La questione Xylella continua a scaldare gli animi in Puglia, e rispetto alla situazione dei primi mesi del 2015 lo scenario si è notevolmente complicato, sia per quanto riguarda la gestione della fitopatia sul territorio, sia per la recrudescenza del malcontento. Proviamo a fare un bilancio rispetto alla situazione a marzo 2015 (quando è stato emanato il primo piano degli interventi del commissario Silletti).
Il quadro attuale
Il nuovo riferimento è il “Piano Silletti Bis” del 30 settembre 2015, che sostituisce quello emanato a marzo 2015 e superato dalla nuova situazione: infatti ci sono oramai numerosi focolai esterni alla provincia di Lecce, e ciò ha imposto una ridefinizione delle aree delimitate (zona infetta, contenimento, cuscinetto e sorveglianza), come previsto dalle normative comunitarie. I dati sono comunque provvisori, a causa del continuo avanzare del batterio.
Confrontando i due piani operativi (e la ridefinizione delle aree della determina 13/11/2015), si nota chiaramente che il blocco degli interventi nelle aree originarie ha di fatto avuto un esito forse non voluto, ma ampiamente prevedibile: rendere necessaria una moltiplicazione degli sforzi per gestire il problema. Entrano nella zona di sorveglianza territori precedentemente non coinvolti dai piani di azione (parte del Comune di Taranto e Grottaglie dal lato ionico, Carovigno, parte dei comuni di Ostuni e Ceglie Messapica dal lato Adriatico). Avanza anche la “fascia cuscinetto”, che ora si estende fino a coinvolgere una superficie di ben 83.000 ettari. Fatto ben più grave, ci sono nuovi focolai nella provincia di Brindisi, nei comuni di Torchiarolo, Cellino e San Pietro Vernotico, confermati ufficialmente alla fine di luglio. Continua ad aggravarsi la situazione anche nel Comune di Oria: qui erano state tagliate 52 piante in ottemperanza al Piano Silletti 1[1].
Fig. 1 – Piano Silletti (a sinistra) e Piano Silletti “Bis” (a destra) a confronto [clicca sull’immagine per ingrandire]
In accordo con quanto definito dalla Decisione UE, si prende atto che nella provincia di Lecce la situazione è talmente critica da rendere non più eradicabile il batterio, per cui gli interventi sono orientati al solo contenimento dell’epidemia. Si è quindi individuata una fascia di contenimento di 20 km, nella parte settentrionale della provincia di Lecce (al confine con la provincia di Brindisi), in cui sarà necessario eliminare tutte le piante infette, monitorare le piante ospiti nel raggio di 100 metri e attuare trattamenti fitosanitari e pratiche agronomiche per controllare la popolazione dell’insetto vettore, rispettivamente nello stadio adulto e in quello giovanile. Nel resto della provincia, invece, si abbatteranno solo le piante pesantemente compromesse (misura A12 del Piano BIS).
Le misure più pesanti e urgenti riguarderanno i nuovi focolai del brindisino prima menzionati, e quelli che presumibilmente si verranno a creare. In queste aree è prevista l’eliminazione di tutte le piante infette, insieme a tutte quelle ospiti, anche sane, nel raggio di 100 metri. Secondo il piano (che specifica che questi dati sono solo provvisori) sarà necessario procedere all’espianto di ben 2032 piante di ulivo in una manciata di comuni, contro i 1071 della ben più estesa fascia di contenimento nella provincia di Lecce. In definitiva, il peso delle misure più dure è stato scaricato a Nord, in un quadro generale sempre più compromesso.
Il piano procede a salti per i molteplici ricorsi il TAR e le sospensioni cautelari. Va avanti e si allarga invece la ricerca: da menzionare lo stanziamento da parte della Regione Puglia di due milioni di euro per finanziare ricerche sulla “prevenzione e il contenimento del disseccamento rapido dell’ulivo” come richiesto da più parti in questi mesi.
Le convergenze tardive: Xylella è un problema!
