento legale e informativa giuridica, in condizioni di vulnerabilità estreme.
Dai CIE ai rimpatri forzati
Dove vengono collocate le persone che, secondo quanto previsto nella Roadmap, sono in posizione irregolare e non richiedono protezione internazionale? Il documento informa che saranno trasferite nei Centri di Identificazione ed Espulsione (C.I.E.). Tali trasferimenti interni saranno effettuati tramite autobus o aeroplani con l’ausilio delle scorte di polizia. Anche nei passaggi successivi il testo è chiaro quanto inquietante: a conclusione dell’interrogatorio, coloro che saranno valutati in condizioni di irregolarità verranno condotti nei C.I.E. A pag. 14 del testo il Governo, infatti, sostiene che una politica di rimpatri forzati sostenibile ed efficace, in conformità con l’approccio hotspot, implica l’aumento del numero di posti nei CIE nazionali, attraverso la riapertura del CIE di Milano (132 posti) e di Gradisca d’Isonzo (248), dove poter attuare tutte le procedure che sono necessarie per il rimpatrio forzato dei migranti irregolari.
Anche il paragrafo Cooperazione con i Paesi terzi per una politica di rimpatrio più efficace introduce elementi decisamente preoccupanti. Il Governo informa che il Dipartimento di Pubblica Sicurezza italiano, allo scopo di ottenere risultati significativi in tempi brevi, ed evitare i tempi lunghi dei negoziati necessari per la conclusione di accordi formali di riammissione, sia a livello bilaterale che a livello UE, ha intrapreso misure, volte a creare forme di cooperazione operativa con le autorità competenti dei Paesi principali dai quali hanno origine i flussi di immigrazione irregolare, che saranno formalizzate ricorrendo a strumenti di accordo più flessibili, come i memorandum d’intesa, i protocolli operatici e così via. Anche in questo caso il campo d’azione del Governo è chiaro e sconcertante: si preannunciano strumenti di accordo più flessibili al fine di formalizzare, con le autorità competenti dei Paesi principali dai quali hanno origine i flussi di immigrazione irregolare (tra i quali un consistente numero di regimi autoritari, elemento tutt’altro che secondario ma che al Governo non sembra interessare). Il Governo annuncia anche progetti di assistenza tecnica in favore dei Paesi firmatari, in termini di fornitura di attrezzature e formazione per le forze di polizia (le stesse forze di polizia dalle quali i migranti fuggono, ndr). Il Governo annuncia una serie di misure finanziarie distribuite secondo il principio sintetizzato in maniera sconcertante a pagina 13 dalla formula più collabori, più riceverai. I fondi previsti serviranno anche a sostenere la cooperazione in materia migratoria e di rimpatrio, già da tempo avviata con altri Paesi terzi come l’Egitto, la Tunisia e la Nigeria, da cui originano – com’è noto – importanti flussi di migrazione irregolare.
Il Governo risolve in poche, schematiche righe l’introduzione di prassi arbitrarie e gravemente peggiorative della condizione giuridica e di vita delle migranti e dei migranti (dal trattenimento negli hotspot, all’accertamento sommario degli status, fino alla detenzione nei CIE e ai rimpatri forzati, che secondo i progetti del Governo aumenteranno considerevolmente) e annuncia strumenti di accordo più flessibili in cooperazione con governi autoritari e liberticidi. Il linguaggio utilizzato nel testo ben sintetizza quale sia il problema principale dell’esecutivo: il lessico umanitario usato (anche strumentalmente) in altre circostanze lascia il posto al linguaggio proprio del mondo dei trasporti, della logistica e delle merci: nella Roadmap si parla a vario titolo di hotspots, capacity, hubs, voli charter, capacità logistica, voli cargo, assistenza tecnica, trasferimenti, relocation.
Ci sarebbe tanto da aggiungere: la Roadmap è piena di altre indicazioni allarmanti; le prassi attuate in questi giorni e in questi mesi dal Ministero e dalle forze di polizia restituiscono l’immagine di una contrazione ampia e generalizzata del diritto d’asilo e della qualità di vita delle migranti e dei migranti. Il quadro che emerge dalla lettura del documento del Governo è chiaro quanto inquietante, ed è facile immaginare che le prassi di attuazione saranno peggiorative, in un contesto che conosce ampiamente arbitrarietà ed abusi.
La tempistica con la quale diventerà ufficialmente operativo il progetto è poco chiara: evidenti sono le difficoltà che accompagnano le operazioni di formalizzazione degli accordi di ricollocazione per il ridotto numero di richiedenti asilo che supereranno gli arbitrari meccanismi di selezione. In ogni caso, l’impostazione del Governo è chiarissima, e la Roadmap sembra già nei fatti svolgere funzione di linee guida nel governo dei movimenti dei migranti: da questa prospettiva, i refugees welcome dei mesi passati sembrano lontanissimi, nel tempo e nello spazio.
Come trovare l’energia collettiva per indignarsi, mobilitarsi e opporsi in tant*, con efficacia e potenza all’altezza della posta in gioco, alla detenzione in nome della prassi amministrativa, al respingimento arbitrario, ai processi di produzione della clandestinità, ai nuovi e terribili strumenti di costruzione delle differenze, ai rimpatri forzati di donne e uomini in fuga? Una parte fondamentale di ciò che ci ostiniamo a chiamare democrazia è, qui ed ora, al centro della contesa. Ed è una sfida che nessun* si può permettere di perdere.
Riferimenti:
http://www.asgi.it/wp-content/uploads/2015/11/Roadmap-2015.pdf
http://archivio.medicisenzafrontiere.it/pdf/Rapporto_CPI_CPSA_Pozzallo_final.pdf