Delle innumerevoli tradizioni che accompagnano la storia di Taranto, una sola è da secoli sentita ed attesa vivamente per tutto l’anno dal popolo tarantino: la Settimana Santa.
Tradizione prettamente spagnola, forse di origine sivigliana, i riti della Settimana Santa iniziano ad essere eseguiti dalla metà del XVI secolo, quando, appunto, Taranto è sotto il dominio della Corona spagnola. Nello stesso secolo vengono a formarsi una serie di confraternite, costituite da gruppi di laici che si pongono come propri fini atti di pietà, di culto e beneficenza. Nel 1670 nasce la confraternita di San Domenico in Soriano, a cui solo in seguito è stato introdotto il culto di Maria SS. Addolorata per mano del canonico Vincenzo Cosa nel XVIII secolo, mentre nel 1675 si costituisce la confraternita Maria SS. del Carmine. Prima dell’introduzione delle statue nei riti, il rituale prevede che i membri delle varie confraternite durante il giorno del Venerdì Santo si rechino a visitare in pellegrinaggio i vari sepolcri delle chiese cittadine, localizzate soprattutto nell’attuale Città Vecchia. Oggi il cosiddetto pellegrinaggio è compiuto soltanto dai confratelli del Carmine, dal pomeriggio del Giovedì Santo fino alla mattina del Venerdì Santo.
I “pellegrinaggi” delle confraternite subiscono varie evoluzioni attraverso i secoli, con l’aggiunta di vari elementi che li portano alla forma definitiva che possiamo vedere durante le processioni contemporanee. Per quanto riguarda la processione del Giovedì Santo, essa è più recente rispetto a quella dei “Misteri”. Dai documenti e dalla storiografia si apprende che, durante il Giovedì Santo, la statua dell’Addolorata viene trasportata per le vie della città, durante la notte, «andando in giro per le chiese in cerca del Cristo». Molto probabilmente la statua viene, inizialmente, trasportata da persone, religiose o laiche, esterne alle confraternite. Dai documenti delle cosiddette “gare”, si evince che solo dalla seconda metà dell’800 la statua dell’Addolorata, nominata tradizionalmente con il termine “sdanghe” (le sbarre di legno su cui si poggia la statua), è menzionata, aggiunta forse nel momento in cui alla confraternita di San Domenico viene sommato il culto di Maria SS. Addolorata.
La processione del Venerdì Santo ha, invece, origini settecentesche. Infatti, proprio quest’anno ricorre il 250esimo anno dalla donazione delle statue di Gesù Morto e dell’Addolorata da parte di Francesco Antonio Calò, erede di una famiglia nobiliare di origine spagnola molto influente a Taranto, alla confraternita del Carmine. Le due statue, di manifattura napoletana, sono state volute dal fratello del nonno di Francesco Antonio: Diego Calò. Quest’ultimo vive in un’epoca piena di sconvolgimenti tragici per la cittadinanza tarantina, passando attraverso guerre a carestie che decimano la popolazione. Diego Calò, religioso molto devoto, iscritto alla confraternita del SS. Rosario, per ottenere la pietà divina per la sua città organizza una processione durante il Venerdì Santo, aperta sia alle confraternite che al popolo stesso, con le statue da lui detenute e conservate nella cappella gentilizia del suo palazzo in via Duomo. Francesco Antonio Calò, erede delle statue votive, nel 1765 decide di donarle alla confraternita del Carmine, che decreta di accettare la donazione dopo una votazione tenuta tra i confratelli. Da quel momento in poi, la confraternita del Carmine è l’organizzatrice della processione dei “Misteri” del Venerdì Santo, a cui, oltre alle due statue dell’Addolorata e Gesù Morto, se ne uniscono altre sei: Gesù nell’Orto degli ulivi, Cristo alla colonna, Ecce homo, la Cascata, il Crocifisso e la Sacra Sindone.
Ancora oggi, ogni anno, i riti della Settimana Santa rappresentano la massima espressione della religiosità tarantina. Essi si dimostrano anche un momento di raccolta dell’intera cittadinanza, che non solo riempie le strade del Borgo Nuovo, ma fa soprattutto rinascere i vicoli oscuri della Città Vecchia, dove proprio quest’anno la processione dei Misteri torna a pellegrinare per commemorare la donazione di Francesco Antonio Calò, facendo così rivivere ai più giovani la suggestione dell’antica tradizione. Nel bene o nel male, i riti della Settimana Santa sono l’ultima resistenza dell’affezione della gente nei confronti della propria città e dei propri concittadini, perché danno la possibilità di avere i familiari o amici più cari, andati via da Taranto per varie necessità, finalmente accanto, ammirando insieme una memoria storica vera e secolare. E in tempi di false storie e false tradizioni non è poco.
BIBLIOGRAFIA
ACQUAVIVA, I Riti della Settimana Santa a Taranto, Taranto 1977.
CAPUTO, L’anima incappucciata, Taranto 1983.
AA.VV., Il cammino del perdono: alla ricerca della Settimana Santa Tarantina, Taranto 2007.
SCHINAIA, A partire dal cuore, appunti sulla Settimana Santa tarantina, Taranto 2012.