Esiste a Napoli, in una cappella privata oggi adibita a Museo, la cappella Sansevero, una delle più incredibili sculture realizzate dall’uomo. All’ingresso di questa cappella, che accoglie una serie di statue del XVIII secolo, si formano cordoli di gente curiosa, devota o, semplicemente, amante del bello che si dissolvono nel piccolo ambiente dove, nel mezzo, giace il cosiddetto Cristo velato di mano dello scultore partenopeo Giuseppe Sanmartino (1720 – 1793), un’opera di un virtuosismo tecnico e di una finitezza ineguagliabili.
E dire Giuseppe Sanmartino equivale a parlare di uno dei più grandi scultori del il Settecento italiano abbia avuto.
È per questo che ho sempre un po’ di imbarazzo al pensiero che qui, a Taranto, questo grandissimo maestro, per molti, non è che un illustre sconosciuto. Sì perché, magari, di passaggio per Napoli ci si fa convincere un po’ tutti a vedere quel miracolo di marmo che è il Cristo velato, ma quando si entra in Duomo a Taranto in quanti guardano con cognizione, consapevolezza, le belle statue inserite nelle nicchie del Cappellone intitolato a San Cataldo?
Ebbene, Giuseppe Sanmartino, uno dei massimi scultori del XVIII secolo, ha lasciato proprio a Taranto un ciclo di statue per adornare quel miracolo di cultura barocca che è il Cappellone di San Cataldo, dominato dalla splendida cupola affrescata nel 1713, per volere dell’arcivescovo Stella, da Paolo de Matteis (1662-1728) con l’Apoteosi di San Cataldo, incrostato di marmi mischi e impreziosito, oltre che dall’opera del maestro napoletano, da statue attribuite ad altri scultori. Mentre, infatti, il San Marco e il San Sebastiano sono di mano di Giuseppe Pagano e nel San Pietro e San Giovanni Battista è stato recentemente proposto di riconoscere un intervento di Giovanni da Nola (Naldi 2011), tutte le altre sculture vengono fuori dallo scalpello del Sanmartino, da quelle all’ ingresso, raffiguranti San Giovanni Gualberto e San Giuseppe, alle sei centrali, eseguite tra il 1754 e il 1759.
Essere nel Cappellone di San Cataldo è ritrovarsi, per un attimo, al centro della storia dell’arte in Italia meridionale nel pieno del Settecento: non opere d’apparato, ma veri e propri capolavori riconosciuti e, recentemente, tornati alla ribalta della critica assieme ai loro autori (del De Matteis è possibile vedere qualcosa anche nel MuDi). Un vero museo, forse troppo poco visitato !
La festività patronale potrebbe essere. oltre che tradizione, devozione, processione e momenti di incontro e scambio all’insegna di un comune sentire, anche una bella occasione per conoscere meglio il patrimonio della città e rendersi conto che esso c’è, esiste e che, forse, la conoscenza è un primo passo verso la valorizzazione di quello che il passato ci ha effettivamente lasciato.
Senza bisogno di inventare simulacri ad hoc.
StecaS
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Per una bibliografia aggiornata sulle statue del Cappellone di San Cataldo rimando a
– R. Naldi, “Giovanni da Nola accanto a Giuseppe Sanmartino: un singolare caso di reimpiego nel Cappellone di San Cataldo a Taranto”, in “Tempi e forme dell’arte”, a cura di L. De Rosa e C. Gelao, Foggia 2011, pp. 285-295.
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