Il museo è un’istituzione permanente senza scopo di lucro, al servizio della società e del suo sviluppo, aperta al pubblico, che effettua ricerche sulle testimonianze materiali e immateriali dell’uomo e del suo ambiente, le acquisisce, le conserva, le comunica e specificamente le espone per scopi di studio, educazione e diletto.
C’è un’avanguardia in Europa che fa talmente paura da essere lasciata a se stessa, alla sua incredibile visione di un futuro “possibile”; è un piccolo Stato circondato dal mare e strozzato dalle politiche di austerità imposte dall’Unione Europea, alle quali reagisce con coraggio, attraverso le alleanze che non ti aspetti e gli investimenti che, oggi come oggi, ti aspetti ancora meno. Sì, perchè la veneranda, piccola Grecia, culla della civiltà occidentale, ha deciso di salvare il proprio popolo investendo anche in cultura.
È così che l’Autorità Portuale ha presentato, per riqualificare culturalmente il silos del Pireo, il bacino portuale a poca distanza da Atene, un progetto di un polo museale comprendente un Museo delle Antichità Sottomarine, uno della storia del Pireo e uno dell’Immigrazione (i rendering, qui): qualcosa di straordinario e decisamente in controtendenza rispetto ad altri paesi, l’Italia su tutti, dove i musei, anziché aprire, vengono chiusi o, ciecamente, messi nelle mani dei volontari di turno e il patrimonio – che non si è in grado di proteggere – restaurato attraverso la questua.
L’Italia: il paese dove sappiamo bene come vengano considerati i ricercatori, sempre più spesso gentilmente invitati a mettere le tende in qualche altro posto del mondo; dove si ritiene la cultura qualcosa da cui “mangiare” e non una leva di crescita; dove il turismo, sempre più considerato come il mezzo più semplice per spolpare i visitatori anziché intrattenerli piacevolmente, rischia di sostituirsi al concetto stesso di cultura. Una visione distorta che, invece, la Grecia tenta di superare e incanalare, nuovamente, sul giusto binario. Già, perché uno degli intenti del nuovo polo museale greco è proprio quello di permettere ai visitatori che hanno affrontato il lungo viaggio, o che devono aspettare magari ore per imbarcarsi, di essere, ancora una volta, accolti in una struttura culturale, traendone il giusto arricchimento.
Nessun petrolio, nessun turismo insostenibile. Anzi. Una concezione purtroppo estranea al Bel Paese – bello non si sa ancora per quanto – dove le idee più geniali, limitandoci all’ultim’ora, spaziano dalla ricostruzione dell’Arena nel Colosseo alla cervellotica “Biblioteca Nazionale dell’inedito” (se i libri restano inediti una ragione ci sarà!). Per non parlare del disastro Expo, dove a illustrare la mostra ci si è trovato addirittura Oscar Farinetti. Indigeribile! Se si fosse avuto un granello della lungimiranza greca, si sarebbe guardato all’Expo come un’occasione unica per far conoscere tutto il territorio nazionale puntando proprio sulla valorizzazione del patrimonio. Non, come è stato fatto, trasportando i capolavori come fossero elementi d’arredo, ma mettendo in rete le città attraverso itinerari tematici che avrebbero dovuto godere di particolari convenzioni con sistemi di trasporto e alberghieri. Un itinerario ben congegnato attraverso una sinergia di studiosi, ricercatori e operatori del turismo – e non i soliti dilettanti allo sbaraglio – avrebbe permesso, ad esempio, al bacino dello Jonio di diventare una meta interessante attraverso una rete di siti archeologici che dal tacco di Puglia, risalendo la costa e lambendo la Basilicata con Metaponto e la calabra Sibari, avrebbero portato sino a Reggio Calabria dove, a chiudere il percorso nella Magna Grecia, ci sarebbero stati i Bronzi di Riace: un progetto che avrebbe potuto veicolare investimenti in cultura verso il Meridione. Ma si è preferito fare una battaglia – e, fortunatamente, perderla – per far arrivare i Bronzi a Milano, utili al diletto di quei pochi che pagano, caro, l’ingresso all’Esposizione Universale, assieme all’accozzaglia di opere – anche molto importanti ma decisamente fuori contesto, questo sconosciuto! – in bella vista nel Padiglione di Eataly sotto la cura di Vittorio Sgarbi sotto il titolo di “Il Tesoro d’Italia”, e alla quale si è voluto concedere l’appellativo di “mostra”; o permettere una mostra come “Arts&Food” alla Triennale di Milano, curata da Germano Celant (cachet: 750.000 euro, da dividere con il team), costata 6 milioni di euro. Un gran rumore di cifre da capogiro e feticci pregiati messi lì, come esche utili al funzionamento della scricchiolante macchina Expo, che non fa che confondere le idee sui concetti di cultura e turismo.
Specchietti per le allodole come i tanti ai quali, anche qui a Taranto, siamo abituati: marchi appiccicati su contenitori vuoti, convinti di poter esistere per se stessi, perché il contenuto è opzionale se hai un brand che funge da amo per turisti considerati incapaci di intendere dove è il caso di fermarsi perché c’è qualcosa da vedere e dove no!
Intanto, mentre il porto sembra destinato a restare inattivo per la liquidazione della Taranto Container Terminal, si continua a recitare il mantra del rilancio dell’area senza che nessuno sia in grado di proporre soluzioni concrete; per non parlare della saga dei parcheggi, una trovata adatta a tutte le stagioni ed emergenze (alcune critiche, qui): da ultimo, proprio quella turistica!
Ad Atene, invece, ci hanno pensato bene: là, dove il turista si imbarca, il semplice viaggiatore sosta sempre nella stessa maniera, il cittadino greco lavora al porto – oppure non ci lavora ma non ha mai avuto ragione di frequentare il silos del Pireo -, sorgerà un polo museale di avanguardia. Polo attrattivo e di valore per il turista ma, soprattutto, riqualificazione di un’area per il cittadino, per la sua storia così come emerge dagli abissi, perché il popolo greco possa, attraverso la cultura, sentirsi ancora di più “comunità”.
E, magari, insegnarci come si fa…
StecaS