Sabato 30 novembre è stata presentata, presso il Museo Diocesano di Arte Sacra (MuDi), la guida della collezione a cura di Nicola Fasano, storico dell’arte e vicepresidente della cooperativa “Custodes Artis”, che si occupa della gestione del Museo. La cooperativa, formata da cinque giovani altamente formati – l’architetto Sabino Gisonda, che ne è il Presidente, l’architetto Elisa D’Urso, le dottoresse Valeria Gigante e Antonella Torre, oltre al dott. Nicola Fasano – opera sotto il coordinamento del Direttore del Museo e dell’Ufficio del Beni Culturali della diocesi, Don Francesco Simone, fornendo tutta una serie di servizi – dalla didattica alle visite guidate, alla conservazione all’allestimento di mostre temporanee – che contribuiscono a fare del MuDi una delle più vivaci e propositive realtà culturali della città. Abbiamo chiesto a Nicola Fasano di raccontarci qualcosa in più sul Museo.
Quando è stato aperto il MuDI?
«Il MuDi è stato inaugurato nel maggio del 2011 dopo un allestimento durato diversi anni. L’inaugurazione è stata preceduta da una lunga fase di restauro dell’immobile cinquecentesco – un antico seminario arcivescovile sorto nel periodo della Controriforma in stato di abbandono per via della costruzione del nuovo seminario a Poggio Galeso -, iniziato nei primi anni Ottanta. Anche la chiesa come le istituzioni si è resa complice della “desertificazione” del centro storico per costruire una nuova cattedrale ed un nuovo seminario altrove . Ma mentre la diocesi è riuscita in maniera efficiente a ridare lustro al nostro passato con tre interventi di portata eccezionale – palazzo Visconti, il seminario e il palazzo arcivescovile (eccellenze del borgo antico) -, il Comune di Taranto è nella totale incapacità di attuare un programma di risanamento e di recupero edilizio.»
Di chi è stata l’iniziativa?
«L’iniziativa di musealizzare la struttura è stata dell’arcivescovo Motolese quando l’immobile era ormai abbandonato. Il presule aveva pensato di valorizzare il patrimonio storico-artistico della diocesi tarantina, tra le più antiche e ricche del meridione d’Italia, creando un museo ad hoc. Premeva anche l’esigenza di mettere in sicurezza le opere dopo i dolorosi furti del Tesoro di San Cataldo nel 1978 e nel 1983. Proprio dal 1983 si diede avvio ai lavori di ristrutturazione, restituendo finalmente alla cittadinanza una preziosa testimonianza storica, oltre ad un contenitore culturale di eccellente livello. Infine, grazie ad un bando vinto recentemente, la struttura ha ampliato ulteriormente l’offerta con l’esposizione di materiale archeologico.»
Quali sono i criteri di esposizione?
«Le opere (dipinti, sculture, oggetti liturgici e paramenti) sono esposte seguendo un percorso tematico che parte dal piano terra, con la sezione liturgica pensata a scopo didattico. Al primo piano la sezione cristologica, la sezione mariana, quella degli ordini religiosi e delle confraternite e quella dedicata alla cattedrale. Quest’ultima molto importante perché vengono esposte molte delle opere provenienti dalle cappelle laterali di San Cataldo. Lo sciagurato restauro di Schettini del 1950-52 cancellò la memoria storica e, con essa, il gusto delle famiglie nobiliari che avevano eretto altari, commissionato quadri, statue a devozione del Santo protettore. Non è un caso che proprio in questa sezione sui quadri siano “impressi” gli stemmi delle più importanti famiglie tarantine: La Riccia, Orsini, Cimino, Carducci. L’ultimo piano è dedicato agli arcivescovi che vanno dal ‘600 fino alla fine del secolo scorso. Due ampie sale poi permettono l’allestimento di mostre temporanee.»
Quali le opere di maggior prestigio?
«Sicuramente il quadro di Corrado Giaquinto raffigurante “Il sogno di San Giuseppe”, la tela di Paolo De Matteis con “L’Ecce Homo”, il pittore solimenesco (molto probabilmente l’Olivieri) che raffigura “La Visione di San Francesco”, oltre a diverse opere di Domenico Carella. Ancora il Topazio realizzato da Andrea Cariello per Ferdinando II di Borbone, autentico capolavoro della lavorazione glittica. Infine il Tesoro di San Cataldo per la portata storica e religiosa – e non solo artistica – che riveste, e i paramenti dei presuli del ‘600, riccamente decorati.»
Qual è l’importanza del museo diocesano nel panorama culturale tarantino?
«E’ di importanza rilevante visto che a Taranto manca ancora la famosa pinacoteca comunale. È l’unico “contraltare” storico-artistico al ricco e prestigioso patrimonio archeologico insieme a poche altre realtà quali la sagrestia di San Pasquale e le chiese medievali del centro storico. Va bene la Taranto archeologica, va bene la Magna Grecia , ma esistono anche i secoli successivi che sono stati trascurati. Quindi una Taranto non solo archeologica ma meritevole di essere valorizzata anche dal punto di vista storico-artistico. L’amministrazione a questo non provvede. Questo comporta una certa difficoltà nell’occuparsi di arte a Taranto: manca la sensibilità, il senso civico e non bastano due fioriere o i giochi d’acqua per abbellire la città.»
L’operazione che il MuDi e i suoi ragazzi stanno facendo è di importanza vitale per la città: tra sforzi, tempi biblici e sacrifici sono riusciti a costruire una solida realtà museale alternativa e, nello stesso tempo, complementare al Museo Archeologico. Un contenitore di arte che è capace di “fare cultura”, laddove per diffusione culturale si intenda la trasmissione/ricezione di concetti, stimoli e nozioni che rendono un po’ più ricchi e curiosi una volta terminata l’esperienza all’interno del luogo della cultura; che ci rendono un po’ più cittadini consapevoli del luogo in cui viviamo, della sua storia, delle sue necessità. Il MuDi, come ricordato da Nicola Fasano, va a sopperire alla mancanza della Pinacoteca Civica, ma non può esserne un sostituto. Il materiale per fare una Pinacoteca c’è, esiste (ci riserviamo di riparlarne con Nicola)! È disperso, ma i ragazzi del MuDi ci hanno mandato un grande messaggio di speranza: ciò che sembra perduto non è detto che lo sia per sempre. Servono volontà, impegno (anche economico) da parte degli enti interessati e tanta, tanta competenza. Oltre a una coscienza civica educata sulla storia nella sua interezza, e non solo sul brano che può essere speso e devastato nella maniera migliore!
StecaS