Ciao cari lettori, ma lo sapete che questa sarà la settima o ottava volta o forse l’undicesima che scrivo questo articolo? Manco il Job Act ha richiesto tante revisioni, e si vede aggiungo.
Così ho pensato di mandare a fare in culo un sacco di salamelecchi e di andare (quasi) dritto al punto.
Voi donne lo sapete meglio di me: il primo appuntamento è finzione. Noi uomini ancora ci beviamo la storia che se vogliamo fare colpo ci dobbiamo presentare con tante smancerie e stronzate assortite per fare colpo. Ma le donne che, come le loro progenitrici scimmie, sentono l’odore del falso lontano un miglio non ci cascano e se ci cascano allora è meglio che un uomo le abbandoni, dopo essersela fatta ovvio.
Ma perché questo spreco di byte? Forse voglio incitare gli uomini a non nascondere alle donne il loro rifiuto politico della pulizia? Forse voglio convincere le donne con cui esco a non soffermarsi sulla mia strana passione per l’addormentarmi nei locali? O forse sto solo allungando il brodo invece di consigliarvi un buon disco?
Sono tutte vere, come è vero che io sono un cialtrone riconosciuto.
Oggi parliamo di essenza. Sì insomma di liberare il campo dalle stronzate e arrivare al sodo. Come fecero i Black Keys quando nel 2003 pubblicarono Thickfreakness.
Anche se per il loro secondo album il duo di Akron aveva ottenuto un contratto con la Fat Possum Records i ragazzi preferirono registrare l’album come il primo: nello scantinato del batterista Patrik Carney.
Thickfreakness è un album grezzo, volutamente grezzo, già dalla copertina che sembra invitare a godersi il piacere di trasgredire mettendo le mani nella marmellata. Oltre al blues dell’esordio associa la passione per il garage rock che i BK dimostrano di conoscere bene e di saperli combinare. La protagonista dell’album è senza dubbio la chitarra di Daniel Auerbach: sporca, essenziale e trascinante. La title truck parte come un diesel per poi esplodere in un fragoroso riff che plana in una strofa blues con la voce nasale di Daniel che non sovrasta mai il muro sonoro. Hard Row col suo riff in accordi discendenti è la dimostrazione di quanto i BK abbiano studiato il garage rock. Sembra di sentire l’odore di umido della cantina in ogni fase di questa canzone. I BK omaggiano anche la storia del garage con Have Love Will Travel di Richard Berry nella versione diventata famosa per il genere dei Sonics. Rispetto alla garage band di Tacoma questa è più lenta e meno selvaggia ma decisamente più rumorosa. Vi segnalo anche Everywhere I Go col suo andamento lento, la batteria essenziale che rimane nell’angolino e la chitarra che dilaga mentre Auerbach canta pochi versi lasciandosi coprire dal magma sonoro che in due generano.
Thickfreakness è tutto qua: 11 canzoni che non hanno bisogno di grandi analisi o spiegazioni, sono tutte lì, non c’è un grande lavoro di sovraincisione, il disco è scarno, solo due musicisti che suonano chitarra e batteria, nient’altro. Eppure non annoia malgrado dopo il secondo ascolto abbiate imparato tutto sui pezzi perché è potente pieno di groove e a suo modo sexy.
È sexy proprio come un uomo in mutande che guarda la partita con una birra in mano e che tra un sorso e l’altro vi dice: “Amò mi prendi un’altra birra, MA QUANTO TI AMO AMÒ!”
Mentre scrivevo questo pezzo ascoltavo
Bluertigo, Metallo non Metallo, 1997