Sono passate diverse settimane dai primi arrivi nel porto di Taranto e nelle strutture adibite, nella cittadina Ionica, ad accogliere donne, uomini e bambini in fuga da guerra e miserie. È tempo di fare pubblicamente un bilancio di quanto è stato prodotto dalle pubbliche istituzioni, ad ogni livello, per capire se e quanto gli standard minimi di dignità, nel nostro territorio e ovunque, siano rispettati.
È necessario innanzi tutto sottolineare, ancora una volta, come nel complesso Taranto e i suoi abitanti si siano dimostrati aperti, accoglienti, solidali. Ne è testimonianza l’ampia rete di volontariato che tuttora si sta prodigando affinché siano garantiti i minimi servizi e l’assistenza necessaria. Dobbiamo esserne senza dubbio orgogliosi: non era scontato che la cittadinanza reagisse in maniera così generosa. Allo stesso tempo occorre con urgenza fare qualche passo in avanti ed affrontare una serie di questioni irrisolte intorno al sistema d’accoglienza messo in piedi a Taranto. In questo senso, pensiamo che non possa essere tollerato l’utilizzo strumentale della straordinaria partecipazione volontaria delle cittadine e dei cittadini di Taranto: le pubbliche istituzioni hanno il dovere, ad ogni livello, di mettere in campo politiche di accoglienza adeguate alle esigenze, e che non siano a carico di chi, con grande generosità, in maniera spontanea sopperisce alle mancanze istituzionali.
Come accennato, molte questioni rimangono irrisolte. Per esempio, è necessario interrogarsi, con urgenza, sull’idoneità di edifici come il Pala Ricciardi o l’ex Mercato coperto dei Tamburi ad essere strutture di accoglienza. Materassi ammassati per terra, un caldo a tratti asfissiante, la concentrazione di moltissime persone in pochi metri quadrati, l’assenza di privacy, di giorno e di notte, con decine e decine di persone – alcune di esse lì stipate da numerosi giorni – in uno spazio tutt’altro che idoneo, che vivono, mangiano e riposano nella più totale precarietà, anche dal punto di vista delle informazioni in tema di status giuridico e diritti: questo meccanismo di gestione degli arrivi può essere definito “accoglienza”?
Inoltre, è anche il tempo di domandarsi quali siano i progetti del governo a medio termine. Si vuole fare di Taranto un “hub” per lo smistamento dei migranti in arrivo, come se questi ultimi costituissero una merce, collocabile in condizioni di indigenza? Quanto e come la logica dell’hub può essere funzionale, dietro la retorica dei grandi numeri e della concentrazione, ad un abbassamento complessivo degli standard di accoglienza, in assenza di strutture, risorse, procedure e assistenza a 360 grandi, capaci di garantire dignità a chi ha fugge da drammi e tragedie?
E ancora: sono stati prodotti, nel nostro territorio, in mare, o ovunque, forme di respingimento, individuali e collettivi, in violazione della possibilità – che è individuale, appartiene a tutti e non legata alla nazionalità di provenienza – di effettuare domanda d’asilo prima di essere rimpatriati?
Pensiamo che una programmazione strutturale dell’accoglienza sia necessaria e possibile, ampliando le risorse e le strutture attualmente destinate, palesemente sottostimate rispetto alle reali esigenze e possibilità. Allo stesso tempo, pensiamo che debba essere messa in campo un’accoglienza diffusa sui territori, che dia realmente la possibilità di ricevere attenzione, materiale ed immateriale, assistenza complessiva, anche in termini di orientamento, mediazione e affettività.
Per provare a dare collettivamente risposta a queste domande, ci autoconvochiamo per il 15 Luglio, alle ore 19:00, presso largo San Gaetano in Città Vecchia. Chiediamo a tutti – istituzioni, forze politiche, associazioni, cittadine e cittadini – di intervenire e, più in generale, di prendere posizione nell’ottica di un’accoglienza che non escluda nessuno, e che sia finalmente degna.
#CampagnaWelcomeTaranto
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