Anche lui, come altri militanti di SEL, da venerdì sera ha modificato l’immagine del suo profilo facebook esibendo una foto che lo ritrae al fianco di Nichi Vendola, in segno di vicinanza al presidente del suo partito. Maurizio Baccaro, 36 anni fra qualche giorno, non è però un iscritto qualunque: responsabile ambiente della federazione di Taranto, potrebbe essere il prossimo segretario provinciale del partito (lo deciderà il congresso del 30 novembre e 1 dicembre). Baccaro si troverebbe così a esercitare un ruolo delicatissimo, nell’epicentro di quello che rischia di essere un terremoto catastrofico per Vendola e l’intera SEL. Con lui abbiamo parlato dell’intercettazione Vendola-Archinà e di molto altro.
Molti hanno criticato il tono confidenziale che emerge dall’intercettazione. La questione che ti pongo però non è né morale né legale, ma politica: quel tono era opportuno?
Partiamo dal presupposto che Vendola è il governatore della Regione Puglia, che in materia ambientale non ha poteri. Non può cioè decidere di chiudere lo stabilimento in nessun momento. Di conseguenza, il rapporto fra Vendola e quello che era un interlocutore di fatto – la proprietà dell’Ilva – doveva necessariamente essere incentrato su una legittimazione e un riconoscimento reciproci. Se devo chiedere a qualcuno di investire miliardi di Euro, e non ho strumenti per obbligarlo, non posso mandarlo a quel paese. Lo Stato avrebbe avuto semmai i poteri per esercitare pressioni più forti, come la minaccia di esproprio. E invece in quel momento il governo centrale (assieme a Confindustria) era totalmente al fianco di Riva, contro la Regione Puglia. Per esempio, ogni anno il governo ha messo in discussione i contratti a progetto dei tecnici ARPA; di contro, la giunta regionale è sempre riuscita a confermarli, rendendo possibile lo straordinario lavoro confluito nelle stesse indagini della Magistratura. E’ evidente alla luce di tutto questo che a Vendola non restava che la diplomazia per far avanzare il percorso di ambientalizzazione della fabbrica. Poi ognuno la diplomazia la fa nel modo in cui la sa fare. Non dimentichiamo però che negli anni passati i Riva preferivano elargire contributi elettorali piuttosto che trattare sugli interventi da realizzare. A questo proposito fu lo stesso Riva a dichiarare che proprio Vendola era fra i pochi a non essere sul suo libro-paga…
Sul fronte della legislazione regionale però ci sono dei buchi neri: dall’esclusione del campionamento in continuo nella Legge anti-diossina al ritardo con cui è stata approvata la stessa Valutazione del Danno Sanitario (VDS). Questi limiti gettano ombre sull’operato delle giunte Vendola in materia ambientale?
Tutti questi sono elementi legittimi di discussione politica. E ci sono dei motivi per cui le cose che dici non sono state fatte o sono state fatte in ritardo. Per esempio, il campionamento in continuo era strettamente legato al processo di riconversione produttiva degli impianti, quindi alla procedura di AIA – che è rilasciata dal Ministero, e rispetto alla quale la Regione non ha potere di veto. Per quanto riguarda la VDS, è stata il prodotto di una discussione nata all’interno dei circoli di SEL della nostra provincia e arrivata poi in Consiglio Regionale. Può essere arrivata in ritardo, ma si tratta pur sempre di un atto legislativo innovativo a livello internazionale. Tanto è vero che il governo ha cercato di rendere innocua la VDS con un decreto interministeriale ad hoc. Il rischio allora è che questa campagna di delegittimazione nei confronti di Vendola finisca per rafforzare un sistema reazionario che mira a scardinare le innovazioni introdotte dalla Regione Puglia.
La posizione di SEL a Taranto sulla vicenda Ilva è apparsa altalenante negli ultimi tempi: da una parte, sostenevate il processo di ambientalizzazione promosso dalla Giunta Regionale, dall’altra però avete deciso di votare il quesito per la chiusura parziale della fabbrica nel referendum dello scorso aprile. Il partito locale ha una posizione chiara su un punto così dirimente?
