“Si emozionarono tutti: questo è un popolo che in quegli anni era molto credente. Era legato al sincretismo, alle cose africane, alle colombe. Da quel giorno, la gente pensava che Fidel era l’inviato di Cristo.”
Juan Almeida, comandante della rivoluzione
8 gennaio 1959
Fidel Castro fa il suo ingresso trionfale a l’Avana; insieme a lui ci sono gli altri eroi della rivoluzione, tra cui Raul Castro, Camilo Cienfuegos ed Ernesto Guevara. Batista è già scappato con il suo aereo privato nella Repubblica Dominicana, portando con sé le casse dello Stato. I ribelli di Castro già da qualche giorno hanno il controllo sull’intera isola. Ad accogliere Fidel e gli altri barbudos, c’è una folla festante che li acclama come i liberatori di Cuba.
Quello stesso giorno Castro pronuncia il suo primo discorso nella capitale. Vengono liberate delle colombe come gesto simbolico di pace e liberazione: una colomba si ferma sulla spalla destra di Fidel e ci rimane per un po’. Inizia così la rivoluzione, la favola cubana, con uno dei tanti episodi leggendari e simbolici che si ripeteranno ciclicamente nella vita di Castro e che daranno all’ uomo un’aura di magia e misticismo che lo accompagneranno fino alla morte – e di sicuro anche dopo.
“No es facil”, usano dire i cubani quando parlano della loro condizione. E di certo no es facil per nessuno parlare di Castro senza correre il rischio di farsi travolgere da giudizi superficiali o di farsi ammaliare dal suo mito. No es facil parlare di un uomo che ha vissuto 90 anni, lasciando un impronta nella Storia più grande e travolgente della sua vita stessa. No, no es facil parlarne senza parlare di Cuba, del Che, dei vecchi ideali novecenteschi – così sbiaditi nei nostri giorni, ma dei quali sentiamo ancora un tremendo bisogno –; e dei milioni di uomini ai quali ha provato a dare dignità; di tutte le persone a cui ha dato una speranza; degli errori e degli orrori (direbbe qualcuno); degli eccessi e delle libertà; dell’imperialismo yankee; del socialismo; del comunismo; di José Martì, padre della patria; di quel sogno di un mondo più eguale e più giusto. No, no es facil, non si sa nemmeno da dove partire… E allora partiremo dall’inizio.
Fidel Alejandro Castro Ruz nasce a Biron nel 1926, da genitori proprietari terrieri di origine spagnola. Nell’adolescenza si forma in una scuola di sacerdoti gesuiti, per poi laurearsi in diritto all’Università de l’Avana, dove si avvicina alle idee di José Martì. Aderisce al partito ortodosso (di forte impronta morale) di Eduardo Chibas, che – sull’onda emotiva della morte del suo leader, suicidatosi in diretta radiofonica per non essere stato in grado di dimostrare un caso di corruzione – è dato per vincente alle elezioni del 1952. Ma il colpo di stato di Fulgencio Batista chiude tutti gli spazi democratici, abolisce il Parlamento e la Costituzione. Castro presenta un ingenuo ricorso alla Corte Costituzionale, che però non viene accolto.
Il 26 luglio del 1953, con altri 150 uomini (tra cui il fratello Raul), in concomitanza con il carnevale di Santiago de Cuba, organizza l’attacco alla caserma Moncada. L’azione si risolverà in un fallimento totale: la maggior parte dei partecipanti vengono catturati, torturati e uccisi in maniera brutale; altri vengono arrestati, tra questi i fratelli Castro. Durante il processo Fidel pronuncia l’arringa, che diventerà parte importante della base programmatica del neonato “movimento 26 luglio”, che si conclude con la storica frase “condannatemi, non importa, la storia mi assolverà”. Castro viene condannato a 15 anni di carcere insieme ai suoi compagni, ma verrà liberato due anni dopo, a seguito di un’amnistia concessa sulla spinta dell’indignazione pubblica internazionale e della simpatia popolare verso i ribelli. Esiliato in Messico, prepara la rivoluzione e conosce Ernesto Guevara, che si unirà a lui dopo dodici ore di colloquio.
Il 2 dicembre del 1956 Castro e i suoi guerriglieri sbarcano sulle coste orientali di Cuba. L’inizio della rivoluzione si rivela un sciagura: in ritardo rispetto alla data di sbarco prevista, vengono attaccati dall’esercito. Degli 82 uomini partiti per la spedizione, riescono a ritrovarsi solo una ventina – dodici come gli apostoli, dirà la leggenda. Nonostante l’inizio disastroso, i ribelli sapranno accaparrarsi le simpatie dei contadini e, nel giro di 2 anni, con un esercito irregolare e contro il regime di Batista appoggiato dagli Stati Uniti, riescono a conquistare l’isola.
