La morte dello stratego Archita provocò a Taranto un cambiamento sostanziale nel governo democratico. Iniziò a manifestarsi una degenerazione sociale associata ad all’ostentazione pubblica della ricchezza; racconta Teopompo, uno storico del IV secolo a.C. e quindi contemporaneo degli eventi in questione, che a Taranto vi erano più banchetti pubblici (feste cittadine) che giorni in un anno. Quindi, secondo la testimonianza (comunque molto esagerata), la cittadinanza si era lasciata trascinare dalla prosperità che la condizione di “superpotenza” della Magna Grecia stava portando nella polis ionica. L’intensa attività del porto, che collegava Taranto e i territori circostanti con le civiltà mediterranee, era la principale fonte di sostentamento della cittadinanza: da lì venivano esportati i finissimi prodotti artigianali prodotti in città. La democrazia tarantina, sebbene avesse alla base il bene comune, rimase divisa in due blocchi contrapposti: l’antica aristocrazia, da una parte, e la “borghesia” e gli strati più bassi del popolo, dall’altra: una contrapposizione che, in seguito, avrebbe creato molti problemi nella gestione della politica estera.
Questa “corruzione” sociale sembrava aver causato anche un paradossale indebolimento dal punto di vista militare. Il controllo della Lega Italiota era ancora saldamente nelle mani di Taranto e gli alleati greci continuavano a seguire la potenza egemone; dopo la morte di Archita però non emerse un degno sostituto: mancava una figura carismatica che potesse guidare la città e le altre apoikiai elleniche. Nella seconda metà del IV secolo a.C., le popolazioni italiche iniziavano a premere costantemente ai confini e la stessa Roma cominciava ad espandersi nelle regioni limitrofe. Fra il 344 e il 343 a.C. Taranto non riusciva a reggere il peso della spinta lucana e si affidò a quella che era stata l’antica madrepatria, con la quale aveva ricucito i rapporti dopo l’appoggio nella guerra del Peloponneso contro la nemica comune Atene: Sparta. La città lacedemone inviò in aiuto ai suoi coloni uno dei suoi re: Archidamo III. Egli era un sovrano guerriero, che combatté sia per la propria patria contro la rivale Tebe, sia a Creta entrando in guerra contro Faleco e i suoi mercenari che avevano attaccato la città libera di Litto per conto di Cnosso. Una volta sconfitto il focese Faleco, Archidamo partì di gran fretta verso le coste italiche in soccorso dei tarantini. Purtroppo le fonti storiche sono molto scarne sulla spedizione di Archidamo: si ha notizia che perse la vita nel tentativo di espugnare la città di Manduria. Sulla condotta dei tarantini nella guerra non si sa nulla, ma di sicuro l’alleanza con Archidamo si mantenne solida; tanto che, dopo la morte del condottiero, Taranto fece di tutto per riavere le spoglie del re spartano per rendergli gli onori dovuti.
L’intervento di Archidamo non riuscì a placare le mire aggressive dei popoli italici: Lucani e Messapi continuavano a creare scompiglio ai confini delle città greche. Ancora una volta Taranto e i suoi alleati si rivolsero ad un condottiero straniero, in questo caso il re di una nazione confinante con le poleis elleniche: Alessandro I, detto il Molosso. Alessandro era il sovrano dell’Epiro, fratello di Olimpiade e marito di Cleopatra, rispettivamente madre e sorella del suo più famoso nipote Alessandro Magno. Egli fu raggiunto dagli ambasciatori tarantini che gli supplicarono di sbarcare con le sue truppe in Magna Grecia per aiutarli contro i barbari. Nel 334/333 a.C., mentre l’Alessandro macedone dichiarava guerra alla Persia, il Molosso sbarcò con un esercito numeroso sulle coste italiche. L’epirota riuscì a sbaragliare le truppe messapiche e lucane, liberando così alcune colonie greche che erano sotto l’occupazione barbara, come Eraclea, colonia tarantina. Per facilitare il corso della guerra, Alessandro ottenne un patto di alleanza con la popolazione di stirpe iapigia dei Peuceti, e per evitare un suo coinvolgimento nel conflitto stipulò un trattato di “amicizia” con Roma. Nonostante i successi bellici, le azioni di Alessandro iniziarono ad irritare Taranto. Il re epirota spostò la sede della Lega Italiota da Eraclea a Turi, e questo provocò agitazione nel governo tarantino, in quanto delegittimava la leadership della città ionica sulla Lega stessa. Il controllo di quest’ultima passava direttamente nelle mani del Molosso, che perseguiva propri fini di conquista, puntando a formare un proprio “impero” nel territorio italico. Probabilmente la causa principale dell’attrito fu proprio la sottoscrizione del trattato con Roma, la quale era vista da Taranto come una potenza “barbara”, non degna di essere trattata come una città greca. Roma in quel periodo era in conflitto contro i Sanniti, la cui sconfitta avrebbe portato i latini ad avvicinarsi ai territori dell’orbita tarantina. Per evitare tale scenario, Taranto ruppe con Alessandro il Molosso uscendo dall’alleanza e quindi sottraendogli un appoggio essenziale nella guerra agli Italici. Nel 330 a.C. nei pressi di Pandosia, in Lucania, Alessandro il Molosso, re dell’Epiro, fu ucciso a tradimento da un lucano.
