Pubblichiamo alcune note di Roberto Nistri a margine del convegno “La questione ebraica. I “Quaderni neri” di Martin Heidegger e la loro macchinazione strumentale”, tenutosi presso il Liceo Archita di Taranto lo scorso 26 gennaio.
Il 26 gennaio 2016, in occasione della “Giornata della Memoria”, organizzata dal Liceo “Archita”, abbiamo presenziato ad un dibattito molto impegnativo su una tematica ardua e scabrosa, concernente le responsabilità del filosofo tedesco Martin Heidegger di fronte alla tragedia del nazismo e della Shoà. L’iniziativa è stata molto partecipata, con qualificati interventi letterari e musicali. La relazione principale è stata svolta dal filosofo Francesco Alfieri, scrupoloso esegeta del corpus heideggeriano e, in particolare, dei cosiddetti “Quaderni neri”, di recente pubblicati per esteso; opera che, a detta di molti studiosi, chiarisce definitivamente la fisionomia di un tedesco decisamente nazista e certamente antisemita. Una adesione profonda e non opportunistica? Si è aperta una seria discussione. Il professore Alfieri ha messo in campo tutta la sua sapienza filologica per liberare Heidegger da fraintendimenti più o meno male intenzionati. Il dibattito si è prolungato a lungo con giovani studenti che, in barba al disfattismo governativo, sono ancora avidi di umanesimo e filosofia.
Come dirigente della “Associazione Nazionale Partigiani”, lo scrivente esprime le sue perplessità non nei riguardi di una fluviale difesa d’ufficio del filosofo contestato, che non ha mai subito vessazioni di sorta, pur rimanendo, anche nel dopoguerra, acerrimo nemico della libertà e della democrazia, un nazista convinto, con appesa al petto una decorazione con la croce uncinata e un antisemita di qualità: gli ebrei si sarebbero autodistrutti in quanto vessilliferi del “ paradigma calcolatorio!” con annessa la muffa credenza del complotto giudaico. Il filosofo si sarebbe anche preoccupato di cancellare dal suo opus magnum la dedica al suo maestro ebreo, Edmund Husserl, non partecipando neanche al suo funerale. Il personaggio in realtà era convinto di essere lui il vero Fuhrer. Per essere più precisi, a lungo i colleghi hanno scherzato sul suo “viaggio a Siracusa”: il viaggio di Platone mirato a governare filosoficamente il tiranno. La stessa speranza ingenua che avrebbe coltivato Gentile nei confronti di Mussolini.
Solo l’assessore Liviano ha espresso poche ed acconce parole nei riguardi della Vittima Assente. Se nel pubblico fosse stato presente un discendente di un lontano perseguitato travolto dal vortice infame, avrebbe avvertito la propria estraneità in un tempo ormai senza memoria e senza testimoni. La filosofia più che mai deve ancora misurarsi con lo sterminio.
Crimini di pensiero
Per quanto ci riguarda, negli anni Sessanta ci siamo fatti i nostri quindici minuti di passioncella per il mago di Messkirch, con il suo “esserci”, il Dasein e l’in der welt sein, lasciando poi senza rimpianti la Selva Nera, per accasarci nella più felice Rive Gauche. Il partigiano Pietro Chiodi ci aveva presentato un esistenzialista ateo, mentre il piccolo sciamano era legato ad una vecchia teologia negativa, un neoplatonismo appetibile per uno spiritualismo cristiano sempre in lotta contro la razionalizzazione scientifica e il “disincantamento del mondo”(Weber). L’incantatore nemico della matematica aveva dichiarato: “io sono un teologo cristiano!”. Coltivava un pensiero misticheggiante, costellato di promesse abissali con il supporto di fantasie occultiste alla Hotto Rahan: un dinamico pusher, spacciatore di principi barbarici e di eccitazioni accademiche, come la “risveglianza dell’Esserci tedesco alla sua grandezza”. Uno scalpellare il nulla moltiplicando le iperboli con linguaggio doppio, sentenzioso e allusivo. Una parrocchiale custodia del Graal, tutta permeata dal Fuhrer Prinzip , una zuppa d’orzo come quella propinata da Frau Elfride, della quale il filosofo era ghiotto. Karl Lowith, il correttore delle bozze di Essere e tempo, doveva diventare il suo critico più implacabile: occorreva rompere l’incantesimo di una sterile imitazione da parte di una massa di adepti sovraeccitati. Secondo Thomas Bernard, il Guru è stato capace di mettere nel sacco una intera generazione di studiosi, propinando una broda esoterica che ha annegato nel Kitsch la filosofia. Aggiungiamo anche le scopiazzature dal libro dell’ultrarazzista italiano Julius Evola, La rivolta contro il mondo moderno. Valga l’opposizione dell’anti Heidegger: il filosofo ebreo Robert Nozick.
Chi oggi sarebbe disposto a seguire i “Pastori dell’Essere” e l’antropologia della “Radura”, misurandosi non con il nulla ma con il vuoto, con tutta la sua forza di risucchio? Franco Volpi, lo studioso italiano che più si è avvicinato a Heidegger, ha considerato ormai irricevibile il suo lascito: sperimentazioni linguistiche che implodono in funambolismi e infine in vaniloqui. Volpi ci esorta a rimetterci in cammino non su presunti “Sentieri dell’essere”, ma sul Sapere Aude dell’illuminismo radicale.
Roberto Nistri