La denuncia dello storico dell’arte Lorenzo Madaro dalle colonne dell’edizione pugliese de “La Repubblica” ha innescato un dibattito sullo stato in cui versa la Concattedrale di Taranto, opera del grande architetto Giò Ponti. A questo proposito proponiamo un breve commento di Roberto Nistri. Cifra comune di diversi interventi è una nuova sensibilità verso le vicende del Novecento nel capoluogo ionico. Su questo tema torneremo, convinti come siamo che la valorizzazione delle testimonianze lasciate dal secolo scorso sia un’opportunità che la città deve saper cogliere.
Recentemente la Gran Signora del giornalismo jonico, la cara amica Anita Preti, ha celebrato il De Profundis della Concattedrale di Taranto: uno dei monumenti simbolo del Novecento italiano, ridotta a vischiosa palude nella sua propaggine esterna. L’eterno ritorno del rimosso e del rimorso.
Giulio Ponti, il figlio del grande architetto, indicava quell’opera come la più felice e completa della seconda fase del lavoro creativo del padre. Purtroppo la Grande Vela, che doveva sorgere in mezzo ad un prato, veniva subito aggredita, assediata e soffocata da banali condomini residenziali. Si diceva: “che non sabbia a dire: «avevate una grande occasione e l’avete perduta»”.
Abitata dagli uccelli? Aggredita dal verde? La più qualificata opera d’arte moderna presente sul territorio, è stata aggredita dalla lazzaronaggine semplice o qualificata del sottobosco assessorile. Una cattedrale che si voleva sommersa nell’aria, è stata assediata da termitai in cemento, incagliata in vasche prima trasformate in immondezzai e poi pavimentate. Una vela arenata in un mare pietrificato, come intristita metafora di una Taranto inchiavardata.
Giulio Ponti si prodigava per ripristinare quanto richiesto nel progetto originario. Ma il bravo assessore Melucci, convinto che la sola Amministrazione cittadina avesse il diritto di mettere le mani sull’opera di un artista, ingiunse al Ponti di farsi gli affari suoi, con la minaccia che “ogni sua azione rivolta ad operare nella storica città di Taranto, offendeva la professionalità dei tecnici locali e l’intelligenza dei Tarantini”. A sgonfie vele come sempre, si passava alle minacce. Di questo scrivemmo in un convegno di architetti, nel lontano 1983. Sic transit gloria Diaboli.
Roberto Nistri