I primi anni della rivoluzione portano la riforma agraria – con l’esproprio e la redistribuzione delle terre –, la chiusura delle case da gioco, la lotta al traffico di droga, la liberalizzazione agli accessi di alberghi, spiagge e locali pubblici, fino ad allora ad uso esclusivo di pochi; e ancora: politiche abitative, riduzioni del costo di medicinali, libri, tariffe elettriche e telefoniche, investimenti sulle politiche educative e sanitarie. Vengono istituiti tribunali speciali a partecipazione popolare per processare elementi compromessi con il vecchio regime. Le esecuzioni sono circa 400; nessuno, in nessun caso, subisce torture o vendette personali, nessuno viene appeso a testa in giù.
Nell’aprile del 1959 Castro si reca negli Stati Uniti, su invito della società nordamericana dei direttori di giornale, con l’intenzione di promuovere la rivoluzione cubana: visita università, gira il paese, incontra giornalisti. L’accoglienza popolare è straordinaria. Un cronista gli chiede: “siete venuti a chiedere aiuti economici?” “Voi siete abituati a vedere i rappresentanti degli altri governi venire qui a chiedere denaro. Io non sono venuto per questo. Sono venuto per intrattenere buone relazioni, siamo gente povera ma in un paese ricco”. Questa è la risposta di Castro. Alla stampa dichiara anche la sua opinione sulle dittature e sulle democrazie: “Non può esistere una vera democrazia sino a quando ci sarà tanta fame, uomini senza lavoro e tanta ingiustizia”. Il vicepresidente Nixon, che lo riceve in sostituzione del presidente Eisenhower , dirà di lui: “è un tipo naif, ma non necessariamente comunista”. Ma Castro non piace al governo americano, e da quell’incontro partiranno gli innumerevoli piani terroristici per abbatterlo e per destabilizzare Cuba.
Nel frattempo, sull’isola, in un periodo di attriti e confusione, iniziano i primi dissidi: Huber Matos, l’ex insegnante, tra i primi ad unirsi alle forze rivoluzionarie, presenta le sue dimissioni da comandante dell’esercito della provincia di Camaguey, in dissidio con la riforma agraria e con la sempre maggiore influenza di elementi marxisti nella rivoluzione (Raul Castro e Guevara). Matos viene processato e condannato, con l’accusa di cospirazione e tradimento, a 20 anni di prigione, scontati i quali abbandonerà l’isola. Nello stesso periodo simile sorte, e per gli stessi motivi, tocca a Pedro Luis Diaz Lan, pilota personale di Castro, del quale si scopre una collaborazione con la Cia, e che scapperà dall’isola ancor prima di essere processato.
Più tardi, nel 1968, abbandonerà l’isola in dissenso dalla rivoluzione Carlos Franqui, direttore di “Radio Rebelde” e del quotidiano “Revolucion”, primi organi di informazione della rivoluzione. In anni più recenti, nel 1994, anche Dariel Alarcon, uno dei 3 sopravvissuti alla spedizione del Che in Bolivia, uno a cui – contadino analfabeta –, la rivoluzione aveva insegnato a leggere e scrivere, abbandonerà Cuba. Tutti, chi più e chi meno, appoggeranno i movimenti anticastristi finanziati dagli Usa e scriveranno libri dove criticheranno ferocemente Castro e la rivoluzione cubana alla quale avevano partecipato.
Nel febbraio del 1960 il governo cubano chiude un accordo commerciale con l’Unione Sovietica che prevede l’acquisto di petrolio russo, ma le compagnie petrolifere sul territorio cubano – di proprietà americana – si rifiutano di raffinarlo. Gli eventi si susseguono scatenando l’inasprimento delle relazioni commerciali; iniziano allora i tentativi di colpire l’isola con diversi attentati.
A marzo, nel porto dell’Avana, esplode per un sabotaggio la nave La Coubre: i morti sono 110, insieme a numerosi feriti. Nel giorno dei funerali, Castro pronuncia la storica frase: “patria o muerte”; in quella stessa occasione il fotografo Alberto Korda scatta la foto di Guevara che farà il giro del mondo.
