Da qualche giorno si parla della possibilità che nel porto di Taranto venga allestito un “Hub” per la prima accoglienza e lo smistamento dei migranti in arrivo sulle nostre coste. La prospettiva ha generato reazioni di diverso tipo: c’è stato chi ha prontamente alimentato pulsioni razziste, e chi si è interrogato sulla razionalità della scelta del governo. In casi delicati come questi, tuttavia, la priorità dovrebbe essere data alla comprensione delle cose: la consapevolezza è infatti il migliore antidoto contro il dilagare di una irrazionalità di massa quanto mai pericolosa. Per questo abbiamo voluto conoscere e diffondere il punto di vista di gente che da anni opera nel campo dell’accoglienza dei migranti.
Iniziamo con Gianluca Nigro. Brindisino, operatore sociale, già membro dell’Associazione Finis Terrae Onlus, Nigro dal 2010 ha curato il progetto A.M.I.C.I. presso la Masseria Boncuri di Nardò. Ha partecipato quindi alla mobilitazione contro il caporalato di quegli stessi lavoratori, nell’estate 2011 (esperienza raccontata in Sacchetto, Nigro, Perrotta, Sagnet, Sulla pelle viva, Derive Approdi 2012). Nigro è inoltre autore di diversi saggi sul lavoro migrante in agricoltura e sul diritto d’asilo in Italia. L’elemento che emerge con maggiore forza dalla sua analisi è l’incertezza. Non si sa quale sarà la definizione giuridica dell’Hub né quella dei suoi “ospiti”. Così come ancora incerto è il numero delle persone che dovrebbero essere accolte. Ma l’incognita principale riguarda il rapporto con le comunità locali: la creazione di grandi centri è il modo migliore per accendere la miccia della reciproca incomprensione. Leggiamo direttamente le sue risposte.
Che cosa si intende precisamente per “Hub”?
La definizione di Hub non è ancora stata chiarita nei dettagli. L’interpretazione più accreditata lascia pensare a centri di smistamento delle persone, in attesa di essere collocate in centri più adeguati. La stessa definizione di Hub sembra essere traslata da un gergo informatico che indica una relazione reticolare e di riproduzione di informazioni tra soggetti di una stessa rete, che nel caso specifico ancora non esiste.
Quante persone dovrebbero essere ospitate? E per quanto tempo?
Anche la dimensione di questi posti non è stata chiarita dal Governo, che nei mesi passati ha tentato di aprire il primo centro Hub a San Giuliano di Puglia, in Molise, utilizzando le case costruite a suo tempo per i cittadini che avevano avuto le abitazioni distrutte dal terremoto: una scelta scellerata e irrazionale che non rispondeva al bisogno di tutela e protezione dei richiedenti asilo, ma esclusivamente al reperimento di posti o magari a ipotizzare bacini di manodopera a basso costo in agricoltura o in altri settori economici. A suo tempo avevamo posto la questione, ma un vero dibattito su quella scelta non è mai nato. Sulle modalità di gestione, sulla tempistica e su quale categoria giuridica di persone dovrebbero accogliere è tutto molto nebuloso.
Che diritti avrebbero i migranti? Non c’è il rischio che la struttura si trasformi in un centro di detenzione?
Temo un arretramento complessivo del sistema, un ritorno a periodi bui del diritto d’asilo in Italia, quando i centri venivano utilizzati indifferentemente per accogliere o per trattenere le persone, a seconda della discrezionalità dell’autorità di pubblica sicurezza. Spero sinceramente che non si voglia andare in quella direzione. Non è dato capire, al momento, se il sistema Hub è finalizzato a provvedere ad una maggiore razionalizzazione del sistema asilo complessivo oppure se si vuole realizzare un sistema che ne accentui il profilo repressivo: non è chiaro, infatti, se nei centri si vuole operare anche uno smistamento giuridico delle persone, differenziato fra chi chiede asilo e chi no. Non è chiaro, inoltre, se sarà garantito l’accesso agli enti di tutela e se vi sarà una presenza costante dell’ UNHCR, l’agenzia dell’ONU che ha competenza sui richiedenti asilo e sui rifugiati. Tutti questi interrogativi hanno bisogno di una risposta immediata e completa da parte del Governo e del Ministero degli Interni. La Puglia nel corso degli ultimi venti anni ha già conosciuto le falle del sistema dei grandi centri e le sue storture. Il territorio pugliese è disseminato di grandi centri che, pur in assenza di arrivi diretti sul territorio, vengono utilizzati per sopperire alle mancanze di una reale razionalizzazione del sistema asilo. Tante sono state, nel corso degli anni, le espulsioni collettive illeggittime dai centri di Bari Palese, di Borgo Mezzanone a Foggia, di Restinco a Brindisi, del centro Don Tonino Bello a Otranto ecc. Quei tempi bui vogliamo lasciarceli alle spalle.
