E’ stato un risveglio amaro quello di ieri per Taranto. 52 arresti nell’ambito di un’operazione antimafia coordinata dalla Dda di Lecce per capi di imputazione che spaziano dall’omicidio all’estorsione, dal traffico di droga all’associazione a delinquere di stampo mafioso. Infatti, secondo il procuratore della Direzione Distrettuale Antimafia, Cataldo Motta, i soggetti coinvolti stavano provando a riorganizzare le attività illecite nel capoluogo jonico: in particolare, estorsioni e traffico di droga. A finire in manette sono stati alcuni nomi di peso della malavita locale (De Vitis, D’Oronzo, Scarcia). Nomi che fanno tornare alla memoria i momenti tragici vissuti dalla città a cavallo fra anni ’80 e ’90, quando Taranto divenne tristemente nota alle cronache nazionali non tanto per l’avvelenamento provocato dalle grandi industrie, ma soprattutto per le sparatorie in strada, per gli omicidi feroci, per le stragi di innocenti. Vicende che la nostra comunità ha quasi del tutto rimosso negli anni a venire. Ed è forse proprio questo che rende tanto traumatico il risveglio.
Fra gli arrestati c’è anche un “nome eccellente”, che lascia trapelare scenari inquietanti sotto il profilo del rapporto triangolare mafia-politica-imprenditoria. Si tratta di Fabrizio Pomes, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa e intestazione fittizia di beni. Personalità poliedrica, in bilico fra politica (dirigente del PSI jonico in epoca craxiana, poi sostenitore del centrodestra, infine promotore della lista “La Puglia per Vendola/PSI” a sostegno della rielezione di Ezio Stefàno, nel 2012) e imprenditoria, Pomes è stato fino a pochi mesi fa il titolare di una struttura di proprietà comunale, il centro sportivo Magna Grecia. I reati contestatigli riguardano proprio il suo rapporto con quella struttura: secondo gli inquirenti, alcuni esponenti del clan D’Oronzo sarebbero stati coinvolti nell’amministrazione di cooperative allestite per la gestione del centro. Sarà compito della magistratura accertare tali circostanze, intanto a noi non resta che evidenziare alcuni fatti politici della massima gravità.
Il “centro sportivo Magna Grecia” è uno dei casi più clamorosi di rapporto perverso fra politica e imprenditoria a Taranto. Quasi un anno fa un giovane giornalista tarantino, Gaetano De Monte, in un articolo che il giornale per il quale allora lavorava non ha mai voluto pubblicare, ricostruiva passo per passo le fasi di questa strana storia. Nel 2003 il Comune di Taranto, allora amministrato dal centrodestra di Rossana Di Bello, stipulava un contratto di affidamento quindicennale con un’associazione temporanea di impresa (Ati) costituita da Coop Europa (società mandataria, di proprietà di Armando Parnasso, meglio noto per un giro di tangenti che in quegli stessi anni si verificò all’interno della sanità jonica), Associazione Delfini Azzurri Onlus e Associazione Calcio Club Dellisanti (mandanti). A seguito del fallimento della Coop Europa, nel 2007, il contratto sarebbe dovuto decadere, e le società mandanti avrebbero dovuto rimborsare, al Comune, i canoni di affitto fino ad allora non pagati e, ai creditori della Coop Europa, debiti per 250 mila Euro circa. E’ in questo momento che arriva Pomes con la sua cooperativa Corda Fratres. Di fatto questa subentrava alla Coop Europa senza tuttavia aver mai stipulato un atto formale col Comune di Taranto – che nel frattempo aveva cambiato amministrazione, con l’elezione a sindaco di Ezio Stefàno. La direzione patrimonio, nel 2011, e quella ai lavori pubblici, nel 2013, invitarono quindi i gestori ad abbandonare i locali per permettere al Comune di indire un bando pubblico per l’affidamento della struttura. La Corda Fratres e le altre cooperative hanno lasciato il Centro sportivo Magna Grecia, fra le polemiche, solo un anno dopo l’ultima ingiunzione degli uffici comunali; nel frattempo i debiti sono raddoppiati e lo stesso Comune di Taranto aspetta che gli siano rimborsati i canoni di affitto che i gestori avrebbero dovuto versare. L’affidamento anomalo del Magna Grecia è stato censurato dallo stesso procuratore Motta, che ha fatto esplicito riferimento a procedure poco chiare da parte del Comune.
Intanto però lo stesso “Magna Grecia” in tutti questi anni è diventato un punto di riferimento per associazioni, gruppi spontanei e partiti politici. Nel desolante vuoto di spazi pubblici che ancora oggi caratterizza Taranto, incontri, dibattiti, seminari, presentazioni di libri, congressi ecc. sono stati ospitati dalla struttura di via Zara. Pomes è stato abile nel costruire questa centralità: affitti modici e ampia disponibilità erano gli elementi di una “strategia del consenso” che magari sarebbe potuta tornare utile nei momenti di difficoltà. Una strategia che è stata indirettamente sostenuta dalle istituzioni pubbliche (Comune, in primis), la cui politica sugli spazi sociali in questi anni è stata improntata su due assi fondamentali: indifferenza e repressione.
