“Né rossi, né neri. Solo liberi pompieri”
Quella dei nati negli anni 80 e 90, oltre ad essere la generazione del precariato, è la generazione degli epiloghi. In qualsiasi arte, ambito, contesto si affacci, ci si ritrova sempre a dover fare i conti con la fine delle esperienze e a raccogliere i cocci da esse lasciati. Dal punto di vista musicale non c’è più quell’onda espressiva di ribellione e rivoluzione culturale che ha contraddistinto i grandi periodi di lotta; lotte di cui ora si ammirano solo miraggi o retaggi. Viviamo l’era dei sindacati che fungono più da corporazioni che da strumento di lotta. L’era della fine delle ideologie – così come qualcuno l’ha definita -, come se qualsiasi presa di posizione non significasse in termini essere consequenzialmente in contrasto con un’altra. È uno dei pericoli cui va incontro la mia generazione, quello di credere a un giusto che sia facile, unificante, senza conflitti, che possa da solo risolvere tutti i problemi alla radice.
Ed è questo quindi il campo su cui si gioca il match sociale e nel quale emergono elementi potenzialmente moltitudinari.
È così che anche il solo affermare di essere “di sinistra” significa portarsi appresso tutta una serie di falsi pregiudizi che compongono il corrotto immaginario collettivo, tra cui il peggiore: “sono tutti uguali”, probabilmente preceduto da quello che è ormai il leit motive di molte proteste in Italia, ovvero né destra né sinistra, indicando due vie discordanti e sbagliate, dando a una visione centrista – che tale non è -, un’idea di equilibrio e utilità per il popolo. Non sono certo elementi di recente concezione, visto che già nel 1978, nel suo Ecce Bombo, Nanni Moretti si incazzava come una bestia davanti a simili affermazioni dell’italiano medio dell’epoca.
E questo cosa provoca? Il mantenimento del potere nelle mani di chi già lo detiene. Perché non ammettere la diversità di idee – e quindi il conflitto – significa spegnere qualsiasi focolaio di speranza per un cambiamento in meglio della nostra società. Quindi unitevi ai movimenti che non hanno appartenenza: avrete così, di fatto, la libertà di essere pompieri del cambiamento.
Matteo Renzi, neo-segretario PD
Potrà sembrare un’ovvietà, ma è bene ricordarlo: Renzi, l’uomo che si presenta come la figura del cambiamento del centrosinistra italiano – ancora imperniato a una logica di partito burocratizzata e d’apparato -, in qualunque altro paese del mondo sarebbe sicuramente un candidato della destra. Il neosegretario del Pd non ha problemi a presentarsi agli show di Maria de Filippi, a posare per un servizio fotografico su Vanity Fair, a farsi immortalare con Ipad in bella mostra per dimostrare concretamente di essere un giovane; in questo modo riesce a scalfire l’immaginario. È lo stesso che afferma che la Tav sia necessaria e che addirittura autorizza la costruzione della stazione Tav nel centro di Firenze (nonostante il sito sia sconsigliato dai periti esperti e il costo graverà di ben 500milioni in più rispetto al luogo consigliato, leggermente più lontano dal centro).
Va dunque preso atto che, almeno nella sinistra diffusa, è un personaggio del genere a solleticare l’immaginario. Un immaginario che, a differenza di quello che insegna la storia della sinistra, riesce a comprendere tutti – ma proprio tutti – gli aspetti del mondo globalizzato capitalistico come fonte di riscatto. Qualcosa, in fondo, di già visto e rivisto, non solo nel centrosinistra. Anzi.
Renzi sembra un politico-attore, un format partorito da un’analisi di marketing, con il suo buonismo ingenuo giovanile e la sua battaglia al vecchio, come se a prescindere fosse il male assoluto, in barba ad Aristotele e Platone che ritenevano invece che il governo della polis dovesse essere riservato ai saggi… È questo l’unico ripieno del polpettone offerto al cittadino italiano che, come un cliente con un desiderio commerciale, cede i suoi desideri sociali al prodotto meglio pubblicizzato.
Beppe Grillo, leader del M5S
Il motivo per cui Grillo è riuscito nell’impresa di far diventare un movimento della rete il partito più suffragato del paese, oltre al suo linguaggio forte e recepibile da tutti, è il suo modo di affrontare gli argomenti. Partendo da una posizione di sinistra (ovvero indicando il problema alla radice), li declina in destroide (cioè proponendo modi di risoluzione dei problemi semplici e “ortopedici”). Esprime parole di conflitto nei confronti del sistema, per poi additare come principali colpevoli solamente tutto il ceto politico. Così, in un periodo in cui è difficile dare un’immagine definita del “nemico”, rende facilmente riconoscibile solo la punta dell’iceberg. Verso la quale, di conseguenza, si vomita tutto il proprio disagio – meglio se tramite tastiera -, esprimendo quindi la stessa opinione dei principali siti fascio-complottisti. Nella fame di riscatto delle classi più subissate in questi anni e nella scarsa capacità di analisi politica della maggioranza degli elettori, Grillo ha così fatto le sue fortune, intercettando il dissenso come nessuno altro soggetto è stato capace di fare (anche se, appunto, con queste modalità non è poi così difficile).