Anche le opposizioni si sono adeguate alla nuova situazione. Si potrebbe dire che si è abbandonata, almeno tra i soggetti più attivi e organizzati, la strategia basata sulla contestazione del fatto: oggi non è tanto l’effettiva presenza del batterio ad essere contestata, o il suo ruolo nel disseccamento degli ulivi; non si parla più di funghi come principale patogeno. Ad esempio, l’organizzazione Peacelink, che si era rivolta a EFSA per presentare studi che mettevano in discussione il ruolo del batterio come patogeno principale del disseccamento, più recentemente ha sottolineato invece che il problema Xylella c’è e va affrontato tempestivamente per evitare danni ancor più gravi a noi e altri. La stessa professoressa Carlucci, autrice degli studi sui funghi appena menzionati, sta conducendo una sperimentazione per il trattamento di olivi colpiti da Xylella che, come dichiarato alle trasmissione Le Iene, “sembrano rinati”. Per molti tanto basta per mettere fine all’incubo abbattimenti; ma il fine della sperimentazione è proprio quello di valutare SE è possibile una convivenza con il batterio incriminato; va da sé, è ancora presto per poter parlare di una soluzione visto che si tratta ancora di una sperimentazione (e non è finalizzata a distruggere o rendere innocuo il batterio per altre piante).
Dal canto suo, Cristian Casili, consigliere regionale del M5S, quando ancora richiamava l’attenzione sulla incerta patogenicità di Xylella per gli ulivi trovava “sconcertanti” le richieste di sostegno economico per l’implementazione delle linee guida regionali per far fronte al contagio (concimazioni, potature, arature leggere, trattamenti fitosanitari ecc). Oggi invece si fa portavoce di questa necessità: gli agricoltori, qualunque sia la natura del problema, non possono essere lasciati soli. Lo stesso governatore Michele Emiliano, che in passato aveva in qualche modo accolto la richiesta di riesame totale degli elementi su cui si sono basate le decisioni adottate, oggi sottolinea che è innanzitutto necessario agire con tempestività; pur nominando una task force di tecnici e scienziati, che include anche chi ritiene eccessive e/o inutili le misure imposte dal Piano Silletti, sottolinea che lo stesso non può essere sospeso, fino a prova contraria.
Insomma, non è più vero che gli ulivi stanno benissimo e che la povera Xylella non ha colpe, come affermava solo pochi mesi fa un noto cantante generosamente lanciatosi nella difesa degli olivi: la Xylella c’è, è un problema grave e bisogna in qualche modo intervenire.
Le nuove (vecchie) opposizioni
Questo però non rende meno forti le contestazioni: l’opposizione integrale al Piano degli interventi rimane sostanzialmente invariata.
Resta ad esempio la preoccupazione legata all’uso dei pesticidi sebbene, a quanto sembra, proprio una larga implementazione nella fascia cuscinetto della misura A2[2] (erpicature e fresature leggere) del contestatissimo Piano di marzo scorso abbia contribuito a ridurre la necessità dei trattamenti fitosanitari previsti – ovviamente calibrati in base alla quantità di insetti vettori presenti. I risultati dei monitoraggi (“Piano Silletti Bis”, p.7) mostrano infatti che negli oliveti in cui si eliminano meccanicamente le infestanti si conserva solo l’11% delle sputacchine (contro l’89% in oliveti non arati), e che questo metodo è molto più efficace del diserbo chimico, che avrebbe l’effetto di allontanare gli insetti vettori dai campi dove sarebbero facilmente uccisi con le arature. Lo stesso Commissario individuava in questa misura un elemento cruciale già nella prima versione del Piano, col motto “più arature oggi equivale a meno trattamenti domani”. Questa misura è stata contestata per la preoccupazione che arature profonde (che in verità non sono auspicate: in più punti si menzionano le erpicature, fin nel nome della misura stessa) potessero contribuire a peggiorare lo stato di salute dei suoli e quindi delle piante già in sofferenza. Si spera che il danno eventuale provocato ai terreni dagli interventi meccanici possa essere controbilanciato da uno scampato pericolo legato all’uso dei pesticidi in queste aree, ma questo probabilmente non sposterà di un millimetro il malcontento: il nodo vero di tutte le opposizioni era ed è quello che riguarda gli olivi da abbattere.
In un certo senso, i manifestanti hanno “salvato” dagli abbattimenti forzosi le piante della provincia di Lecce (fuori dalla fascia di contenimento), operazione oramai non più ritenuta prioritaria nel piano di emergenza. L’UE ritiene infatti non più eradicabile il batterio in quest’area – scelta che, per la verità, ha un po’ il sapore dell’abbandono di questo territorio al suo destino: in assenza di una cura, queste piante continueranno più o meno lentamente a deperire, e quelle oggi sane potranno essere contagiate a loro volta.
