Questo era l’anno giusto. Decisamente, dai, due tarantini, che arrivano pure in finale di Sanremo. Ed io non parlo del festival nazionale. Lo hanno fatto tutti. Ed io?
Lo avrei dovuto scrivere, se non fosse che la mia pigrizia è un ottima consigliera. Poi ci si è messo di mezzo anche il bar Europa ad incasinare tutto. Non lo conoscete? Rimediamo.
Il bar Europa è il bar della working class talsanese; dove la correzione del caffè è un’arte seconda solo alla specialità della casa: la partita a carte con bestemmia annessa.
Questo bar nel retro ha una piccola veranda e quella veranda dista dal mio giardino pochi metri. Appena la stagione calda viene a svernare qui al sud ecco che viene invasa dai giocatori. Non ricordo un’estate senza aver sentito le bestemmie e le recriminazioni dei giocatori per assi mancati o le urla di gioia per la partita vinta che ovviamente era da festeggiare con un giro di birra ghiacciata.
Visto che descrizione che ho buttato giù? Questa Baricco non ve la scriverebbe. Le basi della bestemmia le ho imparate tutte lì, mentre mia madre cercava di mandarmi in chiesa io imparavo come si risponde all’onta di un settebello servito.
Così, come ogni mattina, quel martedì mattina aspettavo l’autobus davanti al bar Europa, e mentre lottavo contro la sacrosanta voglia di tornare a dormire uno degli avventori abituali urla ad un amico di passaggio: «Giuàààà (nome inventato ma basato sull’altissima percentuale di persone che a Talsano si chiamano Giovanni) po’ pass d’ qua ca t’ paje na birr». E dopo queste parole a chi interessava più Sanremo, di certo non a me.
Quelle parole le potrebbero dire anche a Warrenton, Virginia, sud degli Stati Uniti, una Puglia a stelle e striscie. In quella città c’è sicuramente un bar Europa e in quel bar vanno a berci sicuramente i fratelli Van, Lian, Jennings Carney: i Pontiak.
I tre fratelli hanno una fattoria e hanno trasformato il loro granaio nel loro studio di registrazione e sala prove. Non devono avere dei vicini per molte miglia visto il casino che si possono permettere di fare. Quel casino, poi, lo trasmettono anche nei loro album come hanno fatto nel bellissimo Innocence, uscito da da poco.
Ad ascoltare il trittico iniziale (Innocence, Lack Lustre Rush e Ghost) i Pontiak hanno studiato tantissimo gli Stooges, il suono è essenziale e selvaggio, non c’è grande produzione dietro, ma solo una chitarra, un basso e una batteria che suonano dannatamente viscerali. Innocence, che apre l’album, è quasi puro ritmo, la melodia viene divorata, mentre Lack Lustre Rush si apre con un basso così saturo che sembra disfarsi in onde sonore disturbate. Ghost chiude il trittico in maniera non meno rumorosa. Poi succede qualcosa. Cambia il registro, alla furia subentra la calma, la chitarra di Van Carney diventa acustica, si apre così un secondo trittico composto da: It’s The Greatest, Noble Heads e Wildfires. Sembra quasi che i Pontiak vogliano dimostrare di non essere dei bifolchi rumorosi, ma lo sono ed è la loro grande qualità. Queste tre canzoni acustiche non perdono però quelle sonorità grezze e blues che hanno le prime tre e non fanno perdere alla band la loro credibilità. Superata senza fatica la fase folk si ritorna alla consueta furia con Surrounded By Diamonds, e l’album fila liscio e selvaggio. I Pontiak hanno imparato negli anni la capacità di sintetizzare su disco la loro furia, liberandola ed estendendola dal vivo, il loro album è godibile ed elettrizzante all’ascolto; secondo me incide anche il loro essere provinciali, quella capacità di appropriarsi di un suono conosciuto ma allo stesso tempo di non farsi dominare dalle mode. C’è personalità in questo caos. Questo mi fa pensare che, in quell’ipotetico bar Europa a Warrenton, le partite di scopa con annessa bestemmia abbiano prodotto grandi cose.
Mentre scrivevo questo pezzo ascoltavo:
The Dave Brubeck Quartet, Time Out, 1959