Lo spazio è legato alla soggettività ed è popolato di oggetti e individui che lo formano e lo deformano in relazione alle loro esigenze. I luoghi incarnano specifici modi di concepire le relazioni sociali, quando non si preoccupano di naturalizzare forme di gerarchizzazione.
Alice Giannitrapani, Introduzione alla semiotica dello spazio, Carocci, Roma 2013.
Come si evince dalla citazione sopra riportata, la studiosa Giannitrapani dà una prima indicazione di ciò che è lo spazio se esso viene considerato come categoria di un più complesso e stratificato processo semiotico, ovvero quel processo messo in atto dagli esseri umani per attribuire senso al mondo che li circonda e con il quale si interfacciano continuamente.
Lo spazio, dunque, è ciò che primariamente interagisce con il soggetto, in un rapporto di continuo scambio tra una dimensione interna ed esterna, continua e discontinua sia rispetto al soggetto che attraversa che allo spazio che viene attraversato.
La percezione degli spazi urbani e delle strutture architettoniche appare spesso distratta, quasi che tutto ciò che ci circonda sia naturale; bisogna però riflettere sulla loro portata ideologica.
Le città non sono certo degli spazi neutri in cui muoversi e la sovrastruttura ideologica patriarcale appare spesso evidente.
Nel 2013 il regista francese Maxime Gaudet girò un cortometraggio dal titolo Au bout de la rue (In fondo alla strada), che raccontava in circa tre minuti ciò che prova una giovane donna nel momento in cui, dopo una serata con gli amici, lascia la comitiva per avviarsi verso casa da sola.
Lo sguardo del regista è pornografico, ovvero fisso sulla figura della ragazza che procede a passo svelto, con le cuffie nelle orecchie per cercare di isolarsi dalla realtà che sta percorrendo, visibilmente infelice e poco adatta ad un rientro tranquillo e sereno. Rientrata, tira un sospiro di sollievo per “avercela fatta”.
Tornare a casa diventa, spesso, un’impresa non da poco, soprattutto se in tarda serata.
Il soggetto femminile, in un contesto urbano, cittadino, rimane ancora oggi un soggetto vulnerabile a pericoli come la molestia, l’inseguimento, finanche, nei casi peggiori, la violenza sessuale.
Tutto questo è spiegabile, purtroppo e sicuramente non giustificabile e accettabile, alla luce di un investimento di significato ideologico legato alla cultura patriarcale che rende la città uno spazio non facilmente attraversabile per le donne.
Le città non sono, ancora oggi, pensate come spazi esperibili dalle donne e da tutti i soggetti “subalterni”, per usare la categoria filosofica di Gayatri Spivak.
Le strade, i luoghi di ritrovo, gli spazi di percorribilità, non appaiono sostenibili per le donne che, oggi come ieri, si vedono costrette a inventarsi gli stratagemmi più originali per poter rientrare a casa dopo il lavoro, dopo una notte tra amici, dopo un aperitivo nel tardo pomeriggio.
Le donne, come gli spazi, sono attraversati e significati da un’ideologia maschilista pesante e opprimente, che li vuole asserviti al proprio volere e disponibili ai propri desideri.
Ieri, come oggi, il bisogno di denuncia appare urgente e la necessità di comprendere queste dinamiche, cogente.
Antonella D’Eri Viesti