Qualche giorno fa abbiamo parlato dell’analisi su ILVA Taranto pubblicata sul Sole 24 Ore del 21 Gennaio a firma di Jacopo Gilberto, chiedendo un parere ad Alessandro Marescotti, presidente di Peacelink e attivista del movimento ambientalista tarantino. Torniamo sullo stesso argomento con la dottoressa Simona Carone, biologa presso la ASL di Taranto, codificatrice e rilevatrice dei dati necessari all’aggiornamento del Registro Tumori.
Cosa pensi del confronto fatto da Jacopo Giliberto tra qualità dell’aria di Milano e qualità dell’aria di Taranto?
Non è possibile confrontare la tipologia di inquinamento basandosi su un solo inquinante e non è possibile confrontre aree diverse. Lì l’inquinamento è sostanzialmente veicolare e tende a insistere all’interno della pianura padana; qui c’è l’inquinamento da polo industriale più cospiscuo d’Italia e siamo in balia dei venti. Non capisco con quale criterio sia stato scelto l’ossido di azoto come termine di paragone del livello d’inquinamento nelle due aree.
Abbiamo a Taranto una controprova del livello d’inquinamento?
Abbiamo il Registro Tumori, che è una banca dati in cui vengono registrati tutti i nuovi casi di patologia neoplastica diagnosticati ogni anno. Per alcune tipologie di tumori, come il mesotelioma al polmone e il tumore alla vescica, l’incidenza su Taranto è molto superiore alla media nazionale estrapolata da altri registri tumori [in cui c’è anche il registro tumori di Milano, ndr].
La dottoressa Carone ci ha fornito un’ampia documentazione medica ed epidemiologica scaricabile da Intenet: dalla Relazione sullo Stato di Salute della Popolazione Pugliese anni 2006-2011 ( presentata a fine 2013) si evince (pag. 17) che la speranza di vita alla nascita a Taranto (cioè la probabilità di sopravvivenza del cittadino tarantino) si è ridotta per il maschio da 79,5 anni (2006) a 77,5 anni (2011) e, per le donne, da 84,2 a 83,2 anni nello stesso periodo, in controtendenza al dato nazionale e a quello delle altre provincie pugliesi, dove la speranza di vita è aumentata nello stesso arco di tempo. Altro documento importante è l’audizione ASL Taranto presentata a Giugno 2013 alla Camera dei Deputati – Commissione congiunta Ambiente ed Attività produttive –, nel quale l’attività di monitoraggio su aziende agricole e di allevamento rivela dati disarmanti. E, infine, c’è il Registro Tumori ma, soprattutto, l’Indagine Epidemiologica IESIT nel Sito Inquinato di Taranto (dice proprio “inquinato”): una sorta di sintesi commentata dei precedenti documenti, in cui, attraverso grafici molto intuitivi, sono segnalati i rischi relativi di ricovero e morte per i diversi tipi di patologia. Impressionante il dato sulle allergie pediatriche (molto sopra la media regionale e nazionale) e i dati delle Tabelle 1D a pag 120, 2E a pag. 126 e 3 a pag. 127, che stigmatizzano come i rischi relativi di morte e ricovero per cancro a Taranto sono più alti – per il mesotelioma significativamente più alti – della media regionale.
Dalla perizia disposta dalla Procura –come ricorda il prof. Erasmo Venosi, commentando la nostra precedente pubblicazione – si apprende che sono state immesse in atmosfera come emissioni convogliate: 4159 tonnellate di polveri; 7 tonnellate di acido cloridrico; 1,3 tonnellate di benzene ; 157 Kg di arsenico; 137 kg di cadmio; 420 Kg di mercurio; 15,6 grammi di diossine; e vanno aggiunte le emissioni non convogliate, cioè che fuoriescono dagli impianti vetusti.
Ora, può anche essere possibile che a Milano si muoia di inquinamento quanto a Taranto – e ciò ci dispiacerebbe molto – ma speriamo ci si renda conto che un ragionamento di così basso livello – anche da un punto di vista etico – come quello proposto da Gilberto non è più accettabile da parte di una classe imprenditoriale che voglia definirsi tale. La forza e la grandezza di una nazione, volenti o nolenti, si misura anche sulla quantità e la qualità della sua industria manifatturiera, che sottende una capacità di programmazione e di investimenti al passo con i tempi e rispettosa della dignità umana, quindi della vita. L’economista Augusto Graziani, recentemente scomparso, aveva previsto che “un paese a struttura industriale tecnologicamente debole, che si regge nel mercato soltanto per la compressione del costo del lavoro”, avrebbe preso la via del declino. Per contrastare questo esito servivano – e servono – politiche industriali incisive, che facciano compiere alle nostre imprese un salto tecnologico e dimensionale.
In effetti, Graziani conosceva a perfezione le “strozzature” alla crescita del nostro Paese, come comprende chiunque legga il suo bellissimo “Lo sviluppo dell’economia italiana” (1998). Ad esempio, non ha mai smesso di spiegare che la montagna di debito pubblico che ci portiamo sul groppone era in buona misura l’altra faccia dell’inadeguatezza del nostro apparato produttivo. E ciò perché gli elevati tassi di interesse del passato erano serviti a favorire afflussi di capitali adeguati a compensare la cronica tendenza degli imprenditori di casa.
A questo proposito chi scrive certe cose sul giornale di Confindustria si fa portavoce di una imprenditoria peracottara che vuole continuare a vivere e prosperare con vecchie logiche: le logiche che hanno generato mostri ecologici come la Terra dei Fuochi, Bagnoli, Taranto perché è più semplice inquinare che investire. D’altra parte se la recente modestissima proposta di riduzioni di gas serra avanzata dalla UE (-40% dal 1990 al 2030) è stata aspramente criticata solo dalla nostra Confindustria è perché, evidentemente, l’Italia continua ad essere il paese in cui lo Stato regala rendite di posizione a peracottari che non hanno alcuna intenzione di fare gli imprenditori, ma solo di arricchirsi. Una volta spremuto il limone a danno (economico e fisico) della collettività, sarà poi sempre lo Stato a decidere quale altro galantuomo dell’imprenditoria peracottara dovrà continuare a prosperare sulla pelle degli altri. Quando si vuole solo fare i soldi e non si ha a cuore il destino di una collettività, è sempre più facile giustificarsi con affermazioni del tipo: “due tumori all’anno in più, una minchiata”. Bell’esempio di leadership!