La spropositata quantità di romanzi e di narrativa prodotta negli anni Zero, dovuta anche alla tecnologia che ha permesso una estrema facilità di stampa e ha aperto all’espansione del mercato librario – forse solo come produzione – grazie anche alle nuove possibilità offerte dal self publishing, rende difficile il compito di tracciare un bilancio della nuova narrativa italiana. Inoltre i mass media, il depauperamento del ruolo della cultura nella società odierna e il profitto ad ogni costo hanno inficiato la qualità della prosa italiana degli ultimi decenni.
Tra le tendenze spadroneggia quasi incontrastato il romanzo realista, nato dalla necessità di descrivere il malessere diffuso del cittadino che vive in un mondo e in un tempo globalizzato, che perde la concentrazione e la capacità di focalizzare l’attenzione a causa dell’information overload dell’era digitale, l’imporsi della società dello spettacolo teorizzata in maniera quasi profetica già dagli anni Sessanta da Guy Debord che ha trovato piena realizzazione nelle forme dei reality show e dei talk show.
Sono queste le mutate condizioni storiche e antropologiche che hanno cambiato anche la stessa percezione della «realtà» in cui viviamo, «se il “discorso sul mondo” ha sostituito il mondo, se la realtà nega la realtà, il racconto del presente deve inevitabilmente coincidere con quello dell’io, innalzato al ruolo di testimone o interprete di fatti veri o fittiziamente veri.1»
Ma se la vita “vera” diventa “non vera”, che senso ha raccontare la finzione e come si può uscire da questo paradosso? Per risollevarsi da queste sabbie mobili, la letteratura diventa pertanto un mezzo, un grimaldello, per altri intenti. Quali che siano questi interessi – politica, impegno civile, risveglio delle coscienze con sguardi straniati – sono legittimi per dare un senso al bisogno di comunicare e testimoniare, soprattutto al fine di recuperare una funzione civile da tempo smarrita.
Si è scelta, pertanto, la strada più facile: quella di raccontare la propria vita o comunque prendere spunto da essa. Questa tendenza “autobiografica”, che prevede la presenza di un io narrante in cui si riflette in qualche modo lo stesso autore, è stata riscontrata in molti scrittori, i quali hanno impiegato forme diverse per narrare lo straniamento e il disagio del cittadino globalizzato. Giulio Ferroni denuncia la mancanza totale di resistenza intellettuale nell’Italia odierna.2 Il romanzo, incastrato nel gorgo mediatico, è ormai diventato inadatto a rappresentare criticamente il presente e offre al lettore una “pars costruens” con due strade praticabili: il racconto e l’autofiction.
Socialismo Tascabile degli Offlaga Disco Pax, una “raccolta di racconti” piuttosto atipica – essendo un album di musica pop – presenta delle interessanti analogie con la letteratura degli anni Zero, soprattutto per l’aspetto autobiografico e quello della frammentarietà delle esperienze.
Gli Offlaga Disco Pax si costituiscono come “collettivo neosensibilista contrario alla democrazia dei sentimenti” – autodefinizione ironica – composto da Max Collini, Daniele Carretti ed Enrico Fontanelli (scomparso il 4 aprile 2014).
Vite piuttosto comuni, che raccontano il quotidiano, passato e presente, con uno stile che potremmo definire diaristico: l’io narrante si identifica completamente con l’autore, il quale ci rende partecipi dei suoi ricordi privati, spettacolarizzando frammenti della sua vita, fatta di amori finiti, di sogni infranti, di cambiamenti, di merci, un’esistenza profondamente radicata in un mondo globalizzato e per questo allo sbaraglio. Ricordi di un mondo che non c’è più, quello del comunismo sognato negli anni Settanta e Ottanta.
Ma non si tratta di pura declamazione o di nostalgica rievocazione: è attraverso temi apparentemente slegati, come la condotta scolastica o una storia del chewing-gum, che va a delinearsi lo spaccato di un momento storico, di una regione e di un quartiere “dove il Partito Comunista prendeva il 74%”. In mezzo al passato fa capolino il presente, tra quadretti ironici dove si parla dell’odio per un commesso o della fine di un amore.
