C’è un dato, fra i tanti emersi dalle ultime elezioni regionali in Puglia, sul quale in pochi si sono soffermati fino a questo momento: la debacle della Sinistra. Basta dare un’occhiata ai numeri per rendersi conto del ridimensionamento subito dalle forze che si collocano alla sinistra del Partito Democratico. Nel 2010 la somma delle percentuali di SEL, Puglia per Vendola (PpV), Rifondazione Comunista, Comunisti Italiani e Verdi (questi ultimi tre partiti si presentavano in un’unica lista) ammontava al 18% circa. Domenica scorsa “Noi a Sinistra per la Puglia” si è fermata al 6,5% (la metà della percentuale realizzata la tornata precedente dalle due forze che componevano la lista, SEL e PpV); L’Altra Puglia (Rifondazione Comunista e altri) non è andata oltre l’1%; i Comunisti Italiani hanno raccolto lo 0,6%, mentre i Verdi hanno sfiorato lo 0,4%. Totale: poco più dell’8%; dieci punti in meno rispetto al 2010. Guardando ai valori assoluti, il crollo appare ancora più netto: si è passati dai 366 mila voti circa del 2010 ai 143 mila di oggi: quasi due terzi degli elettori che nella precedente tornata avevano votato a sinistra, questa volta sono migrati altrove (o sono rimasti a casa).
Di fronte a questi risultati ci si sarebbe aspettati chiare ammissioni di sconfitta da parte dei dirigenti dei partiti interessati. Il tono delle dichiarazioni post-voto però è stato di tutt’altro segno. Ciccio Ferrara, segretario regionale di Sel, ha parlato di “ottimo risultato della lista Noi a Sinistra per la Puglia”; Dario Stefàno, senatore dello stesso partito e promotore a suo tempo dell’esperienza de “La Puglia per Vendola”, si è dichiarato soddisfatto della performance della lista. Riccardo Rossi, candidato presidente de “L’Altra Puglia”, ha giudicato il risultato della sua compagine come un “piccolo seme per la nascita di una proposta che possa rappresentare un’alternativa credibile per i pugliesi”. I coordinatori regionali dei Verdi, Simona Internò e Maurizio Parisi, riferendosi alla performance della loro lista, hanno parlato di “risultato per noi molto importante, al di là del dato numerico”.
Il lettore può giudicare da sé l’aderenza di questi commenti alla realtà dei fatti richiamata sopra. Chi scrive si limita a rilevare il diverso atteggiamento mostrato, per esempio, dal candidato presidente della lista di sinistra “Campania al lavoro”, Salvatore Vozza, che ha commentato il 2,6% raccolto domenica dalla sua formazione parlando di “una brutta sconfitta di cui mi assumo la piena responsabilità.”
I dirigenti delle forze politiche dell’area in questione faticano dunque a prendere atto di un dato fondamentale: nella regione in cui Nichi Vendola è stato eletto per due volte Presidente, in entrambi i casi spuntandola alle primarie con il candidato del Partito Democratico, la sinistra politica oggi si trova in uno stato semi-vegetativo.
Come ci si può spiegare questa difficoltà? Non è questa la sede per tentare un’analisi completa delle cause che hanno portato a tale situazione. Si può però richiamare una caratteristica fondamentale, che non riguarda solo la Sinistra pugliese, ma di cui questa è stata emblema nell’ultima tornata elettorale. Ci si riferisce alla subalternità politica e culturale nei confronti dei soggetti e dei discorsi dominanti. Questa condizione si manifesta su almeno due terreni: lo studio e la comprensione dei fenomeni reali, e l’elaborazione di una visione complessiva in grado di orientare la formulazione di soluzioni per i problemi concreti.
Due esempi tratti dallo stesso caso pugliese possono esemplificare questo stato delle cose: la questione Ilva e la più recente emergenza Xylella. Si tratta di nodi dalla cui risoluzione dipende il futuro stesso della società locale. In entrambi i casi, tuttavia, la Sinistra a tutt’oggi fatica a relazionarsi ai saperi tecnici e scientifici indispensabili per esprimere una visione lucida di temi quanto mai complessi; nelle rappresentazioni elaborate all’interno di quell’area prevale piuttosto una visione semplificata delle cose. D’altra parte, si constata l’incapacità di affrontare quei problemi in un’ottica di sistema. Le implicazioni generali dei casi concreti vengono costantemente trascurate: laddove sarebbe necessario uno sforzo di connessione fra i diversi aspetti interdipendenti della realtà, si tende invece a frammentare. Salute contro Lavoro; Operai contro Cittadini; Ricercatori contro Contadini ecc. Ciò impedisce di costruire proposte complessive e dettagliate; ci si limita quindi a ribadire lo status quo o a inseguire utopie senza mai precisare i passaggi intermedi. L’idea di “Piano”, cioè di uno strumento attraverso il quale elaborare un percorso organico di trasformazione della realtà, è vista da alcuni come un ritorno al tanto vituperato “Novecento”, da altri come un soffocamento di quello che è considerato come il motore della società: l'”iniziativa dal basso”.