Alla luce delle altre esperienze di grandi centri di accoglienza, quale impatto potrebbe avere la nuova struttura sul rapporto fra migranti e comunità locale?
Tutte le grandi strutture pongono sempre dei problemi di relazione fra le comunità locali e i migranti, generano paure ingiustificate ed incomprensioni nelle comunità che vivono nei pressi di questi luoghi e, soprattutto, se i tempi di permanenza si protraggono, si produce nelle persone ospitate nei centri un senso di angoscia e frustrazione tale da indurre a forme di depressione e alienazione. I grandi numeri non permettono una relazione rilassata fra comunità e migranti e spesso la speculazione politica che si ingenera allontana la conoscenza reciproca. Questo tipo di dinamiche si ripetono in ogni luogo dove si insediano grandi centri. In effetti si discute da tempo del superamento dei C.A.R.A. [Centri di Accoglienza per Richiedenti Asilo, ndr], ma la risposta non può essere l’apertura di centri altrettanto grandi e privi di una chiara connotazione giuridica dei luoghi e delle persone che vengono “ospitate”. Sappiamo benissimo che vi è nel paese una carenza strutturale di posti, soprattutto dopo l’aumento degli arrivi negli ultimi anni, ma questa debolezza non può essere affrontata con la riproduzione della logica dell’emergenza come avviene ormai da un ventennio. E’ arrivato il momento che il nostro paese faccia il salto di qualità e produca un unico ed efficiente sistema di accoglienza e tutela. Al momento vi sono almeno tre sistemi paralleli e potremmo dire concorrenti : i C.A.R.A. , lo SPRAR [Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati, ndr] e C.A.S. (centri di accoglienza straordinaria). La confusione e la differenza di trattamento producono poca certezza nelle persone e inefficacia nella tutela.
La politica italiana in materia di accoglienza di richiedenti asilo e rifugiati è adeguata?
E’ necessario fare una premessa. In queste ore l’Italia, l’Europa e l’Onu stanno discutendo se imporre un blocco navale alla Libia e anche se sbloccare le norme che impediscono la fornitura di armi a paesi in conflitto, per rifornire al nuovo Governo libico le armi per combattere contro i ribelli. L’obiettivo di queste trattative è di “pacificare” la Libia e limitare al massimo le partenze dalle coste libiche verso l’Europa e soprattutto verso l’Italia. Se il Governo Renzi decidesse di seguire questa strada sarebbe un disastro per due motivi: il primo perché si costringe in modo coatto i migranti a rimanere in Libia in una fase in cui il conflitto potrebbe avere ripercussioni nefaste sulle loro condizioni, sottoponendoli al rischio della vita; il secondo perché porterebbe l’Italia a schierarsi con una delle fazioni in campo coinvolgendola, de facto, in una guerra di cui non si vedono gli sbocchi politici. Detto questo, è necessario anche ricordare che i blocchi navali non hanno mai risolto il problema degli arrivi, hanno solo spostato le frontiere da cui le persone fanno ingresso, come dimostrano le esperienze del passato.
In realtà l’impianto legislativo italiano ha avuto una evoluzione positiva, in parte spinta dall’applicazione di normative europee, ma resta ancora al di sotto degli standard necessari per superare la logica dell’eterna emergenza. Inoltre in Italia vi è una pericolosa sovrapposizione fra politiche dell’asilo e politiche dell’immigrazione, che rimangono, in ogni caso, due livelli separati. Ad esempio da quando sono aumentati gli arrivi via mare, legati al diritto d’asilo, i governi italiani non hanno più emanato decretoiflussi per l’ingresso di migranti per lavoro: ciò significa che si sono messi i richiedenti asilo e i rifugiati impropriamente al lavoro. Questo sta producendo una sistematica stortura del sistema, i cui effetti saranno visibili solo sul lungo periodo.
Una politica di accoglienza efficace su cosa dovrebbe basarsi?
La risposta possibile è quella di costruire l’accoglienza diffusa, unico strumento che consente una reciproca conoscenza fra persone e comunità locali e agevola la tutela dei soggetti vulnerabili. I 400 comuni che hanno aderito al sistema dello Sprar sono testimoni attendibili di qual è la via maestra da seguire nel sistema di accoglienza: sono, infatti, quasi nulli i casi di conflitto con la popolazione locale o di mancata tutela delle persone prese in accoglienza nei comuni dove questo tipo di servizio è attivo.