I fatti. Il 30 Giugno 2015 scade il contratto “in deroga” di Teleperformance, multinazionale operante nel settore dei servizi: in quella data verrà meno la deroga contrattuale concessa dai lavoratori all’azienda in materia di tagli a stipendi, scatti, contributi e concessioni sugli orari di lavoro che hanno permesso a questa azienda, dal gennaio 2013 finora, di difendersi bene nella guerra delle commesse al massimo ribasso senza alcun limite di riduzione di prezzo – sì, perché a Taranto i lavoratori hanno siglato un accordo sindacale con cui hanno “aiutato” l’azienda a fare lauti utili pur di restare tutti uniti e continuare a lavorare (l’unità del “lavoro” è un valore, ricordava sabato scorso il Segretario CGIL, Giuseppe Massafra). Dal 30 giugno, appunto, Teleperformance dovrà ripristinare il vecchio Contratto Collettivo Nazionale facendo registrare un immediato aumento di costo di lavoro per unità di prodotto (il famigerato CLUP salirà del 12%), che la porterà automaticamente fuori mercato rispetto ai competitors esteri e a quelli “abusivi” italiani; quindi, come annunciato, dovrà licenziare.
Tutto come previsto, del resto: a due mesi dalla conferenza stampa indetta da Andrea Lumino (SLC-CGIL) e Giuseppe Massafra per accendere in anticipo un faro sui probabili disastrosi sviluppi lavorativi futuri, il “caso” Teleperformance Taranto è ancora tutto da decifrare e, per quanto mi riguarda e alla luce di quanto si dirà, molto lontano dall’essere risolto.
Ma qual è il problema di Teleperformance e dei tanti altri call- center con sede in Italia ai quali si applica un (finora) dignitoso Contratto Collettivo Nazionale?
Lo stesso, Lumino, nell’intervista di un paio di mesi fa, ci spiega benissimo:
I grandi committenti pubblici e privati – [Eni, Telecom, Enel, Poste Italiane, ndr] – commissionano appalti al massimo ribasso: in pratica i call center si aggiudicano gare di appalto chiedendo meno soldi per la commessa offerta dal committente; tutto ciò sarebbe normale, ma se esiste un vuoto normativo, come in Italia, è possibile che call center pirata vincano commesse sfruttando il vantaggio competitivo garantito dall’utilizzo di lavoratori sottopagati e trattati come schiavi in sottoscala bui lontani da sguardi indiscreti in violazione del CCNL. In mancanza del recepimento della direttiva Europea 2001/23/CE – la quale sancisce che gli appalti possono essere assegnati solo nel rispetto del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro – arriviamo all’assurdo che i contratti collettivi nazionali sono bypassati da commesse al massimo ribasso offerte da Poste Italiane – una commessa del 2008 fu sospesa dall’anti-trust per eccesso di ribasso – o dal Comune di Roma. Insomma si arriva al paradosso che il Governo incentiva multinazionali e call center abusivi a scatenare un barbaro dumping salariale tra lavoratori con CCNL e lavoratori senza; e lo fa in due modi: non recependo la famosa direttiva e attraverso commesse di Stato. Il costo del lavoro ed il costo della sicurezza andrebbero scorporati dall’aggiudicazione dell’appalto. E, siccome non c’è limite al peggio, succede che aziende anche titolate aprano al Sud sfruttando gli incentivi triennali della legge 407/90, si creino un portafoglio clienti e poi, quando i contributi finiscono, chiudano per aprire 50 metri a fianco con altro nome e stessi lavoratori a salario ridotto, nella completa mancanza di controlli. Nel frattempo lo Stato ha pagato con incentivi e detrazioni, poi con Cassa Integrazione e Mobilità. Ed è semplicemente indegno che la grande committenza sfrutti a proprio vantaggio questa situazione”.
Quindi qui c’è uno Stato che incentiva multinazionali del settore per restare sul mercato e fare utili in due modi diversi: con i soliti contributi e/o sgravi fiscali a fondo perduto e promuovendo la lotta tra poveri (non recepisce una direttiva europea vecchia di 15 anni), tanto da costringere i sindacati ad accordi in deroga che abbassino temporaneamente il costo del lavoro.
