Riceviamo e pubblichiamo un contributo di Nino Palma «Salviamo la cultura. Salviamo il Palazzo degli Uffici».
Un giorno che sarà ricordato, quello del 6 dicembre 2013, quando gli studenti dell’Archita, insieme agli studenti di altre scuole superiori e ad alcune Associazioni culturali, si sono portati in Piazza Garibaldi, per abbattere il muro dell’indifferenza e ridestare l’attenzione della città verso un problema, quello della ristrutturazione del Palazzo degli uffici, alla cui rinascita, secondo loro, e anche secondo noi, è in larga parte legata la rinascita stessa di questa città. Lo hanno vegliato per tutto il giorno, non lo hanno voluto lasciare solo nemmeno un minuto, hanno indissolubilmente legato la sua salvezza alla salvezza della cultura (“Salviamo la cultura. Salviamo il Palazzo degli Uffici” era lo slogan della manifestazione) lo hanno guardato, gli hanno indirizzato le loro parole d’amore e la loro musica, gli hanno dedicato il loro dibattito, le loro discussioni. E alla fine della giornata, con un forte gesto simbolico, hanno realmente abbattuto, tutti insieme, il muro di cartoni che avevano precedentemente eretto: segno che il loro messaggio era stato percepito dalla città e, forse, dalle Istituzioni locali.
Perché questi ragazzi quel Palazzo lo amano. Hanno vissuto dentro le sue mura e nelle sue aule capienti per anni e non vogliono che continui a restare così com’è oggi, tutto infagottato, circondato da impalcature ed enormi palizzate, con molta parte del tetto divelto, tanto che ci piove dentro, con rischi di infiltrazioni d’acqua e di possibili crolli. Chiedono che venga subito messo in sicurezza e che riprendano i lavori di ristrutturazione, interrotti da un paio di mesi per vicende riguardanti l’impresa affidataria e che qui sarebbe lungo elencare. E che riprendano a partire dall’area (6.500 mq) destinata all’Archita.
Oggi, così come lo hanno combinato, appare come un nobile decaduto, che fa venire in mente il “fabbrico derelitto”, appellativo con cui venne definito all’inizio dell’Ottocento, quando la sua costruzione, che era iniziata nel 1791 per decreto di Ferdinando IV di Borbone, che voleva farne un orfanotrofio, fu interrotta a seguito della rivoluzione napoletana del 1799 e del cambio di regime politico. Rimase così, piano terra e mura esterne del piano superiore, per quasi ottant’anni, fino al 1872, stesso anno della nascita del Ginnasio comunale “Archita”, quando i lavori furono ripresi e condotti a termine nel 1894, dopo molteplici vicissitudini, con inaugurazione solenne e un elevato discorso di Alessandro Criscuolo, assessore facente funzione di Sindaco, nel 1896.
Ma già dal 1876, dopo l’esecuzione di lavori di adattamento a scuola di metà del 1° piano e di otto vani a pianterreno, il Convitto Liceo Ginnasio Archita era stato lì trasferito dalla sua iniziale collocazione nel Seminario arcivescovile. Poi con l’Unità d’Italia e con l’approvazione del piano di espansione della città al di là dell’Isola e la nascita del Borgo, il Palazzo diventa l’elemento ordinatore dell’impianto urbano, intorno ad esso viene organizzato tutto il sistema viario e gli altri palazzi privati, che intanto stavano sorgendo, assumono i suoi elementi architettonici e decorativi (Palazzo Ameglio, Palazzo Carducci, alcuni Palazzi di Corso Umberto).
Da quel momento quel Palazzo è stato teatro di tante vicende: lì si è amministrata la giustizia per tanto tempo, da lì sono passate generazioni e generazioni di studenti e docenti; lì si sono avvicendate scuole; lì giornalmente, nei suoi tempi migliori, si aggiravano dalle quattromila alle cinquemila persone; lì si è prodotta tanta cultura; da lì è passata larga parte della storia di questa città. Per tutto questo questo va riqualificato e ristrutturato, per la sua storia, per la sua vetustà, per il suo valore architettonico e perché la Sovrintendenza per i Beni Architettonici lo ha riconosciuto come bene culturale da tutelare e salvaguardare, sottoponendolo a vincolo monumentale.
