Il Castello Aragonese di Taranto è diventato negli ultimi tempi uno dei monumenti più visitati della Puglia; centinaia di migliaia di turisti visitano ogni anno la fortezza tarantina, dove la Marina Militare, che ne detiene il possesso dalla fine del XIX secolo, fornisce i propri sottoufficiali come guide, coordinati dall’ammiraglio di squadra Francesco Ricci, curatore del Castello per conto della stessa forza armata marittima.
La costruzione del Castello, posizionato nell’angolo sud orientale dell’isola della Città Vecchia, fu voluta dal re di Napoli Ferdinando d’Aragona per potenziare le difese nell’area soprattutto pugliese, dato il pericolo costante di un’invasione turca; la sua progettazione venne affidata al grande architetto senese Francesco di Giorgio Martini. L’edificio è formato da cinque torri circolari: San Cristoforo, San Lorenzo, Sant’Angelo, Bandiera e Annunziata. La torre di Sant’Angelo, in principio, apparteneva alle difese, costruite con i fondi della città e dei cittadini, che cingevano l’attuale isola; ma, su ordine del re Ferdinando, il castellano Matteo Crispano la unì alla torre di San Lorenzo tramite un muro, ancor oggi conosciuto come il “muro di Crispano”, suscitando le ire della popolazione.
Sul lato del Mar Grande, l’architetto senese aggiunse una struttura difensiva triangolare chiamata impropriamente “rivellino”. I torrioni e le mura hanno la stessa altezza di 21 metri sul livello del mare e quasi lo stesso spessore: 8 m circa per le mura e oltre 7 m per le torri. Durante i lavori, gli aragonesi allargarono il fossato portandolo a 25 m di larghezza, separando maggiormente le sponde delle attuali Città Vecchia e Borgo nuovo. Le difese del castello sono formate da casematte, cannoniere, camminamenti, feritoie e caditoie per la difesa piombante.
Passato in mano agli spagnoli nel 1502, essi ne completarono definitivamente la costruzione con maggiori fortificazioni: furono realizzati ampi locali con volta a botte nei pressi della cortina muraria; le casematte superiori delle torri vennnero terrapienate per farne piazzole sommitali per i cannoni; infine, anche il fossato fu ampliato arrivando ad una larghezza di 63 m. La fortezza tarantina poteva ospitare fino a 4000 soldati e, con l’armamento di 36 pezzi di artiglieria e con ottimi rifornimenti di viveri e munizioni, era praticamente inespugnabile. Il fallimento dell’attacco turco da parte della flotta, comandata dall’ammiraglio Cicala, nel 1594 e della ribellione di Giovan Donato Altamura nel 1648 sono la prova dell’efficacia difensiva del Castello Aragonese.
Nel corso dei secoli, il castello divenne tuttavia obsoleto, inefficace contro i più moderni armamenti. Fu pertanto convertito a caserma e prigione, come testimonia la prigionia del generale Alexandre Dumas nel 1799. Con l’unità d’Italia la fortezza passò sotto il controllo della Marina Militare. Nel 1883 la torre di Sant’Angelo fu abbattuta per far spazio alla costruzione del Ponte Girevole, mentre la torre di San Lorenzo venne completamente modificata per accogliere gli ingranaggi di apertura del braccio del ponte tramite un sistema di movimentazione idraulica, rifornito d’acqua da una grande cisterna posizionata sulla sommità del torrione.
Nell’ultimo decennio la Marina Militare, con la supervisione delle soprintendenze dei Beni Archeologici e Architettonici, si sta adoperando nel restauro degli ambienti esterni ed interni, soprattutto nello stonacare le pareti riportando a vista le fasi originarie. Insieme ai restauri, sono stati organizzati diversi scavi archeologici in vari locali, che hanno riportato alla luce le precedenti frequentazioni dell’area. Nell’ambiente delle cosiddette “ex cucine” sono stati evidenziati i resti dell’antica cinta muraria dell’acropoli risalente alla fine del III secolo a.C., sopra la quale si appoggiano le successive opere murarie che vanno dal periodo bizantino a quello aragonese.
Gli studi archeologici all’interno del Castello Aragonese, voluti e condotti dalla soprintendenza dei Beni Archeologici con la collaborazione logistica della Marina Militare, sono stati promossi e finanziati sia dal Comune di Taranto (attraverso il progetto Urban II, e con la catalogazione dei reperti ritrovati nelle “ex Cucine” affidata alla cooperativa archeologica Ethra), sia da enti privati locali: la gestione del cantiere è stata affidata all’archeologo Federico Giletti.
Il Castello Aragonese di Taranto è risultato uno scrigno contenente le varie vicissitudini storiche susseguitesi nell’attuale Città Vecchia; esso è ammirato da turisti di tutto il mondo, ma purtroppo molto spesso viene ignorato dalla popolazione locale, che considera il Castello solo come una “base””della Marina. Ad oggi, purtroppo,gli scavi e lo studio dei reperti sono interrotti a causa della mancanza di fondi dovuta alla crisi economica che ha colpito gli enti pubblici e privati, anche se la Marina Militare continua ad operare con i lavori di restauro. Personalmente, avendo partecipato sia agli scavi sia alla catalogazione dei reperti, considero l’esperienza del Castello esemplare, non solo dal punto di vista umano e scientifico per quanto mi riguarda, ma anche sul piano del modello di gestione. L’opera di restauro infatti ha dimostrato che la collaborazione tra i diversi enti pubblici, privati e addirittura militari può funzionare. Se questo modello ha portato il Castello Aragonese a diventare, insieme al Museo Nazionale Archeologico, il fulcro della cultura storica-archeologica di Taranto, e meta importante del turismo in Puglia, credo che sarebbe utile espandere tale esperienza, promuovendo e finanziando progetti dei soli specialisti del settore culturale. Ciò consentirebbe di rilanciare l’archeologia tarantina dal punto di vista scientifico, sottraendola finalmente a beceri giochi politici ed economici.
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BIBLIOGRAFIA
AA.VV., Dal Kastron bizantino al Castello Aragonese (a cura di C. D’Angela e F. Ricci), Taranto 2006.
- RICCI, Il Castello Aragonese di Taranto, Taranto 2011.
- GILETTI, Prima del Castello: ricerche archeologiche nel Castello Aragonese di Taranto 2007-2011, Taranto 2012.