E’ percepito come ben più urgente l’intervento nella fascia di contenimento e soprattutto nei nuovi focolai del Brindisino, dove si impone l’abbattimento, oltre che delle piante infette, di quelle ospiti sane presenti nel raggio di 100 metri. E’ infatti proprio su questo punto che si concentrano le proteste di questi giorni. Il senso tecnico della misura dei 100 metri è purtroppo abbastanza semplice: la sputacchina (l’insetto vettore che diffonde il batterio) vola senza fermarsi per circa 200 metri; è molto probabile quindi che le piante in prossimità di quelle infette siano state contagiate. Peraltro, la diagnosi della presenza di Xylella è piuttosto complessa ( i tempi di incubazione non sono chiari, così come i “movimenti” del batterio all’interno della pianta; se la pianta è stata contagiata da poco il batterio deve essere “cercato”: potrebbe infatti essere presente in una zona della pianta diversa rispetto a quella da cui si prelevano i campioni per le analisi; infine, esiste una soglia al di sotto della quale è difficile rilevare la presenza del batterio con le attuali tecniche diagnostiche). Di conseguenza, in via precauzionale è ritenuto opportuno eliminare ciò che potrebbe essere già infetto, pur non manifestando i sintomi, per ridurre al minimo la probabilità di lasciare sul campo piante che costituiscono fonte di contagio ulteriore. Purtroppo queste misure così dure non sono probabilmente superabili: la convocazione della task force prima menzionata è infatti funzionale a raccogliere le evidenze scientifiche per, eventualmente, dimostrare in sede europea l’inutilità di quella misura. Attualmente però tali evidenze contrarie mancano: in un recente workshop di EFSA sul tema Xylella, l’esperto brasiliano Joao Lopes, incalzato sulla possibilità di contenere il batterio curando i terreni e le piante invece che con l’abbattimento ha affermato “se si considera la questione in termini epidemiologici, è necessario eliminare la fonte di inoculo, perché è molto chiaro che se le piante rimangono lì, il vettore continua ad andarci e il contagio si diffonde […]. Se l’infezione è solo all’inizio, con ispezioni regolari si può forse eliminare l’inoculo con le potature dall’albero” (V. qui, minuto 1.12.00 circa). La stessa EFSA, parlando delle opzioni di riduzione dei rischi ribadisce che, anche se non è detto che funzioni, ridurre la fonte di contagio è l’unica carta che ci possiamo giocare per proteggere gli ulivi sani dalla malattia – che, come abbiamo visto, avanza.
Esiste però un punto ulteriore che tutti, non solo gli oppositori al Piano, sollevano con urgenza: il divieto di impianto di specie ospiti per (almeno) i prossimi 5 anni. Recentemente il Ministro dell’Agricoltura, Maurizio Martina, ha affermato che il Ministero autorizzerà tale pratica per fini sperimentali, suscitando così l’approvazione di diversi esponenti politici e commentatori, i quali hanno accolto con entusiasmo l’annuncio, come se fosse stato finalmente superato un grave limite per il comparto agricolo locale. In verità, come sa bene chi si è dato pena di leggere i documenti, la Decisione Europea di luglio già include delle eccezioni al divieto (articolo 5). Il documento infatti esplicitamente prevede impianti in luoghi fisicamente protetti dall’insetto vettore. Resta da capire come questa possibilità si potrà effettivamente declinare e, soprattutto, se e come gli agricoltori ne potranno giovare. Fini sperimentali e fini produttivi non sono necessariamente incompatibili, ma di certo, a meno di non usare la ricerca come escamotage, sono e dovrebbero essere due cose distinte: l’autorizzazione per fini sperimentali dovrà essere supportata da una base scientifica (si suppone) da giudicare nella sua adeguatezza. Ci sono inoltre diversi elementi ancora non noti: chi si farà carico dei costi legati ai nuovi impianti? L’autorizzazione coinvolgerà tutte le cultivar o solo quelle che attualmente sembrano essere tolleranti (come il Leccino)? E se invece l’autorizzazione non farà distinzioni in questo senso, piantare cultivar notoriamente suscettibili a Xylella può ritenersi compatibile con le misure di emergenza da applicare nella zona cuscinetto e nei focolai appena divampati, oppure queste zone saranno escluse dalla possibilità di avere autorizzazioni? L’entusiasmo è quindi quantomeno prematuro (come lo stesso Ministro ha poi chiarito).
