Premessa essenziale: questo articolo è stato pubblicato previa disinfestazione da spoiler*.
Attendevo con ansia l’ultimo lavoro di Alfonso Cuaròn, uno dei talenti emergenti del cinema mondiale, alla prova del nove con un prodotto dai costi davvero importanti. Sebbene si sia fatto già fatto ampiamente apprezzare da pubblico e critica internazionali soprattutto col suo “Children of the Man” (Figli degli Uomini) – nel quale emerge la peculiarità del regista: dei lunghi piano-sequenza (ovvero scene girate senza tagli che hanno la capacità di trascinare lo spettatore all’interno della storia) -, rischia quasi tutto con un lavoro fantascientifico e totalmente ambientato nello spazio.
Tanti sono nella memoria collettiva – di cinefili e non – i patetici tentativi holliwoodiani di coniugare incassi miliardari con storie ambientate nel cosmo, con la solita e irrefrenabile tentazione di ricorrere all’americanatismo, ovvero all’uso scriteriato dell’ “americanata” con l’unico fine di rendere familiare e appetibile alcune scene ad ampie fette di pubblico. In Gravity essenzialmente questo elemento manca; la pellicola, perciò, potrebbe negli anni diventare un cult e fare da apripista per uno stile del tutto innovativo.
Ma procediamo con calma: colui che vi scrive considera trailer e 3D dei potenziali fattori negativi per il cinema. I trailer hanno perlopiù scopi pubblicitari e di solito sono una scellereta accozzaglia di estratti della pellicola con soli obiettivi di marketing, e troppo spesso si inseriscono scene o dialoghi decisivi che sottraggono suspense alla prima visione. Il 3D invece è quasi sempre un inutile tentativo sopperire alla mancanza di contenuti e rendere i film appetibili e divertenti.
Il trailer di Gravity è a dir poco fantastico (lo troverete alla fine dell’articolo): della storia raccontata esprime tutto ma in realtà dice pochissimo. Non rischiate così di trovarvi davanti un trailer che somiglia più a un grande spoiler. Ma è stato l’uso del 3D a sorprendermi: la pellicola non necessita vivacità viste le spettacolari e per nulla banali scelte di ripresa e l’ampio uso del piano sequenza, ormai marchio di fabbrica per il regista messicano. In questo caso la scelta del 3D non è pacchiana come in quasi tutti i prodotti holliwoodiani – così come è risultata in Saw V o San Valentino di Sangue, basati pateticamente tutti sul 3D, o in Prometheus, altra opera fantascientifica tanto promettente quanto deludente di Ridley Scott, dove il ricorso alla “terza dimensione” è una cornice fastidiosa. Tutt’altra valutazione per l’opera di Cuaron: il 3D è preciso, curato maniacalmente e mai fine a sé stesso.
La pellicola è incalzante e procede a ritmo serrato; le svolte e i colpi di scena sono sempre dietro l’angolo e non sono mai banali: abbandonate l’idea di indovinare cosa succederà nelle scene successive perché risulterete probabilmente sconfitti! Il regista, inoltre, porta lo spettatore su una bolla di sapone spaziale e incontrollata, che può scoppiare da un momento all’altro e farci precipitare volteggiando…
Dieci e lode per la fotografia: pochi sono i film che hanno fatto un uso del digitale che rasenta così tanto la perfezione. Ottima interpretazione di Sandra Bullock che si riscatta dopo una lunga serie di prestazioni poco convincenti. Gravity dura poco più di 90 minuti e, nonostante non ami i film così brevi perché di solito lasciano a bocca asciutta, sono rimasto ampiamente soddisfatto.
Alla fine mi sbilancio: penso che questo film sia una delle più alte forme d’espressività cinematografiche degli anni duemila e sicuramente diventerà un cult tra gli appassionati del genere.
* spoiler: dall’inglese to spoil, rovinare. Spesso usato in ambito cinematografico per segnalare un testo che riporta delle informazioni che potrebbero svelare i punti salienti della trama del film. In quattro parole: la bastardata per eccellenza.