Parla chiaro, ad esempio, la vicenda dell’ex scuola Martellotta. Occupata dalle ragazze e dai ragazzi del Cloro Rosso nel 2008, la struttura viene sgomberata a più riprese: in occasione dell’ultima “cacciata”, nel gennaio del 2011, l’amministrazione comunale si impegna a restituire alla città quello spazio abbandonato destinandolo proprio alle attività giovanili. Passano gli anni, si verifica una nuova occupazione (da parte del collettivo politico “Mestiza”), vengono rinnovate ancora una volta le promesse dei rappresentanti politici, ma la Martellotta è ancora lì: un monumento alla considerazione che il Comune di Taranto ha dei giovani e della socialità.
Ma non si tratta dell’unico caso. Si pensi al Cantiere Maggese in Città Vecchia: inaugurato a ridosso delle elezioni regionali del 2010 come Laboratorio Urbano, avrebbe dovuto essere un centro propulsore per la vita sociale dell’isola, ma ben presto la gestione della cooperativa incaricata dal Comune si rivela fallimentare e il Cantiere finisce per essere affittato a privati che lo trasformano in locale “da movida”. Si è dovuto aspettare l’interessamento della Scuola di Bollenti Spiriti, la scorsa estate, perché fra le mura di Largo San Gaetano si vedessero (forse per la prima volta) attività sociali degne di nota – attività che, alla chiusura della Scuola, sembrano però cessate.
Eppure alle istituzioni occasioni di confronto con le realtà che animano la società civile locale non sono mancate. Nell’autunno del 2010 più di cento associazioni tarantine creano una “Rete per gli spazi“, sottoscrivendo un documento che chiede alle istituzioni pubbliche (Comune e Provincia) di discutere dell’assegnazione di alcuni grandi contenitori a scopi sociali. Appello che, neanche a dirlo, cade nel vuoto. Analogamente accade alla richiesta avanzata dai ragazzi di Officine Tarantine, che nell’estate del 2013, stanchi di mancate risposte, decidono di occupare i Baraccamenti Cattolica. Anche in quel caso all’indifferenza fa seguito la repressione, con il tentativo di sgombero di qualche mese fa.
C’è un rapporto fra la politica fallimentare del Comune di Taranto sul fronte degli spazi aggregativi e il successo del Centro sportivo Magna Grecia? E’ una domanda che inevitabilmente resta aperta, ma che chiunque abbia a cuore il destino della nostra comunità non può eludere. Perché questa domanda richiama quasi spontaneamente una riflessione. Quando si parla di “spazi” infatti non si fa riferimento semplicemente all’elementare esigenza di tutti gli esseri umani di condividere determinati luoghi fisici per fare insieme qualcosa (“l’uomo è animale sociale”, diceva qualcuno). Quando si parla di “spazi” – e, in particolare, di “spazi sociali” – si parla di democrazia. Perché, checché ne pensi qualche ingenuo entusiasta della rete, la democrazia nasce in un luogo fisico – l’agorà degli antichi, le piazze dei comuni, dal Medio Evo ad oggi – ed è destinata a morire quando quei luoghi fisici, per una ragione o per l’altra, vengono sottratti alla collettività. E che democrazia è quella che è costretta a dipendere da uno spazio come il Magna Grecia – col suo retroterra di malaffare, di collusioni ancora non chiarite, di “zone d’ombra”? Evidentemente è una democrazia “sotto la tutela” di quegli stessi gruppi che hanno il massimo interesse a controllare e indirizzare tutti i movimenti che emergono in città, al fine di preservare gli equilibri di potere di cui essi stessi sono i principali beneficiari. Ed ecco allora, per chi ancora non lo avesse capito, che la questione degli spazi – almeno a Taranto, ma non solo a Taranto – non è semplicemente l’ossessione di un gruppetto di “giovani estremisti”; è una delle questioni fondamentali per la sopravvivenza della democrazia nella nostra città. Una questione che troppo spesso è stata guardata “dall’alto verso il basso” da chi prospettava sempre “ben altri problemi”.
Forse il brusco risveglio che la Dda di Lecce ci ha riservato ieri può essere un’occasione per riprenderci dalle tante (troppe) illusioni che abbiamo coltivato in questi anni. Una su tutte, la vulgata per cui il principale fronte di conflitto è quello che vede contrapposta la comunità tarantina nella sua interezza alle “potenze colonizzatrici” provenienti dall’esterno (Ilva, grande industria, Roma ecc.). Per usare un’espressione brutta, ma efficace… “il nemico è fra noi”. Non è la “quinta colonna” che indebolisce la lotta contro le potenze esterne, o la “mela marcia” che fa sfigurare il resto del cesto. E’, al pari di certe potenze esterne, una galassia di soggetti il cui solo interesse è accumulare denaro e potere – sfruttando, opprimendo, avvelenando. Il nemico è la borghesia stracciona che non disdegna di entrare in affari con la mafia, se questo può garantirgli un ritorno, e che si insinua nella politica e nell’amministrazione pubblica con uomini fidati e scambi di favori. E si arricchisce, e accresce il proprio potere, mentre tutto intorno noi, esclusi da queste dinamiche, subiamo gli effetti di quella economia di rapina – che in realtà è il volto autentico di ciò che chiamiamo “capitalismo” o “economia di mercato” -: disoccupazione, precarietà, avvelenamento.
Ecco, quando capiremo questo, e ci disporremo ad agire di conseguenza, forse per Taranto sarà davvero l’alba di un giorno nuovo.