Anche riguardo ai “fini sperimentali” rimane da capire se si sceglierà una sorta di lassez faire, lasciando il tutto all’impulso dei singoli agricoltori e ricercatori; o se invece si vorrà costituire una sorta di coordinamento delle ricerche, anche per fare tesoro delle esperienze accumulate in decenni di analisi oltreoceano, evitando di ripetere gli stessi errori, false piste e vicoli ciechi sperimentati in passato, come esortava il prof. Alexander Purcell, dell’Università di Berkeley (“non reinventate la ruota!”), nel suo intervento al workshop EFSA (v. qui, secondo video, minuto 30 circa)
Un coordinamento potrebbe peraltro aiutare a soddisfare una sacrosanta esigenza dei cittadini: quella di conoscere le sperimentazioni in atto. Lasciare che siano solo i media a parlarne, con toni spesso sensazionalistici, non aiuta sicuramente a capire se ci sono progressi reali.
Di certo, la ricerca deve fare quello che le compete: non può essere utilizzata come freno per mettere in stand-by le misure di emergenza, e su questo il Commissario Europeo alla Salute e Sicurezza Alimentare, Vytenis Andriukaitis, è stato sempre più perentorio (basti guardare il carteggio con Peacelink, qui l’ultima lettera); e non può nemmeno essere utilizzata per aggirare problemi (come quelli delle aziende colpite) per i quali è compito della politica ingegnarsi per fornire soluzioni.
Esiste un piano per il “post-Piano”?
Il modo in cui il territorio potrà superare questo trauma insomma dipenderà anche dall’approccio che verrà adottato nella gestione del problema oltre l’emergenza. L’attivazione del “Fondo di solidarietà per le calamità naturali” è senza dubbio utile, ma nella misura in cui si riconosce che la Xylella, almeno nel leccese, è un problema oramai strutturale, probabilmente non sarà risolutivo.
E riguardo all’impatto sul paesaggio, non si può fare a meno di chiedersi: ma esiste una strategia per gestire il dopo Silletti? Complici i ritardi, la situazione attuale fa presagire che ci saranno intere aree che, per via della malattia, probabilmente si troveranno spoglie. E questo è un processo che la politica ha il dovere di gestire, a meno di non voler optare, anche qui, per uno spontaneismo che presenta però parecchi rischi[3].
L’olivicoltura in provincia di Lecce si fa su appezzamenti di dimensioni piccole e piccolissime: oltre il 30% non va oltre le 50 are (mezzo ettaro); la forma prevalente è la conduzione diretta (che interessa il 98,3% delle aziende specializzate); si tratta di aziende individuali in cui il conduttore ha più di 50 anni nel 73% dei casi (di questi, il 30% è ultra-settantenne).
Quasi il 75% delle aziende agricole ha una dimensione economica di produzione standard inferiore ai 2000 euro. Non sorprende quindi che spesso (nel 57,6% dei casi considerando tutte le colture) si produca esclusivamente per l’autoconsumo familiare. In un simile quadro è difficile pensare che i proprietari di questa miriade di piccoli appezzamenti, guidati da una mano invisibile, possano gestire una sorta di “riconversione ordinata”, che tuteli il paesaggio o in generale il territorio. Più realistico sembra invece il rischio di un cospicuo abbandono dei terreni coinvolti dal problema Xylella (che comunque non potranno cambiare destinazione urbanistica per 15 anni grazie alla “legge Blasi“).
Un processo, quello dell’abbandono delle terre, che per la verità è già in atto, e da anni. Ci sono sicuramente tanti fattori a spiegarlo, incluse politiche sbagliate, speculazioni e chi più ne ha più ne metta; ma bisogna anche prendere atto di un elemento di fondo: il modello dei micro-appezzamenti familiari tanto amato oggi è difficile da sostenere. Può non piacere, ma i vecchi contadini sono sempre più anziani; ed è un fatto che la popolazione giovanile è sempre più dedita ad altre attività e in altri luoghi, data la massiccia emigrazione. Chi rimane a curare realmente i terreni? Forse anche questo elemento esaspera il senso di frustrazione della popolazione locale: si percepisce che quel tipo di rapporto con la terra scricchiola, sotto i colpi di un contesto generale che è cambiato tantissimo rispetto a una o due generazioni fa; e probabilmente non è un caso se la prime contestazioni agli interventi erano basate sulla convinzione di poter gestire la malattia degli olivi solo con i rimedi tradizionali. Il batterio – e tutto ciò che ne consegue – rischiano di spazzare via definitivamente il passato; e che forma abbia il futuro non si sa, nemmeno si intravede. Forse è anche per questo che, a torto o a ragione, tanti non riescono a credere che questa minaccia così formidabile possa essere frutto del caso.
