« Le cose indicate nell’articolo 10 [Definizione di Beni Culturali, nds] , da chiunque e in qualunque modo ritrovate nel sottosuolo o sui fondali marini, appartengono allo Stato e, a seconda che siano immobili o mobili, fanno parte del demanio o del patrimonio indisponibile, ai sensi degli articoli 822 e 826 del codice civile.»
( Art. 91, comma 1 del Decreto Legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 , Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 Legge 6 luglio 2002, n. 137)
Aprire questo contributo con un importante articolo della legislazione vigente in materia di “Beni Culturali” (D. Lgs. 42/2004, con integrazioni fino al 2008) permette di calarsi nel vivo della questione che andremo ad affrontare. La disciplina prevede, in caso di ritrovamento nel sottosuolo di qualunque cosa indicata nell’art. 10, che ne venga verificato l’interesse culturale ; qualora l’interesse culturale non venga riconosciuto, gli uffici competenti ne dispongono la “sdemanializzazione” salvo non sussistano “ragioni di pubblico interesse”, stabilite dall’amministrazione interessata. Se, invece, per il sito – parliamo in questi termini data la tematica – è dichiarato un interesse culturale, esso soggiace alle norme di tutela, che appartiene allo Stato. La valorizzazione, invece, è svolta in maniera concorrente tra Stato ed enti locali e prevede la partecipazione di soggetti privati . L’art. 97, comma 1, prevede la possibilità di espropriazione per interesse archeologico.
Dopo questa premessa, passiamo al racconto di ciò che è avvenuto negli ultimi mesi in città circa la questione delle rovine trovate sulla collina del Belvedere, nel quartiere Tamburi di Taranto. A parlarcene è Carmine De Gregorio, che da sempre si è battuto – prima tra le file del Partito Socialista, poi con i DS, con i quali è stato eletto consigliere comunale, e ora con il Partito della Rifondazione Comunista – per un’oculata gestione del territorio e contro la piaga dell’abusivismo edilizio.
È in un soleggiato pomeriggio di fine estate che mi lascio guidare da lui sulla collinetta del Belvedere, in zona “Croce”, nel quartiere Tamburi di Taranto. Carmine De Gregorio, per tutti Nello, è un’ottima guida e tra i resti che sono venuti fuori tra l’argilla e i ciuffi d’erba, mi ha illustrato ciò che la terra ha voluto restituire alla città: resti di una necropoli, di una villa, una grande vasca, svariati piccoli canali. In quel periodo era nel vivo la battaglia, guidata da Nello e da Pepi Leuzzi, editore della testata giornalistica “TarantoOggi”, contro il progetto dell’ennesimo parcheggio che avrebbe coperto completamente i reperti archeologici. Assieme ad essi, la comunità cittadina si è stretta attorno al progetto, proposto da Nello e Pepi Leuzzi, della creazione del Parco Archeologico del Belvedere. La battaglia è stata vinta, dopo una serie di vicissitudini, e pare che Taranto avrà il suo Parco Archeologico.
A quando risale la scoperta dei reperti archeologici in zona “Croce”?
«Nei primi giorni di maggio di quest’anno era venuta fuori, sulla collinetta del Belvedere, un’ampia area di necropoli che i giovani archeologi della cooperativa Museion avevano datato attorno al V/IV sec. a.C. .»
Di che reperti si tratta e a che epoca appartengono?
«Ci sono reperti dei quali è sufficientemente chiara la natura e il periodo di riferimento. Altri attendono di essere ancora valutati e studiati. Come detto i resti di necropoli sul pianoro appartengono all’età greca V/IV sec. a.C.. Sempre sul pianoro è emersa un’area interessantissima che costituì un’area cultuale o un tipico sacello annesso alla necropoli. Poi, a testimonianza di una zona colonizzata in età romana, una struttura absidata costituente un piccolo impianto termale e, a pochi metri di distanza la peristasi esterna di un ambiente domestico. Sul declivio è stata rinvenuta una fornace medievale. L’area è stata antropizzata senza soluzione di continuità dall’età greca fino alla fine del Settecento. Interessantissima è la fontana-cisterna, di rara bellezza e che ha pochi eguali in tutto il bacino del Mediterraneo, forse la parte terminale di un sistema idrico, probabilmente un acquedotto, che potrebbe essere quello che alcune fonti storiche citano quale componente del tratto ipogeico dell’acquedotto romano proveniente da Statte. Ad ogni buon conto, ciò che emerge nel suo complesso è che forse ci troviamo di fronte a strutture facenti parte di quel grande abitato che nel passato sia il Lenormant che il Wuillmier pensarono fosse non un piccolo avamposto della chora ma una vera e propria terza Taranto, dopo l’acropoli e la polis.»
Quando sono iniziati i problemi relativi alla tutela e conservazione delle emergenze archeologiche?
«Intorno alla metà di luglio, quando sono cominciate a filtrare le prime notizie in ordine al parere che avrebbe espresso la Soprintendenza Archeologica al Comune. La conoscenza di questo parere fu una vera e propria doccia fredda, nel senso che buona parte dei reperti venivano considerati di non alta evidenza archeologica e quindi potevano essere sotterrati. In pratica si dava il via libera al Comune ad asfaltare l’intera superficie del pianoro lasciando a vista solo un paio di evidenze lungo il declivio.»
