L’appello lanciato da alcune personalità della sinistra tarantina in vista delle prossime amministrative è un importante atto di generosità politica, e il suo contenuto merita la massima attenzione. In poche righe viene fatta un’analisi lucida dell’esperienza Stefàno, ritenuta dagli estensori del documento “incapace di misurarsi con un progetto per il futuro, (…) chiusa in se stessa, refrattaria al confronto, assorta nella mera gestione del presente con il corollario del mancato coinvolgimento di competenze capaci di alzarne il profilo e la stessa capacità amministrativa”.
Segue un’agenda ambiziosa, che l’appello consegna a una rinnovata coalizione di centrosinistra, da ricostruire superando le divisioni delle ultime settimane. Ed è a questo punto che emergono alcune perplessità. Il centrosinistra è la coalizione che ha governato negli ultimi cinque anni la città, nei modi e con gli esiti ben descritti nel passaggio richiamato sopra. Di più: il centrosinistra – o meglio, la sua componente maggioritaria, il PD – è stato al governo del paese negli ultimi sei anni; i suoi esponenti (compresi quelli dell’area ionica) hanno approvato i famigerati “dieci decreti” sull’Ilva. A fronte di tutto ciò, non si riscontrano “fatti nuovi” che segnalino una sincera autocritica.
Intanto segnali importanti sono giunti dai cittadini. Lo scorso quattro dicembre l’affluenza al referendum costituzionale a Taranto è stata quasi pari a quella registrata al primo turno delle amministrative del 2012. I “no” hanno prevalso col 70%. In questo dato c’è senz’altro la sonora bocciatura di una scellerata revisione costituzionale, ma c’è anche la reazione di una comunità allo stremo, e in particolare dei suoi settori più fragili. Su tutti, i giovani. In una città in cui si fa prima a contare i giovani occupati che quelli disoccupati non c’è da meravigliarsi se un’intera generazione ha votato in massa “no”.
Le prossime elezioni amministrative si giocheranno su questo punto: chi saprà dare una risposta credibile a quella massa di persone impoverita e scoraggiata avrà la meglio. Ma le risposte si trovano ascoltando le domande. Chi chiede lavoro lo fa perché qualcuno glielo ha tolto, o non gli ha dato l’opportunità di trovarlo; chi domanda cure sanitarie, assistenza sociale, istruzione, mezzi pubblici lo fa perché tutti questi servizi sono stati tagliati nel corso degli ultimi anni. Il PD e i suoi alleati sono responsabili di queste scelte. I cittadini, soprattutto i lavoratori, i giovani e i pensionati, questo non lo dimenticano.
A chi scrive non sfugge che proprio in questi giorni è in atto il riposizionamento di alcuni pezzi di ceto politico – provenienti anche dal centrosinistra – intorno a una candidatura “ispirata” dal centrodestra. Il rischio che a Palazzo di Città possano tornare gli artefici del dissesto sotto mentite spoglie è concreto. Ma se si vuole scongiurare questo pericolo l’unico campo praticabile è quello dell’alternativa. Ce lo dimostra la vicenda di una città per molti versi simile alla nostra: Napoli.
Sei anni fa, di fronte al fallimento delle giunte Iervolino, sembrava naturale che il centrodestra, dopo aver conquistato la regione Campania, dovesse espugnare anche il comune capoluogo. Quella possibilità fu scongiurata dalla coalizione che si raccolse intorno a Luigi De Magistris: una coalizione con un’anima politica variegata, e con importanti sfaccettature “civiche”. Quell’esperienza ha saputo imprimere a una città scossa dall’emergenza rifiuti e dalle guerre di mafia un impulso fortissimo, che l’ha portata ad essere una delle mete più visitate del nostro paese.
Taranto non è Napoli, e non esistono “modelli” esportabili in ogni situazione. Napoli però insegna a tutto il paese, e alla sinistra in particolare, che si vince e si cambia davvero solo se si sceglie di stare dalla parte del popolo: dei lavoratori, dei disoccupati, dei pensionati. Le alleanze si costruiscono su queste basi, includendo chi vuole portare avanti politiche realmente popolari, ed escludendo chi si è reso responsabile delle sofferenze della nostra gente.
Uno spazio per l’alternativa oggi a Taranto esiste, e dobbiamo impegnarci perché tutti coloro i quali si muovono al suo interno trovino uno sbocco comune. Vale per le candidature già emerse, e soprattutto per i tanti che ancora non hanno trovato una “casa”. Ecco, costruire una “casa comune” accogliente per tutti quelli che vogliono una Taranto diversa e migliore: questo deve essere il nostro compito nelle prossime settimane. Se ci riusciremo, avremo dato alla nostra città quell’opportunità di riscatto che attende da troppo tempo.