Se a questo quadro di frammentazione si aggiungono le incredibili e reiterate bocciature della Puglia e del suo Piano di sviluppo rurale, si capisce che c’è davvero poco da star tranquilli. Risorse preziose (anche per gestire questo problema) rischiano di essere perse per l’incapacità della Regione Puglia di presentare un Piano adeguato da mesi. Argomento purtroppo poco discusso anche dai media locali e non.
Le vere responsabilità dell’Europa
Di temi di cui discutere insomma ce ne sarebbero diversi: le proteste e i media però hanno portato a monopolizzare il dibattito sulla falsa contrapposizione “abbattere o curare”. Si preferisce parlare della cattivissima Europa che ignora qualsiasi richiesta di bloccare le misure di emergenza, mentre voler proteggere dal contagio del batterio altri territori è forse l’unico punto ragionevole della politica della Commissione. Quello che invece sembra poco ragionevole è proprio il disinteresse finora dimostrato dalle autorità comunitarie su quasi tutto il resto: in provincia di Lecce non si può più eliminare il batterio. Quindi, oramai, Xylella è arrivata (grazie a controlli europei fallaci, ricordiamolo) e ci rimane. Un seppur accorato “ci dispiace tanto”, è sufficiente?
Significativa, su questo piano, la reazione del rappresentante della Commissione Europea alla richiesta di Giovanni Cantele, presente al workshop EFSA di Bruxelles in rappresentanza degli agricoltori pugliesi. Quando il presidente di Coldiretti Puglia ha segnalato che, accanto all’attuazione del Piano di emergenza, si impone la necessità di aiutare gli agricoltori e ridiscutere l’opportunità di importare piante da paesi extraeuropei notoriamente affette dalla patologia, il funzionario europeo ha espresso perplessità. Un atteggiamento comprensibile solo se si accetta che la priorità, per l’Unione Europea, è il libero commercio, mentre la tutela della nostra biodiversità è un fatto secondario. Intanto, la Xylella è arrivata in Corsica e a Nizza, ma è escluso che sia stata portata dalla Puglia; i focolai rilevati sono del tipo multiplex (sottospecie diversa da quella pugliese). Notizia poco nota ma molto rilevate, è che 4 piante infette di caffè sono state intercettate il mese scorso anche in Svizzera, ri-esportate dall’Olanda, proprio come quelle che hanno contaminato presumibilmente la Puglia. D’altronde, le uniche limitazioni al commercio introdotte finora (dopo il caso pugliese) riguardano le piante di caffè da Honduras e Costa Rica. Nulla di più. I vivai leccesi invece non hanno goduto di tanta clemenza, e continuano a subire il blocco della commercializzazione delle piante ospiti.
L’Europa insomma, lo si diceva già mesi fa, un po’ ingiusta lo è. La Puglia deve rendere conto all’Europa della situazione, ma anche l’Europa dovrebbe assumersi le sue responsabilità nei confronti della Puglia. Resta da capire per quanto tempo ancora le si permetterà, bloccando il Piano, di nascondersi dietro la foglia di fico della nostra inadempienza, così come si permette alle istituzioni italiane di continuare a procedere a tentoni.
[1] Altre piante infette sono state risparmiate grazie al ricorso al TAR del Lazio, che ha sospeso gli interventi su due terreni in contrada Frascata fino a metà dicembre; nel frattempo, purtroppo, è stata confermata la presenza di un nuovo focolaio nel Comune, a circa 1 km più a sud rispetto al focolaio rimasto in piedi.
Nei vari ricorsi presentati il Tar Lazio ha per ora sospeso l’abbattimento solo delle piante sane nel raggio di centro metri da quelle infette: sarà valutato nel merito se effettivamente, come sostengono i ricorrenti, c’è una contraddizione tra l’uso di prodotti fitosanitari e l’eliminazione della pianta sana. Le piante infette invece devono essere eliminate.
[2] Nel Piano Silletti 1 la misura A2 era denominata “Controllo meccanico degli stadi giovanili mediante trinciatura o erpicatura delle erbe spontanee”
[3] La fonte dei dati sull’olivicoltura in provincia di Lecce è il contributo di Grazia Brunetta (Provincia di Lecce -Ufficio di statistica) nel Volume Nuovi scenari dell’agricoltura nazionale e salentina: i dati del 6° censimento dell’Agricoltura