L’autunno è appena cominciato. A Taranto le piogge, il freddo e i cattivi tempi arrivano sempre con un po’ di ritardo, che quasi non te ne accorgi, e all’improvviso ti trovi sotto una burrasca senza la possibilità di trovare riparo. Ma se il clima meteorologico sembra volerci concedere ancora qualche settimana mite e soleggiata, all’Ilva la burrasca sembra essere nuovamente, e per l’ennesima volta, alle porte. Pronta a travolgere tutto e tutti. In queste settimane, infatti, la fabbrica è ripiombata in uno stato di pesante incertezza.
Notizia di questi giorni è il momentaneo cambiamento dell’assetto di marcia per le prossime sei/sette settimane. Si prevede una riduzione della produzione di circa 4000 tonnellate di acciaio, passando dalle attuali 17000 a 13000 tonnellate giornaliere. Tale assetto porterà ad una riduzione di marcia delle due acciaierie, mentre si annuncia la ripartenza del treno nastri 1, del tubificio 1 (a marcia ridotta) e del treno lamiere (per breve periodo); senza dimenticare la recente fermata del reparto rivestimenti per mancanza di commesse, con conseguente collocazione in contratto di solidarietà di 136 lavoratori. Difficile prevedere, oltre i prossimi due mesi, l’impatto del ricorso ai contratti di solidarietà, che nel frattempo registrano una riduzione rispetto al trimestre precedente (circa 2000 lavoratori attualmente collocata in cds); come difficile è prevedere i tempi per un assetto produttivo più stabile e più a lungo termine.
Alla carenza di commesse – soprattutto di tubi(recente e non ancora del tutto chiarita è l’ipotetica esclusione di Ilva dalla commessa per la costruzione della Tap) – si aggiungono le difficoltà economiche, che ormai si ripresentano con una certa ciclicità e che, come e più delle volte precedenti, sembrano drammatiche. L’autonomia finanziaria della fabbrica ha il fiato corto: poche settimane dicono voci di corridoio – che in termini più brutali vuol dire riuscire a stento a pagare l’ultimo stipendio. Anche la costituzione della newco, prevista in autunno – e che dovrebbe rappresentare il vero giro di boa -, sembra non essere più all’ordine del giorno. Il miliardo e duecento milioni sequestrato ai Riva e utilizzabile per l’ambientalizzazione , sul quale il piano di Renzi si gioca una grossa fetta di credibilità, pare essersi impantanato fra le pieghe della magistratura svizzera, a fronte di nuovi ricorsi degli eredi della famiglia Riva. Quella somma è indispensabile per far partire il cuore del processo di risanamento ambientale/tecnologico, per permettere aperture di diverse e nuove linee di credito, ma anche per dare un iniezione di fiducia alla città intera e rasserenarne il clima, questa volta inteso come clima sociale. Attendere tale somma senza un “piano B”, a questo punto, potrebbe risultare una scelta estremamente rischiosa. Soprattutto per questi motivi i sindacati confederali unitariamente hanno chiesto urgentemente un incontro chiarificatore direttamente al Ministro dello sviluppo economico Federica Guidi, nonché un incontro al presidente della Regione Puglia Michele Emiliano.
A tutte queste problematiche si aggiunge, come se non bastasse, la condizione di caos che viene via via creandosi in fabbrica per il clima di incertezza, che non favorisce un approccio sereno al lavoro, ma anche e soprattutto a causa di una mancanza di management stabile e strutturato. Criticità che inevitabilmente portano a sovrapporre e intrecciare piccoli e grandi problemi che di fatto generano una condizione di estrema e diffusa confusione. Tutto questo nonostante le freschissime nomine ai più alti livelli organizzativi e dirigenziali, sulle quali comunque è prematuro dare un giudizio. Nel frattempo, la madre di tutte le questioni, e cioè quella del risanamento, rimane ferma e probabilmente in ritardo: ancora oggi non sono noti i risultati delle verifiche di Ispra e Arpa sull’applicazione del 80% dell’AIA.
In questo quadro a tinte fosche appare evidente che siano necessarie due cose che permettano di far camminare insieme il risanamento ambientale, il mantenimento delle produzioni e la salvaguardia dei livelli occupazionali: 1) un piano del governo articolato e concreto, 2) un’iniezione di liquidità certa e immediata. Due cose che solo lo Stato è in grado di fare, avendo interesse a garantire salute, lavoro e industria, tralasciando almeno per ora il profitto economico. Nessun privato sarebbe disposto a farlo, non potendo garantire le tre cose insieme – contrariamente a quanto affermato recentemente dal duo padronale Squinzi/Gozzi, che auspicano quanto prima un ritorno del privato e la svendita a un nuovo Riva.
Nel frattempo qualcuno inizia sfregarsi le mani dalla gioia: in Germania come in altre parti d’Europa e del mondo. Ma anche a Taranto qualcuno è pronto ad alzare il pugno al cielo in segno di vittoria, come quei tifosi la cui squadra è già fuori dai giochi, che esultano per le sconfitte dei rivali storici, quand’anche giocassero contro il diavolo in terra.
A Taranto l’autunno preannuncia burrasca. Le condizioni generali della città sembrano peggiorare di pari passo con il peggioramento delle condizioni del suo più grande insediamento industriale. Il mostro assassino che ha dato da vivere a una parte consistente del territorio e che attualmente rappresenta la più grande fonte di reddito della città; il rottame cadente capace di produrre ancora oggi poco meno del 30% di tutto l’acciaio dell’Italia, che anche grazie all’Ilva rimane il secondo produttore europeo dopo la Germania; lo stabilimento siderurgico più grande d’Europa, appare ora stanco e in molti gli voltano le spalle, a torto o a ragione. Tutti sanno però che il destino della città è legato intimamente a quello della sua fabbrica e il suo futuro non può che dipendere dalla soluzione finale di questa vertenza, che sia nel bene o nel male.
C’è ancora il sole nell’autunno tarantino, ma le foglie potrebbero cadere all’improvviso, da un momento all’altro. Il sentiero che abbiamo di fronte è sempre più stretto e pieno di ostacoli, ma nonostante tutto ancora percorribile – a patto che si voglia percorrerlo. L’alternativa è restare ancora aggrappati, aspettando, in questo autunno tarantino, come sugli alberi le foglie .