Le dichiarazioni di politici ed istituzioni locali. Sabato scorso, 7 marzo, i sindacati provinciali hanno fatto le cose per bene: hanno indetto un’assemblea invitando parlamentari, rappresentanti politici e istituzionali locali a “mettere la faccia” sulle giuste rivendicazioni dei lavoratori, riassunte in un documento sottoscritto poi unitariamente dai politici intervenuti.
Una presa di coscienza, insomma, che possa domani fornire la prova di un impegno sindacale sul tema – del resto mai venuto meno a Taranto nella gestione sindacale di TP – , e una richiesta di aiuto da parte di Lumino & Co, a testimonianza della complessità del momento.
La Consigliera Regionale PD, Annarita Lemma, e il Consigliere Comunale, Dante Capriulo (nel Gruppo noi “Democratici per la città che vogliamo”), non hanno mancato di evidenziare l’assenza dei parlamentari della Provincia di Taranto, quelli che, essendo TP un problema almeno nazionale, avrebbero rischiato parecchio nel prendere impegni politici in un’assemblea del genere; Annarita Lemma inoltre, si è impegnata a farsi promotrice di un documento che rappresenti le istanza dei lavoratori di Teleperformance al Consiglio Regionale, affinché la pressione esercitata a livello governativo sulla vicenda aumenti; e ha aggiunto “se mi chiedete cosa penso del Jobs Act, non ne condivido lo spirito per diversi aspetti che credo non determinino nel nostro paese le soluzioni che il mondo di lavoro si attendeva di ricevere. Detto questo dobbiamo ragionare con una legge che c’è”; Dante Capriulo ha aggiunto “è inutile prendere impegni general generici: in Consiglio Provinciale mi attiverò affinché i controlli sui call-center pirata siano più stringenti. E’ necessario esigere l’estensione del contratto del settore delle telecomunicazioni anche a quelli che lavorano nel sottoscala”.
Gianpaolo Vietri, consigliere comunale in quota Forza Italia, ha affermato che una delibera assembleare del Consiglio comunale richiedente l’applicazione delle direttive europee attinenti Tp è già stata inviata al Ministero competente e ha consigliato ai lavoratori di fare squadra con altre realtà dei call center in crisi (Almaviva ed Infocontact), invitando infine di “chiedere all’azienda se ha intenzione di rimanere a Taranto”.
Ludovico Vico, il parlamentare in pectore che “ la norma sulla delocalizzazione porta il mio nome” (ipse dixit), ha consegnato il proprio pensiero a un lapidario: “le pressioni in atto sul Ministero del Lavoro sono in atto; per il resto avete la mia mail”. Il consigliere comunale Cotugno (PD) ha ricordato: “qualcuno dei committenti deve pagare cambiali a questa città e deve rispettare i contratti di lavoro e i lavoratori di questa città. Tp è la seconda fabbrica di Taranto e ha una necessità specifica che è quella del territorio. Ci dispiace per gli altri ma noi dobbiamo pensare prima al nostro territorio”.
L’assessore Francesco Cosa, informato da una dipendente Tp del fatto che proprio il Comune di Taranto si avvale dei servigi di un call center con operatori esteri – è intervenuto per dire che “il Servizio riscossione del comune di Taranto si avvale dei servizi di Poste Italiane. Forse Poste Italiane ha istituito un call center da pochissimo: ci informeremo subito e porremo rimedio”. In un secondo momento l’assessore, dopo aver magnificato l’azione del Comune per risolvere altri tavoli molto complessi (indotto ILVA, autotrasportatori ILVA e operai Marcegaglia – tutti bubboni che, però, a noi risultano più purulenti che mai), ha promesso di prestare da oggi in poi attenzione sulla questione Teleperformance, e ha indicato due livelli di azione: quello locale, con controlli delle forze dell’ordine per stanare, con l’autorizzazione del Prefetto, i numerosi call-center pirata attivi proprio a Taranto e provincia e che fanno dumping salariale ai danni dei lavoratori Tp – e sui quali Lumino ci dice essere stato fatto poco; “cercheremo di inchiodare le committenze alle proprie responsabilità soprattutto in relazione alla questione legata al costo del lavoro”.
Il Consigliere comunale Gianni Liviano ha manifestato la propria vicinanza ai lavoratori e alle proprie famiglie.
