Pubblichiamo una nota della Casa Occupata via Garibaldi sul falò di San Giuseppe in Città Vecchia, che quest’anno ha suscitato scandalo perché, secondo la denuncia di alcuni, nel rogo sarebbero finiti anche pezzi di mobili settecenteschi prelevati da una delle “Case della Contessa”. La riflessione ci sembra utile per un dibattito, che auspichiamo intenso, sulla valorizzazione della Città Vecchia, non solo dal punto di vista storico artistico, ma anche sociale e umano.
Il falò di san Giuseppe è una tradizione che si sviluppa ancora, il 19 marzo, nei quartieri di Taranto ove le radici della nostra comunità sono ancora molto vive. È una festa di quartiere autorganizzata laddove piccoli e grandi conoscono tutti i passi per realizzarla. È un’iniziativa spontanea e non un evento che necessita di organizzatori. La maggioranza dei ragazzini della città vecchia ne prendono parte con molto entusiasmo: loro raccolgono la legna, loro la conservano, loro costruiscono la scultura che verrà poi data alle fiamme e, sempre loro, decidono quando il fuoco prenderà il sopravvento. Il tutto, circondato dallo scenario delle tavole di san Giuseppe allestite nell’omonima chiesa di quartiere, dalla processione dedicata al santo, da musica, dall’intera comunità che, per l’occasione, si riunisce al solo scopo di stare insieme e da una microeconomia fortunatamente sviluppata da queste molteplici attività.
La notizia divulgata da obiettivo borgo antico Taranto, secondo la quale sarebbero stati arsi nel falò troni in legno, tavoli completamente intagliati, ante di armadi con cartine di Taranto del 1700 prelevati da uno dei cosiddetti “palazzi della contessa”, ci lascia molto perplessi. Da una parte poiché l’attendibilità della notizia non è mai stata dimostrata se non con una foto dalla quale non si evince il prelevamento “di un anta di armadio con cartine di Taranto del 1700“, dall’altra perché la bufera mediatica che si è scatenata da parte di politici e di pseudo giornalisti che diffondono una notizia senza fonti attendibili ci fa pensare come, ancora una volta, in questa città, sia d’obbligo appigliarsi ad ogni notizia utile a distogliere l’opinione pubblica dai reali problemi che la città vive.
Piuttosto che vaneggiare il falso, ci chiediamo come mai non si capisca che questi ragazzi, gli stessi che hanno costruito il falò, vivano di esempi: se le istituzioni lasciano nel totale abbandono la Città Vecchia, come possiamo pretenderne l’attenzione da chi vive lo stesso abbandono sulla propria pelle? Se le istituzioni non valorizzano e non conoscono il patrimonio culturale comune (decadente e svenduto a quattro soldi a chi ha progettato un riutilizzo della città vecchia che non include la popolazione che la abita), come possiamo trasmetterlo alla parte in causa?
Noi non trasmettiamo, loro non apprendono e non valorizzano. E se loro non conoscono come avrebbero potuto individuare delle ante di armadio settecentesche e denunciarle come tali ad Obiettivo Borgo Antico Taranto, la stessa organizzazione che comunica che la fonte della notizia è stata proprio quella verbale rilasciata da alcuni ragazzini?
Ci pare assolutamente provocatorio pretendere che gli abitanti del quartiere siano i primi ad essere denunciati per incuria del nostro patrimonio quando la mancanza di servizi sociali e sanitari, la mancanza di spazi di aggregazione, l’interruzione di acqua pubblica per molte ore della giornata e non ultime le condizioni urbanistiche, architettoniche e culturali che fanno da cornice ad un premeditato degrado economico e sociale sono la reale dimostrazione dei vari colpi mortali sferrati all’Isola da tutte le classi politiche ed amministrative che si sono susseguite fino ad oggi.
Se, dunque, da una parte vi è una memoria che fa fatica ad essere conservata a causa dell’assenza di politiche reali di rigenerazione urbana e culturale, dall’altra sussiste una speculazione che distrugge quello che, invece, dovrebbe essere valorizzato, e lo distrugge anche attraverso azioni di denuncia basate sul nulla e che alimentano indirettamente i processi speculativi in atto. Il disinteresse quotidiano per la Città Vecchia da parte di chi mediaticamente specula su notizie di secondo ordine non rende, questi ultimi, meno complici e/o colpevoli di chi si riunisce per deciderne le sorti nei tavoli di potere.
Un luogo vive se viene reso abitabile per chi già abita in case fatiscenti e senza occasioni di crescita culturale. Un luogo vive se gli stessi abitanti sono riconosciuti come ricchezza imprescindibile.
La Città Vecchia è di chi la vive e l’attenzione sulla sua valorizzazione deve essere quotidiana.
Casa Occupata via Garibaldi 210 – Comitato di Quartiere Città Vecchia