I fatti narrati in questo articolo corrispondono al vero. Potrebbero urtare la sensibilità di bambini, anziani, deboli di cuore, fan di Alessandra Amoroso e iscritti alla loggia P2.
L’autunno è un concetto che in meridione non abbiamo ben chiaro. Chi se ne fotte se in altri posti d’Italia fa già freddo.
Così, riflettendo su queste cose e su altre assurdità, qualche giorno fa mi sono beccato tonnellate di calore per tutto il giorno, sudando come un qualsiasi precario italiano schiavizzato da un cinese. Finalmente arrivo al pranzo e cosa trovo in tavola…: le melanzane ripiene.
Mia madre segue da sempre la lezione del maestro buddista che sosteneva che per raggiungere la comunione col tutto fosse necessario mangiare il piatto unico: le melanzane ripiene.
Chi sono io per rinunciare alla via per l’illuminazione? Non sono mica Salvatore Romeo.
Così le divoro, mentre fuori la temperatura è sempre più elevata, grazie all’umidità pari alla percentuale di consensi che raggiunge Putin democraticamente ad ogni lezione.
Finisco a letto, per cercare di digerire tutto, ma sarebbe più facile trovare una nuova via per la sinistra.
Vado alla deriva. Sono in pieno viaggio interiore alla scoperta di me stesso, nelle melanzane ci doveva essere troppo formaggio forse; qualcosa mi dice che sarà un pomeriggio lunghissimo. Serve la giusta musica al riguardo. Nessuno è meglio dei Thee Oh Sees e del loro ultimo album Drop.
Di loro avevo già parlato qui, per cui fate uno sforzo e leggetevi quell’articolone che avete snobbato in tanti.
Drop è l’album giusto se volete farvi in gran viaggio dopo mangiato: è la quintessenza del delirio ed un autentico Bignami della psichedelia.
L’apertura è affidata a Penetrating Eye, col suo riff che esplode e le tastiere siderali è un invito ad intraprendere un viaggio ma non si capisce bene dove. Encrypted Bounce (la mia preferita) ha un incedere nervoso e ripetitivo e nella sua parte centrale sembra diventare una sorta di stralunata jam session tra chitarre acide. Le stesse chitarre ritornano in Savage Victory, che, con una sezione ritmica marziale, da’ delle tinte fosche al viaggio post digestivo.
L’atmosfera cambia nella title track, decisamente più solare, oppure in The King Nose un omaggio a Syd Barrett, per concludersi con la catarsi di The Lens che rimanda ai Beatles della psichedelia più soffice.
Drop è l’album di una band che sa dove mettere le mani per ottenere il suono che vuole. E non potrebbe essere altrimenti visto che hanno la media di un disco all’anno. Le intuizioni e le scelte fatte già per il disco precedente si sentono anche qui, come l’espansione delle chitarre che sormontano tutti gli altri strumenti.
È sera quando finalmente ritorno in me; è stato un viaggio allucinante.
Ma domani sarà peggio, domani è già autunno, domani arrivano i carciofi.
Mentre scrivevo questo pezzo avevo nelle orecchie:
Benjamin Booker, Benjamin Booker, 2014