Era il 7 febbraio 1648, un uomo osservava le canne scure degli archibugi puntare verso di lui, pronte a far fuoco. Il suo corpo tremava e la paura che ormai la sua vita fosse destinata a finire nel piazzale del castello, che tanto aveva bramato di conquistare, prese completamente possesso del suo corpo. Il suo viso, però, rimaneva impassibile e privo di sentimenti davanti ai suoi carnefici, fiero per quello che aveva fatto e deluso per non aver portato a termine le sue azioni. Purtroppo il momento era giunto, le armi erano pronte, l’ufficiale diede l’ordine e gli archibugi tuonarono. Il nome del condannato era Giovan Donato Altamura, cittadino di Taranto ed ex capitano della fanteria reale spagnola.
Altamura fu uno degli artefici della sommossa popolare che caratterizzò Taranto alla fine del 1647. L’inizio dei tumulti nel viceregno spagnolo di Napoli avvenne nel luglio del 1647 con la sollevazione popolare capeggiata da Tommaso Aniello d’Amalfi, conosciuto come Masaniello, il quale combatté i sottoposti del re di Spagna che strozzavano la popolazione napoletana con l’aumento delle cosiddette gabelle (le tasse sui generi alimentari di necessario consumo). Il ribelle partenopeo riuscì ad ottenere privilegi per la propria città, ma finì per essere corrotto e manipolato dalla corte spagnola ed infine accusato di tradimento dai suoi stessi compagni e cittadini, ai quali aveva portato netti miglioramenti dal punto di vista fiscale, ma che non gli perdonarono mai il suo rapporto diretto con i dispotici nobili spagnoli. Masaniello morì assassinato il 16 Luglio 1647. Tuttavia, la rivolta contro gli spagnoli continuò nei mesi a seguire portando alla creazione della Real Repubblica Napoletana ed espandendosi in tutto il mezzogiorno d’Italia.
Durante i disordini di Napoli, anche a Taranto i sentimenti anti-spagnoli iniziarono a crescere. L’aumento delle tasse provocarono malumore verso il governatore locale Ferrante Cadorna. Ad aumentare il malcontento vi fu l’arrivo di notizie sugli accadimenti partenopei e sulle imprese dello stesso Masaniello, che inviò il suo seguace Matteo Diletto a Taranto a fomentare gli animi della città ionica. L’opera di Diletto turbò il governatore che diede l’ordine di catturarlo e dopo una serrata caccia all’uomo dei soldati spagnoli, Matteo Diletto fu ucciso.
Con l’uccisione del napoletano, il dissenso dei tarantini non fu placato, anzi crebbe giorno dopo giorno. Nel dicembre del 1647 i cittadini di Taranto elessero il capitano Giovan Donato Altamura come loro capopopolo. Egli in principio rifiutò tale incarico, ma sotto la spinta del consigliere Luigi Gamboa, che vedeva nell’elezione dell’ex ufficiale la possibilità di placare gli animi degli insorti e di riportarli sotto il dominio della corona spagnola, lo portò ad accettare. A dispetto dei pensieri del consigliere Gamboa, Altamura aveva progetti diversi: convocò la popolazione e la incitò a prendere le armi contro il tirannico Ferrante e i nobili spagnoli. La plebe iniziò a scagliarsi contro i palazzi nobiliari, saccheggiando ed incendiando. Il governatore ed il suo seguito furono costretti a rifugiarsi all’interno del Castello Aragonese insieme alla piccola guarnigione, che niente poté contro i ben più numerosi cittadini. I rivoltosi occuparono gli edifici che circondavano l’entrata del Castello, su cui Altamura fece piazzare dei cecchini con archibugi per tenere sotto tiro l’entrata e le torri della fortezza. Il capopopolo, autonominatosi capitano generale delle armi della città, diede ordine di costruire una trincea, molto probabilmente per posizionare le armi pesanti e tentare così di abbattere le minacciose postazioni del Castello. La guarnigione spagnola, avvedutasi del pericolo, fece fuoco (molto probabilmente dalle postazioni della Torre dell’Annunziata) verso i popolani che lavoravano alla trincea uccidendone e ferendone moltissimi. I rivoltosi appostati nei palazzi adiacenti aprirono il fuoco di rimando, uccidendo (secondo le fonti ufficiali) solo uno schiavo turco. Altamura e i ribelli tentarono in tutti i modi di sconfiggere la resistenza spagnola: occuparono le porte di accesso alla città, danneggiarono il ponte del Soccorso che collegava il Castello alla sponda opposta e cannoneggiarono le navi che si trovavano nel porto per averne obbedienza.