Movimento Forconi
Sono la dimostrazione di come le tensioni sociali sono più alte di quanto si possa pensare: una protesta mossa in pochi giorni, con il solo tam tam della rete a comunicare le intenzioni, senza lavorare particolarmente su un immaginario di cambiamento e senza un percorso partecipato (tutte seghe mentali a cui siamo abituati noi di sinistra). Una protesta che, specie per le sue mancanze politico-culturali, è destinata a morire in pochi giorni.
La sollevazione dei forconi pare molto simile a quella di matrice fascista-populistica che sconvolse Reggio Calabria nel 1970, quando la questione dell’assegnazione del capoluogo di regione calabrese fu motivo di sfogo campanilistico voluto da padroni e mafiosi, col fondamentale aiuto di personaggi fascisti, che avevano l’unico obiettivo di manovrare la forza popolare a loro uso, consumo e interesse. Praticamente la stessa cosa che sta accadendo in questi giorni, dove ad essere manovrati sono gli autotrasportatori, con gli stessi imprenditori a guidare e a spronare la protesta.
“Dì qualcosa di sinistra”. E diciamola.
Grillo, forconi e Renzi: se provassimo a chiudere il cerchio forse potremmo scoprire perché si necessiti in questo periodo, nonostante tutto, del militante di sinistra. I grillini, il nuovo Pd renziano e i forconi sono nati proprio perché la sinistra è mancata. Sia quella parlamentare che, impegnata a inseguire il fantomatico elettorato moderato, ha ceduto tutta le sue peculiarità storiche in cambio di una rivoluzione politica di stampo progressista-statunitense (per capirci, la sinistra diffusa il cui idolo non è più Marx ma Steve Jobs, il più grande creativo del capitalismo americano e allo stesso tempo il CEO di una delle multinazionali più sfruttatrici della storia); sia quella extraparlamentare, così occupata a guardare la storia e a rimpiangere un passato di lotte e allo stesso tempo incapace di costruire un immaginario che funga da collante per le nuove generazioni. Sinistre che, quindi, crescono in compagnia dei miti del mainstream, perdendo sempre più la loro identità; rendendo più difficile la loro autodeterminazione storica e sociale; sfilacciando quello che nei decenni scorsi e tutt’ora si sta cercando di costruire.
Essere di sinistra non è quindi, oggi, fuori dal tempo: c’è bisogno di consapevolezza storica, che resista a tutti i revisionismi, anche di sinistra e che soprattutto impari dagli errori del passato; c’è bisogno di ripensare a un futuro diverso, donando alle nuove generazioni, che – lo si sente! – sono stanche dell’aridità e dei ritmi del capitalismo, un’idea di immaginario da inseguire e nel quale sperare. Senza speranza ogni lotta è persa, e senza un obiettivo ogni organizzazione è impossibile.
Quindi, per intenderci, almeno chi crede in valori come la liberazione dal lavoro, la parità sociale tra gli uomini e di genere, chi crede che ogni forma di fascismo sia aberrante e che qualsiasi forma di nazionalismo significhi soltanto una divisione dei popoli oppressi, non si vergogni a dirlo: siamo di sinistra.
Di sicuro adesso la differenza non è più netta come prima. Potremmo anzi considerare il primo nemico della sinistra la stessa sinistra parlamentare (per intenderci, la stessa che promulga come idee del cambiamento quelle della Green Economy, legata indissolubilmente allo sfruttamento dei territori e dell’uomo, quella che ormai non riesce ad essere neanche lo scudo politico dei lavoratori oppressi come dimostrano Pd e Sel con le politiche adottate riguardo l’Ilva).
Certo, alla luce di tutti questi discorsi non sarà facile resistere, soprattutto in un territorio come il nostro, dove – oltretutto – gli esempi di governo di sinistra sono stati tutt’altro che “floridi”. Anzi, potremmo tranquillamente considerarli vergognosi. Ma la differenza tra destra e sinistra deve essere anche questa: mantenere intatta la capacità di critica sociale nei confronti di chiunque.
E proprio perché siamo la generazione degli epiloghi, forse ci troviamo all’alba di un periodo di forti cambiamenti. Non lasciamoci sfuggire questa occasione.