Ricordi, quindi, che prendono forme diverse. In Robespierre diventano un elenco di situazioni e oggetti dell’infanzia e della adolescenza, accostati in maniera totalmente disorganizzata e confondendo i piani, proprio come se tutti avessero la stessa importanza, da «gli amici del campetto, passati dalle Marlboro direttamente all’eroina alla faccia delle droghe leggere», tema piuttosto impegnativo, affresco di una società in sofferenza, a oggetti di consumo come «i fumetti di Zora la vampira porno e la Prinz senza ritorno»; e ancora la scoperta della sessualità de «la prima sega» e «la vicina di casa, un travestito ai più noto come Lola che mia madre chiamava Antonio con nostro sommo sbigottimento».
Vediamo ricostruita un’esistenza fatta di brandelli, ricuciti in un patchwork senza nessuna forma, che però dà l’idea di un mondo – ironicamente denominato Piccolo Mondo Antico di Fogazzaro nello stesso testo – crudo, vissuto nei quartieri popolari I.A.C.P.,3 in cui i cambiamenti della società globalizzata iniziano a farsi spazio non curante dei sogni degli stessi protagonisti.
Si rileva un io narrante che non è solamente un “io”, ma anche un “noi”, sia perché davvero frutto di un dibattito costruito dalla pluralità di voci del collettivo neosensibilista, sia perché sono ricordi collettivi, in cui ogni coetaneo può immedesimarsi e fare propri.
Khmer Rossa è un racconto autobiografico, vero o finto non possiamo saperlo, del primo amore, Ylenia, quattordicenne che «si era data all’idea, un po’ estemporanea, di cambiare il mondo». Il testo di Collini procede con una esposizione cronologicamente lineare, infarcita di citazioni letterarie e riferite al mondo della politica, che fa un uso sapiente di dialoghi e di figure retoriche. La storia può essere considerata il paradigma della condizione attuale, poiché, metaforicamente, ci suggerisce lo stato d’animo strutturale che pervade l’intera raccolta: la delusione per un’idea che era stata ardentemente desiderata. Khmer Rossa si apre con una descrizione idilliaca della giovane Ylenia, forte e innocente, e dal crescente desiderio di possederla, fino al momento topico in cui, in un istante di tenerezza dell’autore-protagonista, spinto dal timore di poter essere troppo aggressivo, la “troppo” giovane ragazza confessa, con normalità sconcertante, di non essere più vergine, ribaltando la situazione iniziale. Questa storia diventa tuttavia il pretesto per affermare il punto centrale di tutto Socialismo Tascabile: «Era la prima volta che dubitavo nel Socialismo.»
Unico punto di riferimento dell’opera, dal carattere frammentario, quotidiano, nostalgico, è appunto il socialismo o, forse, la consapevolezza dell’assenza di socialismo, che dà ai protagonisti quel senso di spaesamento tipico degli ultimi decenni. Di questo disagio è anche responsabile la situazione politica italiana, in special modo, e internazionale; la delusione che fa da struttura portante alla scrittura – ma anche alla musica – deriva dalla mancata realizzazione di un disegno politico del PCI, partito di cui è stato militante un componenti del collettivo, e che in un certo senso risentiva dell’esaurimento della «spinta propulsiva della rivoluzione d’Ottobre»4 e della fine del sogno di socialismo reale, mentre gradualmente prendeva il sopravvento il neoliberismo.
Mood nostalgico perfettamente avvertibile in Tatranky, dove si racconta di Praga, sfigurata dalle «ferite della modernità», in una Boemia immobile, ma non senza una nota di criticità:
«Dubcek direbbe che poteva andare diversamente e almeno lui ha fatto in tempo a vedere la differenza a volte astratta tra un regime imposto con i carri armati, ed uno imposto più sottilmente col dollaro, il marco, l’euro.»
Ancora una volta delusione nel finale con l’esclamazione «Ci hanno davvero preso tutto!», in ragione del fatto che il capitalismo, l’economia globalizzata e l’abbattimento di quelle ultime roccaforti socialiste hanno ormai preso il sopravvento anche nella quotidianità, con la constatazione dell’acquisizione del marchio Tatranky da parte della multinazionale Danone. La constatazione di una sconfitta, della distruzione del sogno, dell’essere spogliati del proprio orgoglio – non senza una esagerazione amaramente ironica!