Pochi mesi dopo, Fidel Castro legge davanti al suo popolo il decreto di esproprio e nazionalizzazione di tutte le proprietà americane sull’isola; l’atmosfera è epica e drammatica allo stesso tempo: Fidel per qualche minuto ammutolisce e non riesce più a parlare; inaspettatamente prende il microfono suo fratello Raul, che continua a leggere il decreto e prima di ripassare il microfono al fratello urla alla platea : “… perché per un momento se n’è andata una voce, ma lui è e sarà li!”. A seguito del moltiplicarsi degli attentati terroristici, Castro, nel 1961, proclama il carattere socialista della rivoluzione e si avvicina definitivamente all’Unione Sovietica. L’embargo americano diventa totale e brutale; così come le azioni per destabilizzare Cuba, che culminano – ma non finiranno lì – nella tentata invasione alla Baia dei Porci: in quella occasione il popolo si schiera con il suo governo, e il tentativo di prendere l’isola con la forza viene sconfitto in 72 ore di battaglia. Poco dopo scoppia la crisi dei missili: in quell’occasione Castro si infuria con Chruscev per non essere stato consultato sulla decisione da prendere; l’accordo Usa-Urss prevedeva lo smantellamento dei missili in cambio della non invasione di Cuba.
Cuba non verrà invasa, ma le aggressioni continueranno.
Non si può capire la grandezza di Castro e il miracolo di Cuba se non si tengono in considerazione gli eventi sopra citati. Se non si tiene in considerazione quello che Cuba era prima di Castro e quello che avrebbe potuto essere senza l’ostilità della più grande potenza mondiale a pochi chilometri di distanza . La Cuba del dittatore Batista era un paese dove quasi la metà delle terre coltivabili erano in mano a compagnie nordamericane, così come larga parte dei settori dello zucchero, del tabacco e del nichel; le fasce più deboli della popolazione, lavoratori e contadini, vivevano in povertà quasi assoluta: senza elettricità, senza acqua, senza servizi igienici, privati della possibilità di studiare e di curarsi; la corruzione era endemica, come lo strapotere della mafia italo-americana; gli investimenti americani e il turismo (in espansione in quegli anni) fecero diventare Cuba il bordello degli potenti.
La rivoluzione cambia volto al paese: sanità e istruzione sono gratuite per tutti, e godranno negli anni di finanziamenti ingenti, anche nei periodi più duri, diventando sistemi universalmente riconosciuti tra i migliori del mondo; in molti arrivano dai paesi del Terzo mondo, dall’America Latina, dall’Europa e anche dagli Stati Uniti, per laurearsi nelle università cubane. Con l’introduzione della “libreta”, i beni – che sovente scarseggiano – vengono razionati in base alle disponibilità e al bisogno. Vengono garantiti a tutti la casa, l’elettricità, l’acqua, il cibo e tutto l’essenziale per vivere. La disoccupazione raggiunge percentuali risibili; la mafia scompare dall’isola. Cuba diventa un paese sicuro.
In politica estera Castro sostiene, in maniera autonoma dall’Urss, i movimenti indipendentisti e anticoloniali dell’Africa, con invio di volontari militari e civili: in Congo, nell’Algeria di Ben Bella, in Mozambico e in Guinea; gli aiuti di Cuba sono determinanti per l’indipendenza dell’Angola, della Nambia, e per la sconfitta dell’apartheid in Sud Africa. Anche in America Latina la rivoluzione cubana appoggia e sostiene movimenti di liberazione: la guerriglia in Bolivia contro il dittatore Barrientos (dove Guevara perderà la vita), i sandinisti in Nicaragua, Allende in Cile, Chavez in Venezuela. Ancora oggi Cuba invia diverse migliaia di medici in Africa e in America Latina. Nel 2005, quando l’uragano Katrina devastò gli Stati Uniti, Castro offrì l’invio di oltre 1000 medici.
Cuba ha fatto e continua a fare tutto questo, nonostante gli oltre 600 tentativi di uccidere Castro; gli innumerevoli piani terroristici della Cia, tutti documentati; nonostante l’embargo, l’isolamento, il territorio di Guantanamo ancora occupato illegalmente; nonostante gli accordi migratori mai rispettati dagli Usa, che hanno accolto chiunque abbandonasse l’isola garantendogli qualsiasi cosa a patto di sponsorizzare l’anticastrismo, mentre i migranti di Haiti venivano respinti o abbandonati a se stessi; nonostante la patetica propaganda occidentale.
