Dopo la conversazione con Gianluca Marinelli, prosegue il nostro zoom sul contemporaneo. Anche in questo caso lo spunto viene dalla questione dell’arredo urbano, che sembra essere comune a tutta la Puglia, per poi toccare un altro importante argomento legato all’arte contemporanea: le mostre. Ne abbiamo parlato con Lorenzo Madaro, critico d’arte e curatore, che nella sua attività per l’edizione pugliese di Repubblica si è costantemente occupato di queste problematiche.
Prendo spunto da una tua inchiesta su Repubblica.it, nella quale passi in rassegna i “Monumenti dell’orrore” così come ti vengono segnalati dai lettori. Quali conclusioni ne trai?
“La Puglia purtroppo è costellata (rotatorie, piazze, centri storici e non solo) di questi monumenti che abbiamo dovuto obbligatoriamente ribattezzare “dell’orrore”, proprio perché sono fatti spesso da artisti che non sono tali, oppure scelti dal politico o dal sacerdote di turno e senza una valutazione rispetto al contesto urbano, dunque del tutto scollegate rispetto ai contesti in cui vengono calate. Peraltro, nella maggior parte dei casi, vengono anche maltrattate e trascurate per cui il risultato è un orrore, appunto. Chiaramente ci si scontra molto con l’attenzione delle persone nei confronti di quei monumenti: a parte quelli schiettamente legati al culto, la gente è spesso molto affezionata ad alcune di queste opere e non ne considera il lato culturale del lavoro o la resa formale.”
Nelle decisioni relative all’arredo urbano la scultura o l’installazione assumono sempre più un ruolo centrale. Guardando alla Puglia, i monumenti sembrano essere costantemente legati a un figurativo di facile consumo, spesso di carattere religioso. Eppure ci sono esempi che escono fuori da questo circuito ma sembrano non essere sufficientemente apprezzati…
“Soprattutto maltrattati: il caso esemplare è quello della Fontana di Nicola Carrino a Taranto. Carrino è uno dei più grandi artisti della storia dell’arte italiana del secondo Novecento, un grandissimo scultore dalla progettualità raffinata – non a caso è stato anche un teorico del fare scultura, in particolare nelle piazze – e che è riuscito ad ottenere un risultato molto interessante. Ma è stato percepito come una soluzione in un certo senso esagerata rispetto al contesto. Un altro caso è quello della Carboniera di Jannis Kounellis in Piazza del Ferrarese a Bari, realizzata in occasione della sua personale al Teatro Margherita nel 2010, su iniziativa del Comune, che è stata spostata in un luogo potenzialmente interessante, la Cittadella della Cultura, ma periferico e poco frequentato. L’opera è stata relegata in un cantuccio nel cortile ed è rimasta quasi un’intera giornata attorniata da bidoni della spazzatura. Sono entrambi casi esemplari, che la dicono lunga sulla considerazione che si ha della scultura. Per non parlare anche di altri contesti, come ad esempio i palazzi, in cui le opere di artisti contemporanei sono abbastanza trascurate.”
Taranto ha una storia molto particolare sotto il punto di vista dell’arredo urbano: la cittadinanza sembra apprezzare poco le uniche testimonianze monumentali di arte contemporanea che vivono – pur con fatica – in città. Oltre ad essersi lasciata scappare sia Franchina che Giò Pomodoro…
“Taranto mi sembra una città dal punto di vista culturale molto distratta, sia da parte delle istituzioni che di alcuni addetti ai lavori. Distratta innanzitutto nei confronti degli artisti: se si pensa a Carrino, l’unica mostra che gli è stata dedicata a Taranto è ormai abbastanza datata. Ma anche rispetto ad alcune figure, come Franco Sossi, critico d’arte di fama nazionale, teorico del Gruppo 1 – al quale facevano capo negli anni numerosi artisti, tra cui Carrino e Ninì Santoro, attivi a Roma – al quale non è mai stata dedicata un’esposizione, una pubblicazione ad ampio raggio o tributata la giusta attenzione. Invece noto che le mostre collettive di arte contemporanea che sono state fatte in tempi recentissimi a Taranto, nella maggior parte dei casi mi sono sembrate più operazioni finalizzate a creare un curriculum a degli artisti dilettanti che erano affiancati anche grandi artisti, che magari si trovavano lì a propria insaputa. Manca inoltre un’attenzione curatoriale. Tra gli esempi virtuosi, invece, segnalo la mostra di Alessandro Bulgini a Palazzo Pantaleo lo scorso anno, curata da Christian Caliandro e Alessandro Facente, con il sostegno di Co.61 di Gianmichele Arrivo, dove si è lavorato molto con il tessuto culturale e sociale della città e che credo sia la mostra più bella tra quelle realizzate a Taranto e provincia negli ultimi anni, proprio perché ha scatenato riflessioni virtuose. Il resto del panorama in città, a parte rari casi, è deprimente.”
Qual è il tassello che manca per far sì che si possa finalmente guardare in avanti dal punto di vista dell’arte?
“Il problema principale, che è un problema pugliese, è innanzitutto legato alla fruizione e alla comunicazione: la Carboniera di Kounellis è rimasta per cinque anni senza una didascalia che dicesse che quella era un’opera di uno dei più grandi artisti contemporanei. Manca la volontà di comunicare, di far interessare il pubblico. Tutto sembra ridursi a un’operazione autoreferenziale: gli addetti ai lavori conoscono Kounellis, ma nessuno si è preoccupato di informare chi addetto ai lavori non è che quella è un’opera di un artista contemporaneo. Idem, sempre a Bari, per il wall drawing dell’artista minimalista statunitense Sol Lewitt nella Sala Murat, nato come omaggio alla straordinaria gallerista Marilena Bonomo, spesso offuscato da allestimenti e altri oggetti – ricordo addirittura un Babbo Natale appiccicato sopra – e privo di una didascalia fino a qualche tempo fa quando, a seguito delle continue sollecitazioni, anche di Repubblica Bari, hanno deciso di inserirla.”
StecaS