Dopo aver analizzato storicamente e in maniera più legata all’arredo urbano la questione della percezione del contemporaneo, andiamo a trattare un altro aspetto, quello più schiettamente legato ai concetti di cultura e arte e al loro attuale legame con il presente. La conversazione di oggi è con Christian Caliandro, storico dell’arte contemporanea, con il quale cerchiamo di ampliare la nostra visione sul tema partendo dal suo ultimo libro Italia Revolution. Rinascere con la cultura (Bompiani 2013).
“Rinascere con la cultura” è il sottotitolo del tuo “Italia Revolution” e, per questa rivoluzione, l’arte contemporanea ha un ruolo fondamentale. Vuole spiegarci perché?
«Bisogna innanzitutto intendersi sui concetti di cultura e arte. Se si intende la cultura come la decorazione di determinati contesti, non serve a nulla, se ne può fare tranquillamente a meno. Così, se l’arte contemporanea è sganciata dalla vita delle comunità, diventa autoreferenziale, separata dalla realtà. Diversamente, se la cultura mantiene un contatto con la realtà, allora è al centro di tutto. La cultura e l’arte devono avere, come la vita, diverse dimensioni – sociale, politica, economica – che normalmente vengono considerate estranee alle logiche culturali, soprattutto nel momento in cui interpretiamo la cultura come un passatempo, come qualcosa in cui impiegare il tempo libero. Se invece intendiamo la cultura come una componente viva della nostra società, ecco che anche l’arte contemporanea acquista la sua importanza e il suo valore nella ricostruzione di un’identità collettiva.»
Qual è la situazione della Puglia in questo senso? Come viene percepita l’arte contemporanea?
«La Puglia presenta in questo momento una situazione molto interessante. Esistono tante realtà in movimento, artisti, riferimenti, ma manca un vero e proprio sistema dell’arte contemporanea così come lo si vede soprattutto nelle grandi città. E questo non può essere che un bene in un momento in cui quel sistema, soprattutto in coincidenza con la crisi, ha mostrato tutte le sue crepe. La Puglia, di contro, sta manifestando una grande vitalità che si traduce nell’innovazione culturale e sociale, attraverso tantissimi progetti attivati dalle generazioni più giovani. All’interno di questo processo in corso può inserirsi l’arte contemporanea: si tratta, in sostanza, di trasferire le esperienze che sono state preparate nell’ultimo decennio su un piano nuovo, facendo fare uno scatto evolutivo. Su questo sono molto fiducioso. All’arte potrebbe fare bene recuperare un rapporto con il tessuto produttivo dal quale, in genere, è slegata.»
A livello di arredo urbano, quindi di installazioni di grandi dimensioni, a Taranto sembra ancora in auge il caro vecchio monumento, chiaro nella rappresentazione, che non fa porre troppe domande. Come se ci si rifugiasse in un’immagine rassicurante…
«In questo momento Taranto, per quanto riguarda la percezione del presente, è uno dei luoghi più importanti d’Italia. Io immagino l’Italia come una sorta di arcipelago puntellato da luoghi “interdetti” come L’Aquila, che è esattamente al suo centro e ne è una sorta di “capitale spettrale”, oppure la Val di Susa, Lampedusa… In questo contesto si inserisce anche Taranto. Questa interdizione non è solo di tipo fisico, ma ha a che fare con il modo in cui queste zone vengono narrate. Se ci facciamo caso esistono generi narrativi su questi luoghi in cui si condensa quello che è il presente italiano, sul quale si dovrebbero concentrare gli interessi di tutti, compresi gli artisti. Noi dovremmo cercare di comprendere che ruolo l’arte possa svolgere all’interno di una città. Io credo che le opere che hanno a che fare con lo spazio della città, di fatto non debbano essere considerate opere; per intervenire nel tessuto della città, l’arte dovrebbe condensarsi nelle relazioni che sostanziano la città. Se noi mettiamo un oggetto in una piazza ricadiamo nella decorazione: può anche essere un’opera alla fine bella, ma non so che utilità possa oggi avere. Un’opera che sia, invece, un processo che metta in moto altri processi di consapevolezza ha a che fare con le dinamiche della società senza ricorrere necessariamente alla supplenza sociale: l’artista deve fare l’artista, non deve supplire ad altre funzioni. Oggi nelle nostre città, anche quelle più interessanti – tra le quali, sicuramente, c’è Taranto – va individuato quello che deve essere il ruolo dell’arte contemporanea.»
Il problema della percezione dell’arte contemporanea è complesso: è colpa dell’arte che non sa “comunicarsi” bene o della società che ha difficoltà a riconoscersi in questo tipo di contemporaneo?
«Io non me la sento di condannare il disprezzo che contraddistingue parte della società nei confronti della produzione artistica soprattutto degli ultimi trent’anni. Il 90% dell’arte contemporanea prodotta in questo lasso di tempo è respingente. L’arte, per riconquistare la dignità e il rispetto delle persone, dovrebbe riscoprire le reali esigenze di una comunità. Come può la società riconoscersi nell’idea di presente incarnata dall’arte contemporanea che, nella maggior parte dei casi, non offre nulla di utile, è molto lontana dalla vita reale e, nella migliore delle ipotesi, è un ripescaggio di forme appartenute ad altre generazioni? Perché la gente dovrebbe sentirsi attratta da qualcosa che non ha nulla a che fare con la propria vita? L’arte deve ritornare a dare qualcosa di utile non al “pubblico” – che con l’arte non c’entra nulla – ma al popolo. La cultura deve creare nuovi bisogni, capovolgendo la logica dell’audience alla quale siamo abituati. Se non c’è la funzione di creare nuovi bisogni, la cultura non ha alcuna utilità. Mi permetto di fare un riferimento a una mia recente esperienza proprio su Taranto: la mostra di Alessandro Bulgini a Palazzo Pantaleo [Taranto Opera Viva, ndr] è stata un’occasione per riscoprire la Città Vecchia e il fine era strettamente connesso alla ricostruzione di un tessuto relazionale, umano. Un’esperienza bellissima e, per molti versi, costruttiva.»
Va insomma recuperato il rapporto della cultura con la società, una sorta di anello di congiunzione necessario se non si vuole continuare a produrre arte respingente o a percepirla come tale.
«Bisogna provare a chiedere e scoprire quali sono le necessità del popolo. In occasione dei quarant’anni dalla morte di Pasolini, io inviterei a rileggere tutti i suoi libri e i suoi articoli per comprendere come in quel pensiero ci fosse già tutto e, di conseguenza, quanto sia necessario il recupero di quel tipo di attitudine: amare la gente e interessarsi dei suoi bisogni.»
StecaS