Pubblichiamo la traduzione di un articolo di Joseph Stiglitz, premio Nobel per l’economia, sulla questione greca. Il testo è a cura di Roberto Polidori.
All’osservatore esterno il crescente livello di litigi ed acrimonia in Europa sembra essere il risultato di una dura partita giocata tra Grecia e suoi creditori; un gioco che sta finendo male. Nei fatti i leader europei stanno alla fine cominciando a rivelare la reale natura della disputa sul debito; e la risposta non è piacevole: è una disputa su potere e democrazia molto più che su denaro e teorie economiche. Naturalmente le ricette economiche a supporto del programma che la Troika (Commissione Europea, Bce e Fondo Monetario Internazionale) ha imposto alla Grecia negli ultimi 5 anni, sono state pessime. E si sostanziano in un -25% del Prodotto Interno Lordo greco nello stesso periodo. Credo che mai nessuna depressione sia stata così voluta ed abbia avuto conseguenze così catastrofiche: il tasso greco di disoccupazione giovanile, per esempio, adesso è superiore al 60%. E’ sorprendente che la Troika abbia declinato ogni responsabilità su queste conseguenze e si sia rifiutata di ammettere quanto assurdi e sbagliati siano stati i modelli utilizzati e le previsioni fatte. Ma è anche più sorprendente che i leader europei non abbiano neanche imparato niente da questo disastro: la Troika sta ancora chiedendo che la Grecia raggiunga un avanzo primario di bilancio – entrate meno uscite statali al netto degli interessi pagati – del 3,5% entro il 2018.
Economisti di tutto il globo hanno giudicato l’obiettivo eccessivamente punitivo, poiché ambire ad esso significherebbe peggiorare la caduta della crescita greca. In verità, anche se il debito greco dovesse essere ristrutturato oltre l’immaginabile, il paese resterebbe in depressione se al referendum che si terrà in Grecia vincessero i votanti che chiedono l’impegno a centrare i target della Troika.
Quanto a trasformazione di deficit primario in avanzo primario, pochissimi paesi sono riusciti a fare ciò che la Grecia, nonostante la sua assurda depressione, ha fatto in questi ultimi 7 anni. E, sebbene il costo in termini di sofferenza umana sia stato estremamente alto, le recenti proposte del governo greco sono andate ancora incontro alle richieste dei creditori.
Dovremmo essere onesti: dell’incredibile quantità di denaro prestata alla Grecia pochi spiccioli sono effettivamente andati ai Greci. I soldi sono serviti a pagare i creditori del settore privato – banche tedesche e francesi incluse. Al bilancio pubblico greco è andata una miseria, ma i Greci hanno pagato un alto prezzo per preservare il sistema bancario dei paesi citati. Il Fondo monetario internazionale e gli altri creditori “ufficiali” non hanno bisogno dei soldi che hanno richiesto: in uno scenario economico normale probabilmente avrebbero prestato nuovamente il denaro alla Grecia.
Ma, mi ripeto, la questione non è il “denaro”. La questione è l’uso di “scadenze” per costringere la Grecia a cedere e ad accettare l’inaccettabile – non solo le misure di austerità ma anche altri provvedimenti recessivi e punitivi.
Ma perché l’Europa fa ciò? Perché i leader dell’Unione Europea stanno resistendo al referendum e rifiutando persino di posticipare di pochi giorni la scadenza del 30 Giugno della rata dovuta al Fondo Monetario Internazionale?
A fine gennaio i cittadini greci hanno votato un governo il cui scopo era porre fine all’austerità. Se questo governo fosse riuscito ad adempiere alle promesse della campagna elettorale avrebbe già rifiutato le proposte. Ma il governo ha voluto che i Greci misurassero le proprie forze su questa questione, così critica per il futuro benessere del paese.
L’interesse per la legittimazione popolare è incompatibile con le politiche dell’Eurozona, che non è mai stato un progetto democratico. La maggior parte dei governi dei paesi membri non ha cercato l’approvazione dei propri popoli nel cedere la propria sovranità monetaria alla BCE. Quando la Svezia lo ha fatto, gli Svedesi hanno detto no. Hanno compreso che la disoccupazione sarebbe aumentata se la politica monetaria del paese fosse stata basata su una banca centrale unicamente focalizzata sull’inflazione. L’economia avrebbe sofferto, perché il modello economico sottostante la costruzione europea è basato su relazioni di potere che svantaggiano i lavoratori.
E, molto probabilmente, ciò che stiamo osservando adesso, 16 anni dopo l’istituzionalizzazione di questi rapporti di potere, è l’antitesi della Democrazia: molti leader europei vogliono la fine del Governo di sinistra del Primo Ministro Alexis Tsipras. Dopo tutto è estremamente sconveniente avere in Grecia un governo così fermamente contrario a politiche cha hanno determinato un incremento così grande della disuguaglianza in tanti paesi avanzati e che è tanto impegnato a ridurre lo sfrenato potere della ricchezza. E questi leader sembrano credere di poter abbattere il governo greco costringendolo ad accettare un accordo che contravvenga il mandato popolare con cui quel governo è stato eletto.
E’ dura dare un consiglio ai Greci su come votare il 5 Luglio. Nessuna delle due alternative – approvare o respingere i termini della Troika – sarà facile, ed entrambi comporteranno rischi enormi. Il “si” significherebbe depressione quasi senza fine. Forse un paese a “taglia ridotta” – che ha svenduto tutti i propri gioielli ed i cui giovani cervelli sono tutti emigrati – potrebbe alla fine ottenere il “l’affrancamento dal debito”. Forse, dopo essere diventata un’economia a medio reddito, alla fine la Grecia potrebbe ottenere l’aiuto della Banca Mondiale. Magari ciò accadrà nel prossimo decennio, o forse nel decennio successivo.
D’altra parte, un “no” aprirebbe almeno la possibilità che la Grecia, con la sua forte tradizione democratica, riprenda nelle mani il proprio destino. I greci possono guadagnare la possibilità di forgiare il proprio futuro che, sebbene certamente forse non prospero come il passato, sarebbe di gran lunga più pieno di speranze dell’inconcepibile tortura del presente.