Secondo le testimonianze letterarie di quel periodo, il comando di Altamura si trasformò in una vera e propria tirannia, in quanto amministrava la giustizia secondo il suo volere, addirittura facendo spostare la forca davanti alla sua abitazione, e minacciava la popolazione che, se non avesse preso le armi al suono delle trombe e dei tamburi o avesse aiutato gli assediati a riparare i danni del ponte del Soccorso, la condanna sarebbe stata la morte.
I governanti e la nobiltà locali erano preoccupati dell’eventuale caduta di Taranto, in quanto era una delle città più importanti del viceregno, soprattutto per il suo porto strategico, ed anche per la minaccia dell’avanzata di Matteo Cristiano, un ribelle lucano che riuscì a conquistare la Basilicata e ad avanzare all’interno del territorio pugliese, a cui lo stesso Altamura si era rivolto per avere rinforzi contro gli spagnoli. Tra i nobili, Francesco Caracciolo, Duca di Martina, fu incaricato di sedare la rivolta tarantina. Il duca inviò all’interno della città Pompeo Albertini, principe di Faggiano e governatore del porto di Taranto, che propose ai tarantini la sostituzione di Ferrante Cadorna con se stesso, essendo benvisto dalla popolazione, per porre così termine alla rivolta. Altamura, forse non fidandosi delle proposte del principe o per la sua stessa brama di potere, fece catturare Pompeo Albertini. Il duca di Martina decise allora di riprendere Taranto con la forza. Caracciolo riuscì ad entrare all’interno del Castello dal ponte del Soccorso, in modo da unirsi agli assediati, uscì dal ponte dell’Avanzata ed occupò la porta principale della città, riuscendo infine a liberare il quartiere nobiliare spagnolo. Alcuni nobili e l’intercessione dell’arcivescovo Tommaso Caracciolo riuscirono ad evitare la distruzione della città; la stessa popolazione, che prima aveva seguito il loro capopopolo, si prostrava davanti agli occupanti in cerca di pietà e perdono, ma il Duca pose comunque una taglia sui rivoltosi più influenti e una di 500 scudi sullo stesso Altamura. Dopo aver cercato nelle case e nelle chiese, Giovan Donato Altamura fu catturato ed imprigionato.
L’ex capitano e comandante della rivolta tarantina fu condannato a morte da una corte marziale. Giovan Donato Altamura fu archibugiato il 7 febbraio del 1648 nel piazzale del Castello Aragonese insieme a Francesco Albriglia, un capo dei ribelli e parente di Altamura. Entrambi furono impiccati per i piedi sulla forca nella pubblica piazza (piazza Fontana?), come monito a tutta la popolazione e ai ribelli fuggitivi. Nei giorni seguenti ci furono altre esecuzioni di rivoltosi, ma alla fine la città fu “perdonata”, in quanto la ribellione non era rivolta verso il re di Spagna ma solo contro il governatore Ferrante Cadorna, e lo stesso Duca di Martina ebbe la gratitudine della cittadinanza tarantina per aver promosso tale perdono.
La valutazione storica di Giovan Donato Altamura rimane molto difficile da valutare, dato che le fonti letterarie possono essere considerate come “storie dei vincitori” e quindi la figura del ribelle potrebbe essere stata denigrata ed infamata. Altamura condivide con il più famoso Masaniello più o meno lo stesso destino, dove la pura lotta per libertà e diritti spesso degenera in brame di potere e glorie personali, spesso corrotte dalle infidi azioni dei governanti e dei subdoli traditori.
BIBLIOGRAFIA
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