La posizione di SEL e di Vendola è sempre stata quella della riconversione della fabbrica verso la massima inoffensività possibile. L’opinione pubblica aveva creato una barriera intorno a questo punto. Da un certo momento in avanti, intorno al 2010, una serie di forze (politiche e non) hanno deciso di investire sulla spaccatura della città tra chi è per la salute ad ogni costo e chi, messo alle strette, è costretto a privilegiare la tutela del lavoro. Di fronte a questa situazione l’unica posizione che resta in campo per evitare lo scontro è quella di Vendola e di SEL.
La posizione sostenuta al referendum quindi non è quella di SEL?
Io ho considerato dal primo minuto dannoso il referendum, perché funzionale alla divisione. Su questioni del genere non servono i referendum, ma la politica. Immaginiamo se Lincoln avesse convocato un referendum sulla schiavitù: questa sarebbe durata per chissà quanti decenni ancora. In ogni caso, sul referendum c’erano posizioni non omogenee nei circoli; al che la Federazione provinciale ha preferito evitare che emergessero differenze di vedute assumendo una mediazione. D’altra parte, se la VDS ci dovesse dire che i livelli di produzione dell’area a caldo sono insostenibili, si dovrebbe considerare la prosecuzione dell’attività della sola area a freddo…
Che tecnicamente vuol dire chiudere l’Ilva…
Il punto, ribadisco, è la contrapposizione che si è innescata fra Salute e Lavoro, che non consente di ragionare su soluzioni intermedie. Su questa frattura in molti hanno giocato, in maniera non sempre chiara, con la speranza di costruire rendite di posizione politiche. Io rispetto tutte le realtà ambientaliste, anche se la pensano molto diversamente da noi, purché abbiano una linea coerente. Non puoi criticare il mancato campionamento in continuo e poi chiedere la chiusura dello stabilimento. Lo stesso Grillo ha fatto un capolavoro di ambiguità sotto elezioni, non assumendo nessuna posizione sull’Ilva per intercettare i voti sia degli ambientalisti che degli operai. Il problema è che a trarre beneficio da questo atteggiamento rischiano di essere forze politiche reazionarie che purtroppo Taranto ha già visto in atto. Rispetto a questo pericolo SEL e tutta la Sinistra non possono permettersi di arretrare di un metro.
A proposito di rapporti coi movimenti, l’ultima volta che Vendola è venuto a Taranto è stato contestato; anche in occasione della recente tre giorni sull’Ilva organizzata dal gruppo consiliare regionale di SEL c’è stato qualche subbuglio da parte di esponenti del mondo ambientalista. Si è alzato un muro fra il vostro partito e una parte della cittadinanza?
Bisogna vedere anzitutto chi sono i movimenti. E’ difficile avere un rapporto con chi ti delegittima qualunque cosa tu faccia. D’altra parte, non va da sé che chiunque urli rappresenti per ciò stesso la città. Ricordo inoltre che SEL e Vendola fino a non molto tempo fa erano accusati da Confindustria e da Ilva di voler chiudere la fabbrica. A questo punto delle due l’una: o siamo come dice Confindustria o siamo i nemici della salute, come dicono alcuni ambientalisti. Tutte e due le accuse insieme non si tengono.
Proprio nell’epicentro della crisi Ilva, Taranto, SEL da qualche giorno non ha più rappresentanti in Consiglio Comunale (dopo la fuoriuscita di Di Giovanni dal partito), nonostante il buon risultato alle scorse amministrative (6,2%, due eletti). E’ il segno di una crisi politica?
La crisi ormai pervade tutti i partiti, ma non c’è ombra di dubbio che a Taranto città ci sia la necessità di discutere del rapporto fra il nostro partito e i suoi rappresentanti nelle istituzioni. Questa cosa non può non passare attraverso un allargamento che sia il più qualificato possibile del personale politico. Allo stesso tempo nel partito è necessaria una discussione che porti a esiti condivisi: non è possibile che permanga una disomogeneità fra il capoluogo e il resto della provincia.