Le recenti – e non solo – soluzioni adottate nell’arredo urbano, il continuo brusio di disappunto attorno a quanto di contemporaneo esiste in città e l’insistenza sulla valorizzazione di un solo lembo della sua storia ci ha portato a interrogarci sulle ragioni della percezione distorta dell’arte contemporanea tra i due mari. La mancanza di uno sguardo a 360° sulla storia e il perpetuarsi, di contro, di un barcollare con la testa costantemente rivolta indietro senza sapersi muovere nel presente è una condizione singolare, ma che potrebbe risultare interessante dal punto di vista di un’analisi sia della società che delle politiche culturali. La prima conversazione per capire di più su ciò che è stato e ciò che potrebbe essere in questo affascinante e dibattuto campo abbiamo scelto di farla con Gianluca Marinelli, artista e storico dell’arte, autore del libro Taranto fa l’amore a senso unico. Esperienze artistiche al tempo dell’Italsider, 1960-1975 (Argo 2012) e, attualmente, tra gli artisti italiani in mostra a Mediterranea 17 Young Artists Biennale (Milano, Fabbrica del Vapore, 22 ottobre – 22 novembre 2015).
Una lunga storia, quella di Taranto, fatta di una stratificazione anche dal punto di vista del patrimonio. Eppure gli sforzi legati alla valorizzazione sembrano essersi appiattiti solo su un periodo, per quanto fondamentale in quanto legato al momento di massima gloria della città: quello Magno Greco. Eppure anche i secoli successivi e il Novecento hanno saputo esprimersi a livelli alti a Taranto.
“Esatto. Basta fare soltanto un giro nella Città Vecchia, dove dal castello progettato da Francesco di Giorgio Martini, uno dei maggiori architetti del Rinascimento, si dipanano una rete di percorsi, di itinerari tra chiese, palazzi storici che raccontano molto del passato di questa città, spesso attraverso testimonianze artistiche di primo livello. Si pensi ai complessi medievali di San Domenico e di San Cataldo, arricchiti nel tempo da numerose opere d’arte. Ricordo che in un tuo precedente articolo menzionavi il cappellone di San Cataldo della Cattedrale come uno dei più importanti monumenti settecenteschi in Puglia. Un giudizio che sento di condividere, non dobbiamo dimenticare che vi lavorarono artisti di caratura europea: Paolo de Matteis per gli affreschi, Giuseppe Sammartino per le sculture. Quest’ultimo è l’autore del famoso Cristo Velato della Cappella Sansevero di Napoli, presente in tutti i manuali di storia dell’arte. Anche nel Borgo, per quanto ridisegnato dalla speculazione edilizia d’età contemporanea, sono presenti delle testimonianze storico-artistiche di prim’ordine, eppure poco conosciute. Penso ad esempio al crocifisso in legno di frate Angelo da Pietrafitta della chiesa annessa all’ospedale vecchio, o ai capolavori di pittura caraveggesca della chiesa di San Pasquale, realizzati dai fratelli Fracanzano e da Luca Giordano, quest’ultimo tra i più influenti artisti sulla scena interazionale al passaggio tra XVII e XVIII secolo.
Rimangono esperienze artistiche importanti anche del Novecento: dall’edilizia d’età fascista, che talvolta conserva i suoi elementi d’arredo (penso alle pitture murali di Mario Praier presso la Casa del Fascio), alla ristrutturazione di Piazza Fontana di Nicola Carrino. Purtroppo molto del recente passato storico-artistico di Taranto non è più visibile, ma recuperabile solamente attraverso documenti: mi riferisco ad alcuni progetti espositivi visionari, alle sperimentazioni di linguaggi innovativi da parte di artisti locali e all’attività di numerose gallerie d’arte, nate tra gli anni ’60 e ’80 e poi scomparse. Esperienze molto spesso sincronizzate sugli aspetti più brucianti del dibattito artistico internazionale, e che raccontano di una città che si è interrogata su se stessa, ponendosi il problema dei cambiamenti.”
In quale momento Taranto ha deciso di tagliare i ponti con l’arte contemporanea?