Questi limiti determinano conseguenze politiche precise. In assenza di una prospettiva di sistema alternativa, il discorso dominante non ha concorrenti. Le forze politiche che lo interpretano, a loro volta dominano il quadro dei rapporti di forza; chi si colloca all’esterno di esse è pertanto costretto a scegliere fra due sole possibili opzioni: adattarsi o contrapporsi. E’ come un sistema planetario: i corpi maggiori, quelli che dominano il campo gravitazionale, attraggono e respingono quelli minori.
Ecco dunque le due tendenze prevalenti nella Sinistra pugliese (e italiana): da una parte, si continua a orbitare attorno al PD; dall’altra, si rifugge da esso. In ogni caso, ci si continua a caratterizzare esclusivamente sul piano della tattica: il rapporto col centrosinistra è il punto intorno a cui ruota in maniera ossessiva il dibattito all’interno di quell’area politica.
Questa dinamica è esasperata dalla chiusura di ogni spazio di mediazione da parte delle forze sociali dominanti. Queste ultime ormai pretendono il soddisfacimento integrale dei propri interessi, attraverso l’adozione di politiche che puntano allo smembramento dei soggetti subalterni. I tagli allo Stato sociale, il ridimensionamento delle tutele dei lavoratori, la diffusione di dinamiche d’impresa in tutti i campi della società (dalla scuola alle politiche per l’occupazione) conducono ineluttabilmente alla creazione di una massa di manodopera a basso costo, del tutto fungibile e politicamente inerte. Le forze politiche che si propongono di rappresentare gli interessi dei gruppi subalterni sono pertanto poste davanti a un aut aut: o accettano di sottomettersi a quella direzione politica, tradendo così la propria impostazione originaria, o vengono espulse dagli spazi di decisione. In ogni caso, i soggetti politici che esprimono gli interessi dei gruppi dominanti non sono più disposti ad accettare compromessi o concessioni: piuttosto preferiscono andare allo scontro, forti del potere dei loro referenti sociali. La scelta, per la Sinistra, sembra ridursi quindi alla sottomissione passiva o al rifiuto radicale.
Tale stato di cose favorisce certe tendenze presenti all’interno di questo campo, aprendo spazi a degenerazioni che ne consolidano la subalternità. La forza di attrazione del Partito Democratico alimenta in alcuni tentazioni opportunistiche, mentre la repulsione che altri le oppongono rischia di scivolare nell’isolamento settario per la mancanza di una chiara alternativa. In ogni caso, quello che emerge è il perpetuarsi della dipendenza della Sinistra dal PD. Ciò induce negli elettori la percezione della sua inutilità.
In questo contesto, sarebbe auspicabile uno sforzo che punti al superamento del quadro di forze dato. Se i gruppi dominanti mirano al dominio totale (e totalitario) della realtà, la Sinistra deve essere in grado a sua volta di immaginare un sistema sociale diverso, fondato sull’uguaglianza (e non sul privilegio), sulla solidarietà (e non sulla competizione), sui diritti (e non sui favori); e su questa base deve darsi un’organizzazione attraverso cui elaborare un suo proprio programma di governo. Tale obiettivo non è più rimandabile: la nuova legge elettorale nazionale, con il premio di maggioranza assegnato alla singola lista, pone la Sinistra davanti a un dilemma fondamentale. Ci si può accontentare di superare lo sbarramento del 3% e continuare a esprimere una testimonianza residuale oppure “pensare in grande” in una prospettiva autonoma, puntando al ballottaggio e al governo del paese.
Per arrivare a questo punto è necessaria però un’operazione di radicale rigenerazione. Anzitutto, è indispensabile dirsi la verità sul proprio stato di salute, senza imbrogli. In Puglia si è perso clamorosamente, tutti; e altrove, anche laddove si è fatto meglio, di certo non si è brillato. Ora, i responsabili di quelle sconfitte, coloro i quali non sono in grado di uscire dalla trappola della subalternità, sono tenuti a fare più di un passo indietro. Al loro posto è urgente che emerga una nuova leva di attivisti politici che assuma come orizzonte fondamentale la costruzione di una Sinistra culturalmente e politicamente autonoma. Inevitabilmente, quello che si prospetta è un percorso lungo e tortuoso, che impone a tutti, dal più alto dirigente all’ultimo dei militanti, l’ammissione che una fase storica – quella del “compromesso socialdemocratico” – si è chiusa per sempre. Per fronteggiare il mondo che abbiamo davanti serve un colossale sforzo di costruzione di senso, senza il quale il consenso resterà una chimera.