Dopo la morte del condottiero epirota, la situazione per Taranto non migliorò. Il problema messapico rimaneva invariato, ma ancor più preoccupante era l’avanzata romana verso sud. Nel 327 a.C. Neapolis cadde per mano di Roma e Taranto non riuscì ad impedirne la sconfitta. La vicinanza romana esortò gli Apuli a stipulare un’alleanza con la nuova potenza egemone; i Lucani stessi si avvicinarono ai latini, che progettavano il colpo finale ai Sanniti. Il governo tarantino, per rallentare la marcia romana, con una certa furbizia diplomatica che l’aveva sempre contraddistinto nella sua lunga storia, riuscì a scatenare contro Roma i Sanniti e gli stessi Lucani, richiamando le stesse origini doriche che univano come fratelli i tarantini con gli italici. Questi ultimi, convinti dalle parole della polis greca, si scagliarono contro i Romani, i quali tennero testa ai loro nemici avanzando in territorio lucano ma soprattutto in quello apulo, avvicinandosi pericolosamente alla città ionica.
Nel 304 a.C. i Lucani si allearono ai romani; da parte loro, i tarantini, intuendo il pericolo, richiesero ancora una volta aiuto alla madrepatria Sparta. Nel 303 a.C. sul suolo italico sbarcò Cleonimo, che subito si impegnò per creare un esercito mercenario, subito malvisto da Taranto e i suoi alleati greci. Come gli altri condottieri, anche lo spartano aveva mire espansionistiche in occidente: infatti, dopo aver scacciato i Lucani da Metaponto, entrò in città da conquistatore, perseguendo ogni sorta di abusi sulla cittadinanza. I greci, irritati dal suo comportamento, lo costrinsero ad abbandonare la penisola italica, rifugiandosi nell’isola di Corfù. Il condottiero spartano voleva vendicarsi dell’affronto subito: sbarcò allora sulla costa salentina e marciò verso Taranto che, incredibilmente, per fermare l’invasione, riuscì a stipulare un accordo con i suoi nemici: i Messapi e i Romani. I vecchi avversari si incontrarono sotto le mura di Thuriae, ed insieme ricacciarono Cleonimo e i suoi mercenari in mare.
La tregua tra Roma e Taranto incredibilmente riuscì a resistere dopo la sconfitta di Cleonimo. Nel 298 a.C. ci fu lo scontro finale per Roma contro i Sanniti, che furono sconfitti e subirono la colonizzazione romana – per esempio, la città di Venosa divenne una vera e propria città di confine. Taranto distava poco più di 50 km da quei territori, e per destabilizzare il dominio romano innescò un sorta di guerra fredda, iniziando a sostenere chiunque si opponesse ai latini, come i Peuceti e il tiranno di Siracusa Agatocle. Infine, Taranto e Roma si divisero le zone di influenza: i Romani si impegnarono a non superare il confine marittimo di Capo Lacinio (Capo Colonna), da cui partivano le acque territoriali tarantine.
I condottieri che in quel periodo vennero ad “aiutare” Taranto contro le popolazioni nemiche mostrarono sempre intenzioni imperialistiche: per loro la penisola italica era territorio di conquista, e gli stessi compatrioti greci – oltre che le popolazioni indigene – venivano considerati popoli ad assoggettare. L’affidarsi a generali stranieri può considerarsi un grave errore politico e strategico da parte dei Tarantini e dei loro alleati, ma Taranto era ormai diventata una potenza economica e vedeva nei trattati diplomatici e nelle alleanze con personaggi carismatici, in grado di gestire le diverse forze in campo, l’unico mezzo per mantenere la propria egemonia, anche se effettivamente la polis ionica continuava a possedere un esercito e una flotta che potevano competere, come numero, con l’altra potenza greca in Italia, Siracusa, che però non riuscì a sfruttare a dovere.
La pace con Roma durò per alcuni anni finché, nel 282 a.C., i Lucani non arrivarono alle porte di Thurii, che invocò l’aiuto romano per fronteggiare la minaccia. Roma mandò una flotta nello Ionio superando il confine di Capo Lacinio e Taranto considerò tale gesto un atto di guerra.
BIBLIOGRAFIA
VV., Puglia romana, Bari 1993.
AA.VV., Il Molosso e i “condottieri” in Magna Grecia, Atti del convegno di studi sulla Magna Grecia, XLIII, ISAMG, Taranto 2004.
M. De Juliis, Taranto, Bari 2000.