Con questo articolo inauguriamo una serie di pubblicazioni su Europa ed Euro pensata per dare ai nostri lettori un’informazione di base in vista delle elezioni europee del 25 maggio. Vi proporremo approfondimenti sulle questioni economiche e sugli orientamenti politici delle forze in campo a livello comunitario.
Secondo la vulgata comune la crisi europea è in buona parte ascrivibile alla cattiva gestione della spesa pubblica e del debito di alcuni paesi spendaccioni (i P.I.I.G.S.), che hanno vissuto per anni al di sopra delle proprie possibilità; ‹‹affrontiamo un frangente storico epocale – ci dicono i burocrati di Bruxelles – che potrà essere superato solo dopo che questi paesi avranno portato a termine le necessarie riforme strutturali e solo dopo che i debiti pubblici saranno stati ridotti con il rigore contabile››. Il corollario che discende da questa premessa consiste nelle “politiche di austerità” prima annunciate al Governo Berlusconi nell’agosto del 2011, poi richieste con una vera e propria lista delle cose da fare in Italia redatta dalla Commissione Europea e inoltrata al nuovo Governo italiano nel Novembre del 2011.
Rileggendo a distanza di 2 anni questi diktat, giustitificati dal nuovo assetto istituzionale europeo al quale abbiamo deciso di aderire, si resta sbalorditi: i nostri governi hanno obbedito diligentemente a molte richieste, dalla riduzione del Welfare alla privatizzazione di servizi pubblici essenziali, alla precarizzazione del mercato del lavoro, alla più dura e strutturale riforma delle pensioni che il mondo occidentale ricordi. “Meno Stato più mercato”, è la parola d’ordine. Particolarmente agghiaccianti sono i passaggi delle missive in cui la Troika (BCE, Commissione Europea, Fondo Monetario Internazionale) chiedeva di ‹‹ritagliare i salari e le condizioni del lavoro alle esigenze specifiche delle aziende›› (leggi moderazione salariale) oppure, vista la gravità della situzione italiana, “un’appropriata riforma costituzionale” [in senso presidenziale, semplificando i normali processi democratici di un paese civile; ndr]. Il punto 35 delle richieste di Novembre chiese apertamente al governo di privatizzare il servizio di fornitura e gestione dell’acqua nonostante 27 milioni di italiani si fossero espressi in senso contrario con il Referendum del Giugno 2011.
Ammettiamo pure che l’Italia sia un paese spendaccione e che siano necessarie riduzioni di spesa pubblica e quindi di debito pubblico per recuperare la fiducia dei mercati (a mio parere sono i mercati che dovrebbero recuperare la fiducia dei cittadini con importanti riforme radicali del sistema finanziario, ma lasciamo perdere per ora…). Se la tesi è che l’austerità, una volta esplicati i suoi effetti, permetta la ripresa (austerità espansiva) è bene ricordare che l’Italia, molto prima di altri paesi, si è sottoposta alla cura varando tre manovre economiche in un anno più il Decreto Salva Italia di Monti (costo immediato 80 miliardi di euro in pochi anni) e recependo il Patto di Stabilità e Crescita Europeo attraverso decreti legge e leggi votate da tutta la maggioranza (giovani turchi del PD e Civati incluso) e parte delle opposizioni; queste leggi hanno introdotto anche nel nostro paese quel pacchetto di prescrizioni contabili europee chiamato six pack (poi implementato con il dual pack). Come ricorda Rodotà in un bellissimo articolo pubblicato su Repubblica, nel silenzio generale l’Italia ha introdotto il pareggio di bilancio in Costituzione privandosi del controllo delle proprie finanze pubbliche, cioè dell’unico strumento per attuare tutte quelle politiche necessarie a garantire pensioni, welfare e sanità pubblica secondo le modalità che un popolo decide democraticamente, quindi privandosi di ciò che rende una Repubblica degna di essere chiamata “Stato di diritto”.