«Come souvenir, ho portato trenta confezioni di wafer Tatranky, pacchetti tipo Loacker, ma molto più buoni. Solo dopo qualche giorno ho notato un marchio un po’ nascosto: Danone.»
Piccola Pietroburgo narra la provincia, una provincia particolare, quella dell’Emilia “rossa” che quasi non esiste più ma fatta di miti ineluttabili,5 di vite scomposte e parcellizzate, poi ricomposte in una descrizione che vira, sul finale, verso l’elemento fantastico e umoristico.
La provincia racconta della fatica del cambiamento, del prezzo dei passaggi da uno spazio all’altro, da un tempo all’altro. Lo sa bene chi dalla provincia è più o meno costretto a mettersi in viaggio allontanandosi da persone care, ma anche chi sceglie di restare e vede cambiare e sparire tutto quello che gli sta attorno. È il tessuto lacerato che tiene insieme tutte queste tracce di passaggi i quali richiedono cura e lentezza quando tutto sembra raggiungibile con un doppio click e tutto sembra intercambiabile: le relazioni, il lavoro, la vita vissuta su un’obsolescenza programmata degli oggetti che si protende patologicamente ansiosa verso novità fantastiche che interrompano bruscamente la quotidiana precarietà dell’esistente; il pretesto è una statua di Lenin che piange «lacrime bianche come le navi del porto di Arcangelo».6
Infine, forse il testo che più rappresenta il cambiamento della società attraverso le merci è Cinnamon7, i chewing gum che ad un certo punto degli anni Ottanta escono dal mercato perché fuori produzione: «il Cinnamon quando è arrivato il riflusso, lo hanno abolito. Evaporato, sparito.» Una sorta di feticismo della merce, ma consapevole.
Bibliografia
Guy Debord, La società dello Spettacolo, Baldini Castoldi Dalai, Milano, 2008
Umberto Eco, Su alcune funzioni della letteratura in Sulla letteratura, Bompiani, Milano 2003, pp. 7-22.
Giulio Ferroni, Scritture a perdere. La letteratura negli anni zero, Laterza, Bari-Roma 2010
Carlo Mazza Galanti, Autofinzioni, in http://www.minimaetmoralia.it/wp/autofinzioni/, 2010
Vito Santoro, Privato è pubblico. (Dis)avventure dell’Io nella narrativa italiana degli anni Zero, in Notizie dalla post-realtà. Caratteri e figure della narrativa italiana degli anni Zero, Quodlibet, Macerata 2010, pp. 13-59.
Giovanni Turi, Narratori degli Anni Zero a cura di Andrea Cortellessa, recensione in La Rassegna della Letteratura italiana, Casa Editrice Le Lettere, anno 117°, serie IX, n. 1, gennaio-giugno 2013.
Discografia
Offlaga Disco Pax, Socialismo Tascabile (Prove Tecniche Di Trasmissione), Santeria/audioglobe 2005
1Santoro, Notizie dalla post-realtà, pp. 13-59.
2 Ferroni, Scritture a perdere. La letteratura negli anni zero «Oggi assistiamo al paradosso di una letteratura che si moltiplica e contemporaneamente arretra, assediata dall’impero dei media, dalla vacuità della comunicazione, dalla degradazione del linguaggio e della vita civile».
3Istituto Autonomo per le Case Popolari
4Dichiarazione dell’allora segretario del Pci Berlinguer, nel 1981, all’indomani del colpo di Stato del generale Jaruzelski in Polonia.
5Collini/Fontanelli, Piccola Pietroburgo, traccia n.8, Nel passo si parla del Busto di Lenin situato al centro della piazza principale di Cavriago.
6La notizia viene riportata da alcuno giornali locali, e anche dal Komsomolskaya Pravda, così come citato nel testo.
7 Il testo non è di Collini, ma è tratto da un libro dello scrittore reggiano Arturo Bertoldi.