Valutazioni. Teleperformance Taranto non è certo un problema “locale”; si tratta, piuttosto, della rappresentazione locale della involuzione del vero fattore centrale di ogni società che voglia definirsi civile: il lavoro, con tutto ciò che esso incarna. Dopo trent’anni di pezze a colori chiamate “premi di produttività”, “incentivi alla produzione”, contratti collettivi nazionali al ribasso, molti lavoratori cominciano a capire – non fosse altro perché oggi sono disoccupati – che si sono ridotti i margini di manovra che il capitale usa per tenere insieme crescenti profitti e salari calanti. Ad un certo punto il capitale non ha più interesse a restare (Tp ne è l’esempio plastico) perché può volare via quando e come vuole verso altri lidi meno “costosi” dopo aver succhiato tutto ciò che c’era da succhiare in presenza di leggi sul lavoro e sulle imprese che gli permettono di fare questo. Tanti lavoratori lo hanno intuito – anche alcuni sindacati – e cominciano a dare risposte unitarie a singole vertenze: ciò che anche ieri Lumino ha chiesto insieme con Pezzuto, il Segretario Provinciale di rifondazione Comunista, unico politico presente a non sedere su una seggiola istituzionale da conservare. Chi fa politica sedendo su una seggiola non istituzionale, dunque, è certamente più libero di dire come stanno le cose e di agire di conseguenza e può farlo a livello locale e nazionale, evitando quel corto circuito tra parole professate davanti ad una platea di lavoratori giustamente preoccupati ed azioni “necessitate” dalla casacca indossata, la casacca di partiti che, a livello nazionale, hanno scientemente e progressivamente disarmato le difese degli stessi lavoratori incontrati Sabato.
Sabato molti politici locali si sono detti contrari al Jobs Act. Ma lo è anche Michele Emiliano, il futuro Presidente Regionale PD, renziano di ferro? Me lo chiedo perché Lemma e Liviano (aiutato nella sua corsa da Capriulo) sono candidati al Consiglio Regionale in quota PD e Liviano ospita spesso il patron barese a Taranto. Si intuisce bene, allora, perché “a livello locale possiamo fare poco e lo faremo” ma, come dice Capriulo, è meglio non fare ragionamenti “general-generici”: se si facessero bisognerebbe spiegare come si fa a sostenere una convinta azione locale a favore del lavoro se a livello nazionale il partito di riferimento ha messo non il coltello dalla parte del manico ma il bazooka nelle mani del datore di lavoro attraverso una deregulation che non ha precedenti nel dopoguerra. Semplicemente non si può spiegare se non giustificandosi con l’eterna lotta “dall’interno del partito”, salvo poi accodarsi al mantra del voto utile dopo l’approvazione di una scandalosa legge regionale che pone lo sbarramento per i partiti più piccoli all’8%. Neanche la Legge Scelba del 1923 aveva stabilito uno sbarramento così alto.
Una strada alternativa da percorrere per il politico locale è solleticare la pancia dei lavoratori, acuire la lotta tra poveri, ciò che Sabato ha fatto Cotugno (Pd!!Centrosinistra) affermando “Taranto prima di tutto, ci dispiace per gli altri”. E che differenza c’è tra il lavoratore Teleperformance con il licenziato della Valle Ufita, l’operaio in solidarietà di Porto Marghera e l’ex operaio chimico sardo? Nessuna, se non una: l’operatore Teleperformance era lì di fronte al politico sabato mattina, quindi a portata di “voce”.
E’ ora, invece, che i lavoratori tutti, non solo gli operatori di Teleperfomance, prendano conoscenza dei “grandi sistemi” – comprensibilissimi per chi vuole comprenderli, del resto – che governano le attuali dinamiche economiche e sociali: potrebbero capire, per esempio, che al di là della “clausola sociale” – invocata dall’Assessore Cosa in merito agli operatori di call center “italiani” (quindi regolari) di cui Poste Italiane dovrebbe avvalersi per continuare ad avere il Servizio Comunale di riscossione imposte – proprio in questi giorni Poste Italiane si rivolge ai propri utenti in questi termini: “il nostro piano industriale contiene solo provvedimenti legittimi e non ci sarà alcun peggioramento del servizio. Lo adegueremo all’effettiva domanda dei territori, garantendo sempre efficienza e capillarità”; il tutto senza precisare che Poste (cioè lo Stato) si avvia a “ristrutturare” il proprio personale addetto alle consegne: ringraziano i servizi privati di posta creati nel sottoscala con “dumping” salariale.