Insomma, il voto del Parlamento e le leggi del Governo ci hanno condannato ad adeguarci a queste politiche di austerità che trovano la propria legittimazione ‘scientifica’ attraverso due principi liberisti (le ipotesi), facilmente criticabili (ma non in questa sede):
1) La riduzione della spesa pubblica accresce i consumi. La riduzione della spesa pubblica pone i consumatori nella condizione di non essere costretti a risparmiare per far fronte al pagamento delle imposte necessarie a coprirla.
2) La riduzione della spesa pubblica accresce gli investimenti privati. Secondo la teoria liberista succede perché la spesa pubblica ‘spiazza’ la spesa privata, sia perché sottrae quote di mercato agli operatori privati (il che accade soprattutto se lo Stato interviene mediante la produzione diretta di beni e servizi), sia perché l’aumento della spesa pubblica accresce i tassi di interesse e, per conseguenza, riduce gli investimenti privati. E, poiché per la teoria liberista l’operatore privato è più efficiente dell’operatore pubblico, se l’“interferenza” pubblica in economia è ridotta all’osso l’efficienza produttiva del sistema è massima. In quest’ottica il Governo ha il compito di eclissarsi.
Grecia, Irlanda, Spagna, Portogallo ed Italia si sono sottoposti alle amorevoli cure della Troika da qualche anno. Sulle premesse dogmatiche dell’austerità espansiva, il Fondo Monetario Internazionale e la Commissione Europea hanno formulato una serie di previsioni di ripresa dei PIL dei paesi sottoposti alla cura di taglio di spesa pubblica e di riforme strutturali. Vediamo come è andata.
Prodotto Interno Lordo
|
Variazione percentuale 2008-2013 |
Italia |
– 7,05 |
Spagna |
– 6,41 |
Portogallo |
– 7,86 |
Irlanda |
– 2,93 |
Grecia |
– 23,15 |
Fonte: Commissione Europea 2013
PIL ITALIA |
Prev. un anno prima |
Effettivo |
2011 |
+ 1,4 |
+ 0,4 |
2012 |
+1,3 |
– 2,4 |
2013 |
+ 0,4 |
– 1,8 |
PIL GRECIA |
Prev. un anno prima |
Effettivo |
2011 |
– 0,5 |
– 7,1 |
2012 |
+ 1,1 |
-6,5 |
2013 |
+0 |
-4,2 |
Fonte: Commissione Europea 2013
La Grecia, che è con l’Irlanda il primo paese dell’area Euro ad essere stato sottoposto ai programmi di austerità pubblica in cambio di aiuti, ha cancellato completamente lo Stato sociale e il sistema sanitario, è tornata ad un sistema economico preindustriale e ai malati di cancro non sono garantiti i costosi medicinali necessari. Chissà se il Prof. Monti pensa ancora, come affermato sull’Infedele il 26 Settembre 2011, che la ‹‹Grecia rappresenta il grande successo dell’Euro›: è la convinzione (tutta neoclassica e liberista) che nel breve periodo siano necessari un po’ di sacrifici che vedranno maturare i frutti nel lungo periodo. Il problema è che il breve periodo sta durando un po’ troppo e la discrepanza tra previsioni e realtà è agghiacciante, tanto da far affermare all’economista Emiliano Brancaccio – uno di quelli che aveva previsto da anni la realtà dei fatti –: ‹‹un ubriacone, con una passeggiata casuale tra i numeri, non avrebbe commesso un errore di previsione così grande; ciò non significa che gli economisti della Commissione Europea siano particolarmente ubriachi: significa che l’errore di previsione è determinato da un obiettivo pregiudiziale››. Di questo obiettivo si parlerà prossimamente.
N.B. Le tabelle pubblicate in questo articolo sono state presentate dal Prof. Emiliano Brancaccio in data 16/12/2013 al seminario sull’Euro organizzato dal M5S presso il Palazzo dei Gruppi (Camera dei Deputati) .