Non solo! Ma va tutelato e ristrutturato perché questo, attraverso la sorveglianza archeologica richiesta dalla Sovrintendenza durante tutte le fasi dei lavori, consentirebbe di avere un quadro più preciso della topografia di Taranto antica e di verificare la validità dell’ipotesi, per la verità suffragata da studi, scavi archeologici, che il Palazzo e il Liceo “Archita” in esso collocato, sorgono, per una singolare coincidenza, su un’area particolarmente significativa di quella che era la polis greca, in prossimità dell’agorà, vicina alla quale sorgevano anche il Mousejon (tempio delle muse) e il ginnasio, luoghi, ad un tempo, cultuali e culturali, “probabilmente – come dice Enzo Lippolis (archeologo e docente alla Sapienza di Roma) – sopravvissuti nella fase romana della città e abbandonati poi nel tardo antico, quando nella stessa zona si sviluppa il sepolcreto della comunità ebraica”1, della cui esistenza sono testimonianza stele rinvenute in scavi antichi, effettuati durante gli interventi di ristrutturazione e ampliamento dell’edificio tra il 1872 e il 1874, e tombe con resti scheletrici, quattro di numero, emerse durante le ricerche stratigrafiche recenti effettuate nella fase iniziale dei lavori di ristrutturazione (2004-2006).
Si comprende, quindi, la grande importanza di questo edificio e la sua enorme valenza culturale, considerando anche tutto quello che ancora contiene al suo interno, a partire dal grande patrimonio archivistico e librario del Liceo, ben 20.000 volumi, alcuni dei quali di grande pregio e valore come il famoso Libro Rosso o Codice Architense, risalente al ‘500 e altri volumi del Settecento e Ottocento; e poi i busti in marmo e in gesso, le colonne su cui essi poggiavano, alcune rinvenute negli scavi archeologici di Taranto e una in quelli del Foro romano, iscrizioni, lapidi, i palchi lignei dell’ex tribunale e tanto altro ancora.
Ed è in considerazione di tutto ciò che gli studenti dicono basta e chiedono che si metta un punto fermo a questa interminabile vicenda, che si trascina da un decennio, tra sospensione dei lavori, aggiornamenti e revisione dei progetti, avvicendamenti di imprese (ben quattro: Romagnoli, Pisa costruzioni, Siel, Aerdas), contenziosi vari, protocolli di intesa tra Comune e Provincia e tra questi e le imprese che si sono avvicendate,, annunci e proclami di sempre imminenti inizi dei lavori, cerimonie pubbliche, come quella con tanto di autorità e rappresentanti delle istituzioni locali, che si tenne alla vigilia di Natale del 2009 tra via dei Comizi e via D’Aquino, nel corso della quale, oltre ai giganteschi pannelli issati sulla facciata che raffiguravano il Palazzo così come si sarebbe presentato a ristrutturazione avvenuta, fu srotolato un lenzuolo che portava la scritta: “Ricostruiamo la nostra storia. Rinasce Taranto”.
In definitiva, la si smetta di tentennare, si metta in sicurezza l’edificio, si rescinda il contratto, se è da rescindere, con l’impresa aggiudicataria dei lavori e si ricerchino soluzioni alternative, si riprendano i lavori, partendo dalla ristrutturazione dell’area destinata alla scuola (i soldi ci sono: gli otto milioni e mezzo della Provincia), si restituisca l’edificio alla città e all’Archita nei tempi previsti (3 anni), si salvaguardi il patrimonio archivistico, librario e artistico del glorioso Liceo tarantino, lo si trasformi in un tempio della cultura, dell’arte, della bellezza, dell’istruzione, cuore pulsante della vita culturale della città.
Nino Palma – (ex docente dell’Archita, Presidente dell’Associazione culturale “Aldo Moro” ex alunni, ex docenti e docenti dell’Archita)
1 ENZO LIPPOLIS, La tradizione antica nella rifondazione culturale moderna a Taranto: il museo pitagorico e l’istituzione del Liceo classico, “Galaesus” Studi e ricerche del Liceo “Archita di Taranto, n. 35 – 2011-2012, p.30.