«Certo che ne ha di ironia la Sorte se nel giorno della dipartita del Nobel per la letteratura Dario Fo, assegna il medesimo premio a Bob Dylan. Avesse voluto pianificarlo, l’Accademia Svedese non ci sarebbe mai riuscita!»… è stata questa la riflessione inevitabile (almeno per chi scrive) appena apprese le notizie.
Il celebre premio passa, così, dalle mani di uno schietto giullare anticonformista a quelle di un poliedrico menestrello sui generis, confermando – in entrambi i casi – come l’Accademia, pur rispettando le volontà testamentarie di chi l’ha istituito (il Nobel per la letteratura deve essere attribuito a chi si è maggiormente distinto per le sue opere in una direzione ideale), non circoscriva la propria scelta a chi per antonomasia può definirsi poeta o scrittore, ma allarghi lo sguardo a un concetto più ampio di opera d’arte. Ecco quindi che oggi, per la prima volta dalla sua istituzione nel 1901, ad accaparrarsi il Nobel per la letteratura è stato un cantautore, un musicista: Bob Dylan, classe 1941, vero nome Robert Allen Zimmerman, statunitense.
Il conferimento del Nobel per la letteratura a Dylan ha inizialmente destato entusiasmi, sembrava che ciascuno avesse un articolo pronto sul caso (a mo’ di coccodrillo nei casi di morte!) e fosse pronto a darne notizia. Mi sembrava strano che non fossero – nelle prime ore – intervenute polemiche da parte di chi si sente detentore di una certa cultura alta e/o sofisticata. Questione di tempo. Le reazioni sono arrivate. I dubbi avanzati da Baricco (e me ne rammarico), di Welsh, Murakami e via dicendo sull’ascrivibilità dei testi di Dylan nel registro delle opere letterarie mi fa riflettere sull’ostracismo di chi per primo dovrebbe allungare lo sguardo sulla società e la sua evoluzione.
I testi delle canzoni di Bob Dylan, porto banalmente ad esempio To be alone with you, non hanno nulla da invidiare ad altri testi letterari e sono fruibili mantenendo inalterato il loro senso e piacevolezza anche senza l’ausilio della musica. E, se questo non bastasse, i testi di Dylan sono frutto di uno studio e contengono una serie di riferimenti lettarari di tutto rispetto. Mi spiego. Come lo stesso cantautore ha spiegato in un’intervista, agli inizi della carriera, suonando e risuonando il tradizionale repertorio di canzoni folk, ebbe l’intuizione che fossero tutte connesse, così si mise ad annotare le frasi e le strutture ricorrenti. In questo modo creò una base che ripropose nei suoi pezzi arricchendola – però – di ideali e citazioni dai suoi autori preferiti tra cui ricordiamo Shakespeare e Dylan Thomas (mutuando da quest’ultimo il suo nome d’arte). Stiamo parlando dei primi anni ’60, la musica folk era il genere scelto dai movimenti giovanili per portare avanti le proprie lotte e idee e Bob Dylan con le sue canzoni ne divenne il portavoce.
I suoi testi continueranno ad essere intrisi di riferimenti letterari (Ginsberg, Kerouac, Ferlinghetti, Bibbia, etc) anche più avanti, quando passa dal folk al rock e, poi, al country. Non solo cantautore, ma anche scrittore ha all’attivo tre libri: uno di poesie (Tarantula); uno di scritti e disegni (Writing and drawing) e il primo volume della sua autobiografia (Chronicles).
Bob Dylan – musicista, cantautore, sceneggiatore, scrittore, disegnatore, regista – ha il merito di aver perseguito sempre i suoi ideali anche a costo di andare contro i gusti del pubblico e i dettami delle case discografiche, restando fedele a sé stesso e alla propria vocazione artistica.
Nella motivazione del premio si legge che gli è stato conferito per aver creato nuove espressioni poetiche attraverso la tradizione della canzone americana e a me piace pensare che abbia detto (citando parole sue): «Non lasciatevi ingannare. Io ho soltanto aperto una porta differente in maniera differente».