Come si è svolta la battaglia?
«Da un lato ci siamo mossi per creare un grande fronte civico coinvolgendo decine e decine di cittadini, associazioni culturali, non solo locali ma anche nazionali, e di altre realtà territoriali. Abbiamo trascorso l’estate accompagnando centinaia di persone a visitare l’area ed organizzando anche una manifestazione in costume. I media hanno mediamente risposto ai nostri appelli. Abbiamo investito della questione sia il Ministro Bray che la Regione, nella persona dell’assessore Barbanente. Avevamo comunque un obiettivo da raggiungere in questa battaglia ed era quello di essere riconosciuti come interlocutore dalla Soprintendenza. Ci siamo riusciti ma non è stato semplice ed il confronto avuto all’inizio è stato piuttosto difficile; alla fine il Soprintendente ha capito e compreso lo spirito della nostra battaglia, impegnandosi a rivedere il precedente parere in sede di giudizio definitivo dopo la presentazione del progetto esecutivo che il Comune avrebbe inviato. In quel momento abbiamo capito che l’aria stava cambiando e forse il progetto del parco poteva divenire realtà, anche perché da parte della Commissione Assetto del Territorio, dell’Assessore Francesco Cosa e del Dirigente, l’ architetto Silvio Rufolo, era stata espressa già la disponibilità a rivedere il progetto originario del parcheggio di scambio facendo in modo che lo stesso potesse coesistere con l’area archeologica.»
Come si è posizionata la politica in merito a quest’importante movimentazione civica?
«Praticamente assente, a parte il sostegno ricevuto da singoli consiglieri comunali, come Dante Capriulo e Gianpaolo Vietri, e dal Consigliere Regionale Anna Rita Lemma. Unica nota di particolare rilevanza il documento del Circolo “Peppino Impastato” del Partito della Rifondazione Comunista nell’ambito dell’iniziativa pubblica del 18 luglio sulle prospettive culturali a Taranto.»
Un Parco Archeologico per Taranto, ovvero ?
«Un parco per ripartire dalla cultura e dalle tante inespresse potenzialità che il nostro territorio può vantare, ma anche un parco che metta assieme cultura e valorizzazione paesaggistica. Questo parco è un’occasione per rilanciare un’area marginale come quella dei Tamburi che diversamente sarebbe condannata definitivamente al degrado più nero. E’ un modo concreto di bonificare il territorio.»
È la seconda volta [la prima è stata quella dell’arca in Via Marche] che a Taranto le istanze cittadine di difesa del patrimonio hanno la meglio su progetti che non tengono in debita considerazione la tutela e valorizzazione delle ricchezze del territorio. Una leva per ripartire, un segnale di apertura importante se si vuole costruire, a Taranto, un’alternativa culturale degna di questo nome. Ripartire dalla storia è il modo migliore per istruire le future generazioni, affinché acquisiscano – innanzitutto attraverso lo studio di quello che ci è rimasto – il senso civico, necessario alla tutela del patrimonio. In attesa, naturalmente, di veder debitamente valorizzato questo importante sito di interesse archeologico con la costituzione di un Parco come da art. 101, comma 2, lettera e) del D. Lgs. 42/2004:
«“parco archeologico”, un àmbito territoriale caratterizzato da importanti evidenze archeologiche e dalla compresenza di valori storici, paesaggistici o ambientali, attrezzato come museo all’aperto».
Le premesse ci sono tutte!
StecaS
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Carmine De Gregorio, amante della cultura in tutte le sue sfaccettature, ha scritto importanti contributi incentrati sull’arte e l’archeologia locali. Per approfondire i suoi studi si consiglia la lettura di:
– Nello De Gregorio, “Percorsi della memoria”, Taranto, Scorpione, 2004
– Nello De Gregorio , “Percorsi della Storia”, Taranto, Scorpione, 2007
– Nello De Gregorio, “Rinaldo e Giovanni nella storia dell’arte italiana”, Taranto, Scorpione, 2008
– Nello De Gregorio , “Earth la mia terra – passeggiando in Apulia”, Taranto, Scorpione, 2009
– Nello De Gregorio ,“Puglia terra di primati”, Taranto, Scorpione, 2011
– Nello De Gregorio, “Tesori di Puglia – una passeggiata archeologica fra Messapi, Greci, Peuceti e Dauni”, Taranto, Scorpione, 2012
– Nello De Gregorio ,“I palazzi nobiliari di Città Vecchia e le chiese e gli edifici religiosi” in DVD.
Per una migliore comprensione della vicenda, si consiglia la lettura del D. Lgs. 42/2004, che trovate al seguente link :
– http://www.aedon.mulino.it/archivio/2008/2/codice.htm
Per i commentari alla legislazione:
– “Il Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio”, a cura di M. Cammelli, Bologna, Il Mulino, 2007
– sono disponibili aggiornamenti legislativi a questo link: http://www.aedon.mulino.it/archivio/2008/3/index308.htm
Sulle difficoltà incontrate nell’amministrazione dei Beni Culturali a seguito della divisione dei compiti di Tutela da quelli di Valorizzazione si legga:
– S. Settis, “Battaglie senza eroi. I beni culturali tra istituzioni e profitto”, Milano, Electa, 2005.