Ma la prova più dura per il popolo cubano arriva con il caso del generale Ochoa (1989) – tra gli uomini più stimati e influenti della rivoluzione –, processato e condannato a morte per un caso di corruzione e traffico di droga, che scuoterà l’intera opinione pubblica, e con il crollo dell’Unione Sovietica nei primi anni novanta.
Da allora a Cuba si apre il “periodo especial”: il Pil crolla del 35%; le importazioni diminuiscono del 75%; la produttività scende del 34%; il consumo delle famiglie cala del 35%. Si riduce l’apporto calorico e proteico; peggiorano i servizi pubblici; manca il carburante; le fabbriche si fermano per mancanza di pezzi di ricambio. A seguito di tutto questo, si verificano tensioni sociali che sfociano in un’emigrazione di massa, a cui Castro non si oppone. La rivoluzione cubana è data per finita da tutto il mondo, ma miracolosamente riesce a superare il periodo con alcune riforme e soprattutto con il sacrificio, la resistenza e la capacità di adattamento del suo popolo. Fidel Castro è sempre lì e ci rimane fino al 2006 quando, ormai malato, decide di ritirarsi.
Castro ha visto susseguirsi 11 presidenti degli Stati Uniti – nessuno dei quali è riuscito a sconfiggerlo – e sette papi, di cui gli ultimi tre ricevuti in visita a Cuba. Diverse volte, sin dai tempi della Sierra Maestra , è stato dato per morto; e quasi ci eravamo convinti che non sarebbe morto mai veramente.
Cuba è firmataria della dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. La sua Costituzione, al primo articolo, recita: “Cuba è uno Stato socialista di lavoratori, indipendente e sovrano, organizzato con tutti e per il bene di tutti come repubblica unitaria e democratica per il godimento della libertà politica, della giustizia sociale, del benessere individuale e collettivo e della solidarietà umana”. La stessa Costituzione garantisce il diritto al lavoro, alla salute, all’educazione (gratuita ad ogni livello); essa riconosce la libertà di stampa (conformemente ai fini della società socialista, e specificando che la proprietà dei mezzi di comunicazione non può andare in mani private, ma del pubblico o delle associazioni di massa), di riunione, di associazione e di religione – precisando che nessuna di queste libertà “può essere esercitata contro quanto stabilito dalla Costituzione e dalle leggi, né contro l’esistenza e i fini dello Stato socialista o contro la volontà del popolo cubano di costruire il socialismo e il comunismo”.
I cittadini cubani eleggono i propri rappresentanti a tutti i livelli (municipale, provinciale e nazionale), e il Partito Comunista Cubano non presenta liste con propri candidati – ma rappresenta, secondo lo stesso dettato costituzionale, “la più alta forza dirigente della società e dello Stato”. L’alimentazione minima è garantita dallo Stato, così come la casa. A Cuba non si è mai verificato un caso di tortura accertata, mai un persona dispersa, nessun nero ucciso per strada da poliziotti. A Cuba c’è la pena di morte – inapplicata dal 2003 e sospesa nel 2008 –, come negli Stati Uniti, dove le esecuzioni sono più frequenti. Negli anni ‘70 gli omosessuali hanno subito discriminazioni – Castro ha riconosciuto l’errore –; oggi le relazioni tra persone dello stesso sesso non sono perseguibili. Le donne hanno gli stessi diritti degli uomini in tutti i settori.
Castro è stato il migliore, il più autorevole, il più longevo e più romantico interprete delle ideologie socialiste, e probabilmente il più capace statista del Novecento.
Castro è l’uomo che è riuscito a sopravvivere al suo stesso mito. L’uomo che, a differenza di un suo autorevole collega (Ernesto Guevara), è diventato leggenda non con la morte ma nella vita.
In molti non si spiegano ancora come sia stato possibile che due leggende così grandi si siano incontrate nello stesso luogo e nelle stessa era. Altri non si capacitano di come un uomo a capo di un paese così piccolo, di questo Stato in miniatura, sia diventato così grande e influente.
Castro è stato un profeta e una speranza per tutti i poveri del mondo.
Eppure, ancora oggi, alla sua morte, qualcuno è pronto a definirlo un dittatore, un malvagio, un sanguinario, un diavolo che ha distrutto Cuba portandola alla fame – in un paese dove nessuno muore di fame e tutti sono istruiti.
La Storia lo assolverà sicuramente; ma se anche per un solo momento dovesse voltargli le spalle, non dubitate che lui, Fidel Castro, assolverà la Storia.
Patria o muerte! Hasta la victoria!