Oltre 11.000 persone chiamate al voto, praticamente una piccola città; 9500 le maestranze che hanno votato, con un affluenza altissima, che sfiora l’86%; 5 i sindacati che hanno presentato liste in almeno un collegio (Uilm-Uil, Fim-Cisl, Fiom-Cgil, Usb, Fismic-Confsal); più di 450 i lavoratori candidati. Sono i numeri delle elezioni per eleggere la nuova Rsu (rappresentanza sindacale unitaria) nella fabbrica più grande d’Italia, l’Ilva di Taranto.
Molte le novità rispetto alle precedenti consultazioni a partire dalle modifiche regolamentari introdotte dal testo unico sulla rappresentanza del 2014 (testo definitivo e attuativo delle precedenti intese: l’accordo interconfederale del 2011 e il protocollo d’intesa del 2013), che ha modificato le regole dell’accordo interconfederale del 1993.
Il nuovo accordo, oltre a sancire l’abbassamento del numero delle Rsu da eleggere – che in Ilva, in base al numero dei dipendenti, passa da 84 a 81 -, stabilisce l’elezione di tutti i rappresentanti con il sistema proporzionale puro, escludendo la possibilità di usufruire della quota di un terzo (previste dall’accordo interconfederale del ’93) riservata alle segreterie a prescindere dall’esito del voto. Alle scorse elezioni di queste nomine avevano beneficiato solamente Fim e Uilm (nominando rispettivamente 11 e 17 delegati; mentre Usb e Fiom – che vi rinunciò – ne rimasero esclusi), pregiudicando così l’esito del voto democratico e la volontà reale dei lavoratori. Tutto ciò nonostante un ricorso d’urgenza presentato dalla Fiom al Tribunale di Taranto, che chiedeva il ricalcolo delle Rsu elette con il sistema proporzionale puro, in base ai nuovi regolamenti; ricorso che venne respinto validando definitivamente l’esito delle elezioni.
Altre due novità, meno impattanti sull’esito del voto, sono degne di menzione: il calo dei dipendenti, passati dagli 11.396 del 2013 agli attuali 11.068; e l’introduzione di un ottavo collegio, quello dei quadri-dirigenti, scorporato da quello degli impiegati, che è andato ad aggiungersi agli altri sette (impiegati, area ghisa, area acciaierie, area laminazione, area servizi, area officine, area tubifici), e nel quale solo la Fim e la Uilm hanno presentato liste di candidati (il delegato dei quadri risulta eletto nelle liste della Fim).
Con queste novità sostanziali è difficile analizzare le intenzioni dei lavoratori e la salute della rappresentanza delle varie organizzazioni sindacali; lo si potrà fare più facilmente alla prossima tornata elettorale, a parità di regole. In ogni caso l’esito del voto qualcosa ce la dice: chi ha vinto, chi ha perso? Cosa chiedono i lavoratori? C’è davvero una spaccatura tra operai e sindacati? Vediamo di capirci qualcosa.
Il primo dato importante è l’affluenza, che passa dall’83% del 2013 all’86%, con un maggior numero di lavoratori recatosi alle urne nonostante il calo dei dipendenti totali.
La Uilm (41%) rimane il primo sindacato, aumentando il suo consenso in termini di voti (+3%) rispetto alle scorse elezioni, pur perdendo un numero considerevole di delegati – non potendo più usufruire, cosi come la Fim, dell’un terzo di nomine -, che passano da 40 a 34 (di cui 27 tra gli operai; 7 tra gli impiegati).
Stesso discorso per la Fim (27%), che rimane stabilmente il secondo sindacato, aumentando il numero di voti (+3%) ma perdendo qualche Rsu, che passano da 25 a 23 (17 operai; 5 impiegati; 1 quadro).
In calo, piuttosto vistoso, è l’Usb (16%) che perde più di tutti in termini di voti, registrando un -4% rispetto alle precedente tornata – che l’aveva vista protagonista di un risultato straordinario -; scavalcata dalla Fiom nei collegi operai, rimane la terza forza solamente grazie al voto del collegio impiegati, dove vede raddoppiare il suo consenso; guadagna, rispetto a tre anni fa, un delegato, passando da 11 a 12 Rsu (di cui 8 operai; 4 impiegati).
Sostanzialmente stabile la Fiom (14%), che perde una manciata di voti e un punto percentuale; scavalca l’Usb nel voto dei soli operai, rimanendo ultima organizzazione soprattutto perché perde il confronto con l’Usb tra gli impiegati. La Fiom risulta però l’ organizzazione che più di tutti aumenta il numero di delegati, che passano da 7 della scorsa consultazione a 12 (di cui 10 operai e due impiegati).
La Fismic-Confsal perde quasi del tutto i suoi voti non eleggendo nessun rappresentante – così come tre anni fa-, avendo presentato liste solo in alcuni collegi.
La Flmu-Cub, che tre anni fa aveva eletto un delegato, non partecipa alla consultazione elettorale.
