Nelle ultime settimane la Bosnia è stata attraversata da una serie di mobilitazioni che, per le elevate percentuali di partecipazione e radicalità, hanno suscitato l’attenzione di gran parte dei media mainstream europei. Sembra necessario provare a far un passo avanti, cercando di capire quali pulsioni e prospettive politiche attraversano queste mobilitazioni. Più in generale, con l’aiuto di Federica Ferri, appassionata studiosa dei Balcani e fine osservatrice delle dinamiche culturali e politiche che animano la regione, proveremo a valutare in che maniera si sta evolvendo il quadro politico dall’altra parte dell’adriatico.
Federica, avvertiamo la necessità di approfondire la nostra conoscenza delle complesse dinamiche che stanno scuotendo la Bosnia. Qual è la tua percezione degli eventi in corso?
Le mobilitazioni della scorsa settimana sono iniziate a Tuzla: gli operai di alcune aziende hanno iniziato a manifestare in quanto cinque fabbriche del tessuto produttivo locale sono state prima privatizzate e, subito dopo, ne è stato dichiarato il fallimento, lasciando i lavoratori senza un’occupazione. Accanto agli operai in mobilitazione, gran parte della popolazione locale ha iniziato a manifestare, intorno ai temi dell’elevatissimo tasso di disoccupazione, che con riferimento ai giovani raggiunge addirittura il 60%. Quindi, ben oltre l’evento iniziale, le manifestazioni hanno assunto come perno centrale la difficoltà della situazione economica generale. Per altro, le recenti manifestazioni non sono un caso isolato: nell’ultimo decennio, il paese è stato frequentemente scosso da importanti mobilitazioni, per esempio nel 2005 intorno alle problematiche degli agricoltori, o nella primavera del 2013 con la cosiddetta rivolta dei bebè in tema del diritto di cittadinanza dei nuovi nati.
Intorno a quali parole d’ordine si è manifestato nelle altre città, quali obiettivi i manifestanti stanno perseguendo e in che maniera le mobilitazione si stanno riproducendo in altri luoghi del Paese?
Solo recentemente i manifestanti di Tuzla hanno prodotto uno scarno documento che riassume le loro rivendicazioni nei confronti del Governo. In generale, si registra un diffuso malcontento nei confronti della classe politica, sotto accusa per l’elevato tasso di corruzione. Dopo Tuzla, è stata la volta di altre città, sempre facenti parte della Federazione di Bosnia ed Erzegovina, una delle due entità politico-amministrative in cui è suddivisa la Bosnia, quella a maggioranza musulmana. Si sono registrate anche manifestazione a Banja Luka, la capitale de facto della Repubblica Serba di Bosnia, però la maggioranza della mobilitazioni si è concentrata nella Federazione. Alcuni ministri cantonali si sono dimessi, a seguito delle proteste. Sono stati incendiati i palazzi del Governo cantonale di Tuzla ma anche, in maniera eclatante, il palazzo della Presidenza della Bosnia a Sarajevo. Le immagini di edifici in fiamme e auto incendiate hanno chiaramente richiamato alla mente il conflitto degli anni 90. Inoltre, molti documenti dell’Archivio Nazionale Bosniaco, , tra i quali, ad esempio, gli atti della commissione creata dopo la fine del Secondo conflitto mondiale per indagare sui crimini di guerra, oltre che una sezione contenente diari, lettere, memorie personali in alcuni casi risalenti alla fine dell’Ottocento, sono stati distrutti durante queste proteste.
Secondo il tuo punto di vista, è possibile allo stato attuale produrre uno sguardo di classe su quello che sta succedendo nel paese, dal punto di vista di una rivolta generalizzata di chi soffre le conseguenze della decennale crisi economica, o continua ad essere predominante una lettura etnica della mobilitazioni in corso?
Continua ad essere estremamente rilevante una conformazione etnica del quadro politico Bosniaco. Ogni partito fa riferimento all’etnia che rappresenta. Allo stato attuale si registrano giudizi ambivalenti sulla portata delle mobilitazioni. Secondo molti osservatori, le manifestazioni hanno a che fare con l’avvicinarsi delle elezioni politiche del prossimo ottobre. Il ministro della sicurezza, per esempio, risulta essere il principale accusato di agitare il malcontento nell’ottica di un superamento della divisione nazionale della classe politica bosniaca, sfruttando il diffuso astio nei confronti della vecchia casta, rispetto alla quale per altro sembra essere lui stesso contiguo. In ogni caso, lo schema etnico non è direttamente emerso finora. Al tempo stesso occorre sottolineare come le manifestazioni abbiano prevalentemente riguardato la Federazione, a maggioranza mussulmana.
Al di là degli avvenimenti degli ultimi giorni, come si sta evolvendo il quadro politico bosniaco, anche alla luce dell’adesione all’UE di altri paesi dell’area, dopo Slovenia e Croazia?
Difficilmente le legittime richieste dei manifestanti potranno essere accolte dalla classe dirigente del paese, ingessata da un’imponente macchina burocratica, caratterizzata dal sistema di presidenza tripartita e dalla strutturale divisione del paese in due entità, con due parlamenti e due governi diversi, e dalla divisione della Federazione in undici cantoni con una rilevante autonomia. Questo imponente apparato amministrativo assorbe il 70% delle risorse economiche, e se non sarà riarticolato difficilmente la situazione economica potrà migliorare. In generale la divisione etnica continua a caratterizzare la vita quotidiana in Bosnia, fin dall’infanzia, con una mole notevole di problemi.
In tema invece di adesione all’UE, senza una decisa inversione di tendenza per quanto riguarda la struttura politica interna, sembra impossibile poter ragionare in questi termini. Anche le difficoltà economiche sembrano allo stato attuale allontanare la Bosnia da una possibile adesione all’UE. La questione sembra necessitare di una tempistica lunga, nell’ottica di un decennio.