Negli ultimi anni siamo stati abituati a vari provvedimenti che hanno via via smantellato sia l’Università Pubblica che il Diritto allo Studio Universitario, le cui conseguenze sono ben note: chiusura di corsi di laurea, tagli alla Ricerca, diminuzione di borse di studio, tagli ai servizi per gli studenti.
Chi, ascoltando i discorsi del Premier Letta («Mi prendo l’impegno. Io mi dimetto se dobbiamo fare dei tagli alla cultura, alla ricerca, all’università»), aveva maturato la speranza che questo Governo cambiasse rotta rispetto ai precedenti ora sarà costretto a ricredersi.
Il 17 ottobre è stato pubblicato il Decreto Ministeriale sui “punti organico”; si tratta del Decreto che in sostanza definisce quante assunzioni possono essere fatte dal sistema universitario italiano e come queste assunzioni devono essere distribuite fra i vari atenei.
Fino allo scorso anno queste venivano regolate dai criteri fissati dalla spending review del Governo Monti, che imponeva un tetto massimo del 20% per il turn-over del personale universitario (si poteva assumere una persona ogni cinque che andavano in pensione); questo – insieme alla nuova normativa sull’accreditamento dei corsi di laurea – ha provocato la chiusura di numerosi corsi di laurea in tutti gli Atenei Italiani.
Il Decreto sui Punti Organico approvato del Ministro Carrozza differisce dai precedenti per la mancanza di un meccanismo che possa contenere le disparità esistenti tra i vari Atenei Italiani (la c.d. clausola di salvaguardia nei turn over di personale); le risorse infatti non vengono più calcolate ateneo per ateneo, ma vengono sommate in un’unica banca dati da cui si estraggono i punti organico che determinano le nuove assunzioni.
Analizzando i dati su 2227.48 punti organico tolti dal sistema universitario a causa dei pensionamenti, ne vengono restituiti 445.50 in nuove assunzioni (1 punto organico = costo medio nazionale di un professore di I fascia), vi è però una disparità di trattamento tra i vari Atenei, ad esempio alcuni avranno un turn-over del 7% (1 assunzione ogni 14 pensionamenti) altri del 200% (2 assunzioni per 1 docente andato in pensione).
Questa disparità deriva dal metodo di attribuzione dei punti organico ad ogni singolo Ateneo, il quale tiene conto dell’indicatore ISEF (indicatore di sostenibilità economico finanziaria), basato sul rapporto tra entrate (tasse studentesche e fondi ministeriali) ed uscite (spese per il personale e debiti vari).
In sostanza la possibilità di assumere personale (e quindi sostenere la didattica con l’attivazione di nuovi corsi di laurea o per lo meno riuscire a mantenere quelli già attivi) dipende da un fatto puramente economico: gli Atenei con un ISEF positivo potranno migliorare la didattica, quelli con un bilancio d’esercizio negativo saranno costretti ad assumere meno docenti rispetto a quelli andati in pensione a seconda del loro grado di indebitamento.
E’ ovvio che, in un contesto del genere, il rischio è che gli Atenei in difficoltà decidano di aumentare le tasse universitarie; a ciò potrebbe seguire un calo delle immatricolazioni (e quindi delle entrate), che a sua volta rischierebbe di proveocare – nella peggiore delle ipotesi – la chiusura dell’Ateneo.
Dalla distribuzione dei punti organico ne escono fortemente penalizzati gli Atenei del sud, in particolare quelli di Foggia e Bari; nello specifico l’Università degli Studi Di Bari potrà assumere 5 unità a fronte di 82 pensionamenti.
La situazione è così allarmante che i Rettori degli Atenei pugliesi di Bari, Lecce, Foggia e Campobasso hanno presentato un documento comune in cui si chiede di ripristinare la clausola di salvaguardia nei turn over di personale.
Considerata la situazione, viene da chiedersi quali saranno le ripercussioni sul Polo Jonico. I dipartimenti che gestiscono i corsi di laurea presenti sul nostro territorio lo scorso anno hanno dovuto sopprimere due corsi di laurea (triennali di Giurisprudenza e Scienze della Formazione) ed a stento sono riusciti a garantire l’attivazione dei restanti corsi a causa; tutto ciò a causa del decreto sull’accreditamento dei corsi di laurea, nel quale rispetto al passato sono stati imposti dei parametri più stringenti – in termini di numerosità dei docenti – per l’attivazione dei corsi di laurea. Considerando che le assunzioni saranno minori rispetto allo scorso anno, c’è il rischio concreto che possano non esserci i requisiti necessari per mantenere attivi i corsi attuali e che quindi sia necessario operare ulteriori tagli.
Il Governo, in sostanza, oltre a tagliare fondi per l’assunzione del personale sta mettendo gli Atenei nelle condizioni di dover aumentare le tasse universitarie per poter sopravvivere. A rimetterci saranno ovviamente gli studenti, i quali vedranno diminuire l’offerta formativa a fronte di un aumento dei contributi universitari; per alcuni di loro quindi – considerando anche i tagli ai fondi per il diritto allo studio – molto probabilmente non sarà possibile nemmeno accedere all’Università Pubblica.