In un sistema democratico ripristinato, senza quote da nominare, dove ogni voto vale uno, vincono Fim e Uilm (che però da oggi dovranno fare a meno di delegati nominati, che gli hanno permesso di raggiungere un così ampio radicamento all’interno della fabbrica); la Fiom si rimette prepotentemente in carreggiata e da oggi potrà tornare a misurarsi alla pari e per quello che vale; stesso discorso per l’Usb che, orfana del fattore novità, dovrà misurarsi in un clima di maggiore stabilità sindacale.
Questi i numeri, e ognuno come sempre potrà leggerci ciò che vuole. Chiunque vorrà interessarsi di Ilva e dei suoi lavoratori dovrà tener conto di questi dati. In ogni caso alcune considerazioni rimangono ineludibili.
L’affluenza, prima di tutto: un dato inequivocabile, una netta volontà di partecipazione, in crescita sia tra gli operai che tra gli impiegati, al di là delle preferenze espresse. Il futuro incerto, le tante insidie e insicurezze che attraversano e che attraverseranno le vicende della fabbrica hanno, di sicuro, avuto un ruolo fondamentale nella decisione dei lavoratori di recarsi in massa alle urne e esprimere una preferenza. Anche l’antisindacalismo più becero, il “sono tutti uguali”, molto in voga di questi tempi, sembra inchinarsi di fronte all’esito dell’affluenza, che conferma, invece, le ragioni opposte: i sindacati esistono, non sono tutti uguali, e rimangono l’unico strumento in mano ai lavoratori, pur in un periodo di difficoltà enorme e di sfiducia generale. È un dato di sicuro incoraggiante e su cui riflettere. In un paese in crisi, anche democratica, esistono ancora dei luoghi – pochi per la verità-, le fabbriche appunto, dove rappresentanti e rappresentati vivono ancora in stretto contatto e condividono lo stesso destino, molto più e molto meglio di quello che succede, ad esempio, nella politica.
Dalla pancia della fabbrica e dalla testa degli operai arrivano indicazioni chiare: tutela della salute, dell’ambiente e dell’occupazione – obbiettivi inscindibili -; difesa della fabbrica e del salario; maggiore sicurezza. Bocciatura sonora invece per chi, dentro ma soprattutto fuori la fabbrica, ha giocato a sfasciare; per chi propone soluzioni facili a enunciarsi ma che poi nessuno è capace di attuare concretamente.
Cosa ne esce fuori? Di certo, non una fabbrica ribelle; una fabbrica che non vuole improvvisarsi rivoluzionaria, perché non lo è mai stata e perché, pur volendo, sa di non esserne ancora capace. Una fabbrica distratta, spoliticizzata, ancora un po’ passiva, ancora troppo legata ad argomenti e interessi particolari, ancora clientelare e poco consapevole; non del tutto matura; talvolta egoista, talvolta generosa; una fabbrica del tutto simile alla società che caratterizza i nostri tempi. Insomma, molta confusione, poche idee , poche certezze; tra queste: lavoro, salute e ambiente.
Il voto si posiziona confuso e incoerente, tante le sfaccettature: si vota per principio e per ideologia, per stima e per rapporti personali, per clientela e per interessi particolari . Tutto si intreccia, lasciando emergere contraddizioni difficili da spiegare: simpatizzanti grillini che votano per la Uilm e rivoluzionari operaisti che invocano la chiusura della fabbrica.
I lavoratori hanno detto la loro. In maniera diversa rispetto ai tempi dei Riva ma, per ora, con la stessa identica bandiera a primeggiare. Allora, ai tempi dei Riva, gli iscritti al sindacato erano di meno e nell’ultimo periodo si era stretti tra chi, per difendere il posto di lavoro, era pronto a contestare anche le scelte della magistratura e a difendere i Riva e chi, per proteggere la salute dei cittadini, sarebbe stato pronto a provocare un esercito di disoccupati. Oggi le cose sembrano un po’ cambiate: c’è una maggiore consapevolezza, una maggiore riflessione.
Dentro, e in mezzo a tutto questo, c’erano e ci sono loro, i lavoratori: chi si preoccupa della salute e dell’ambiente; chi si preoccupa del salario e della sopravvivenza della fabbrica; chi si preoccupa della produzione; chi ricerca un equilibrio difficile ma ancora possibile; in generale tutti intimoriti da un futuro incerto e instabile. Tutti però, allo stesso tempo, accomunati da un unica richiesta. Alla domanda: “tu cosa vorresti?” la risposta resta, per la stragrande maggioranza, sempre la stessa: lavoro, salute, ambiente! E forse è questo l’unico vero urlo che esce dalle consultazioni nella grande fabbrica. Nelle elezioni per i rappresentanti di fabbrica più importanti degli ultimi anni, nell’industria a maggiore concentrazione operaia d’italia.
Nonostante ogni santo giorno, tutti, ognuno a modo proprio e non sempre con nobili finalità, parlano di Ilva, queste consultazioni sembrano essere passate, paradossalmente, quasi inosservate. In pochi ne hanno parlato, quasi nessuno ne ha azzardato una lettura. Un chiaro sintomo di come ancora in molti, e per ragioni diverse, continuano ostinatamente a non voler ascoltare il parere di chi nell’Ilva ci lavora. A non voler ascoltare quell’urlo, pacato e quasi sommesso, con il quale invece tutti, prima o poi, dovranno fare i conti.