“Ogni porta sbattuta in faccia agli operatori culturali che lavorano nel territorio, ogni forma di miopia o di malaffare di chi gestisce i fondi pubblici destinati ad iniziative culturali, è un ponte chiuso alla dignità della ricerca, non solo artistica, in questa città. Se guardiamo alle vicende storiche dell’arte contemporanea a Taranto, ci accorgiamo che di “ponti” del genere ne sono stati chiusi tanti; praticamente ogni qualvolta se ne provava a costruire uno nuovo, a partire almeno dall’esperienza del famoso Premio Taranto, premio letterario-artistico istituito alla fine degli anni ’40 (1948-52).”
Dal monumento a Paisiello del Canonica al Carabiniere di Del Monaco, passando per la statua dei Marinai e le bocciature senza appello dei progetti di Franchina e Giò Pomodoro, si può constatare come la percezione del contemporaneo a Taranto non rispecchi quelle che erano le aspettative a partire dagli anni Sessanta.
“Trovo che il Monumento ai Carabinieri e quello di Pietro Canonica dedicato a Giovanni Paisiello siano degli ottimi esempi della marginalità culturale in cui è autosprofondata la città. La vicenda del monumento a Paisiello poi, come è noto, diventò un caso internazionale. Nella seconda metà degli anni’50 fu indetto un concorso pubblico per l’assegnazione della commissione dell’opera. A quel concorso, cui parteciparono alcuni tra i maggiori scultori dell’epoca, venne premiato il progetto di Nino Franchina; a giudicare dal bozzetto pervenuto, Franchina avrebbe realizzato a Taranto non soltanto un capolavoro, ma probabilmente il primo monumento astratto d’Italia. Chi premiò il progetto di Franchina? Un comitato scientifico di esperti, particolarmente illustre. Chi ha deciso di bloccare la realizzazione del monumento di Franchina? Gli amministratori del tempo e i più agguerriti alfieri del provincialismo culturale locale, i quali rispolverarono un vecchio progetto di Canonica, un epigone della scultura tardo ottocentesca.
È passato mezzo secolo da allora, ma qui continuano ad essere realizzate sculture anacronistiche in stile cimiteriale. Le operazioni artistiche più interessanti, come al solito, nascono fuori dalla sfera istituzionale. È sintomatico che mentre veniva inaugurato il Monumento ai Carabinieri, era da poco stata portata a termine la spendida operazione artistica di Cyop&Kaf, diffusa per la Città Vecchia. Una vera e propria opera d’arte pubblica, fatta di dialoghi, di conoscenza, di rispetto e di valorizzazione del territorio. Un’opera che riconcilia Taranto con il proprio tempo e con la bellezza.”
Una visione fondamentalmente tradizionalista, legata alla figura, percepibile in maniera semplice ha portato anche a una sorta di disamore popolare nei confronti di due dei monumenti d’arte contemporanea tra i più importanti che esistono in Puglia: la Fontana di Nicola Carrino e la Gran Madre di Dio di Giò Ponti. Perché non si riesce a far comprendere l’importanza non solo estetica ma anche storica di queste due opere?
“Le risposte possono essere molteplici. Probabilmente perchè manca qualcuno che sappia motivare alla comprensione critica. È una città dove sono davvero pochi gli operatori culturali che decidono di rimanere e di lavorare a dei progetti di valorizzazione del proprio patrimonio-storico artistico, anche recente. Penso ad esempio alle attività di associazioni che vanno in questa direzione, coniugando la riscoperta del territorio con il rafforzamento del senso civico e del dialogo intergenerazionale. Si tratta di progetti coraggiosi, che vanno sostenuti e meglio strutturati in un dialogo incrociato con le scuole, università, istituzioni, a partire dalle realtà museali presenti nel territorio.”
Come si può ristabilire un contatto reale con il contemporaneo?
“Credo che ogni attore debba fare la propria parte: artisti, istituzioni, operatori culturali, critici. Magari mettendo da parte narcisismi e autoreferenzialità.”
StecaS